Capitolo 1° - L'edificazione della torre di Quarto - 2001.


Il colosso di Quarto d'Altino

Questo è il racconto narrato sulla prima e seconda attività realizzate durante la costruzione relativa al campanile in Quarto d'Altino (Ve) già S. Michele del Quarto Ve. Eretto a canna cilindrica in stile ravennate   

gi Quarto d'Altino la prima e seconda attività presso il campanile in Quarto d'Altino, (Ve) eretto a canna cilindrica in stile ravennate.

Consigli per l'utente e di quanti usufruiscono anche parzialmente del servizio culturale.

Pazientare dunque è la virtù necessaria che permette di capire la storia qualora si è seriamente intenzionati ponendosi nella quotidianità dei popoli e negli ideali del loro tempo. Si consiglia pertanto l'utilizzo dei capoversi colorati in bleu elencati in ordine di successione. In caso contrario, non si capirebbero le esigenze dei testi formulati senza fraintesi. 

OOO

Capitolo primo - 2001 

L'edificazione  della Torre di Quarto.


Panorama  Quarto d'Altino - Ve.  Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso, in data File 15/04/2014. Copyright dell'autore.
 
                         ***
Comunicato al lettore.

Una storia vissuta.

Ne andrebbe anzitutto del mio decoro se non usassi i termini senza omissioni, qualora dovessi respingere alcuni tentativi d'inciviltà, (Che non è ingenuità) su di un personaggio che non pose mai piede sul campanile e che non ebbe neppure i natali ahimè, (1) in un paese nel quale veniva frattanto eretto. 
Raggiunta l'altezza prevista, fornita peraltro di tutti gli elementi necessari per la sicurezza interna quanto l'esterna, ebbene quel tizio che dirò, non aveva ancora smesso di calzare i pantaloni corti. Divenuto frattanto grandicello, pubblicò un testo creduto ufficiale, ma che in  realtà non fu considerato tale. E tanto meno sottoposto ad esami di ordine critico, neanche dagli abituali canali d'informazione, in particolare di ordine locale. Figuriamoci poi, sulle pubblicazioni riconducibili a testate giornalistiche importanti.   

(1) Nacque infatti durante gli anni cinquanta del novecento, quando appunto il campanile era già eretto... e ciò la dice lunga.

E per quanto la Torre avesse già raggiunto l'altezza prevista, fornita peraltro degli elementi di sicurezza necessari per accedervi, ebbene costui non aveva ancora smesso di calzare i pantaloni corti. 
Divenuto frattanto grandicello, pubblicò un testo creduto ufficiale, ma che in realtà non fu considerato tale. Né l'argomento trattato, non fu mai sottoposto ad esami di ordine critico, neanche dai consueti canali d'informazione come del resto i locali. 

Mosso da ispirazioni intellettuali e da estri creativi  piuttosto infelici, si collegò da grandicello, (previo accordo verbale col sottoscritto) sul sito Web mio personale, dopo che avevamo stabilito di comune accordo, la lettura di quanto avevo già pubblicato. Testimone ufficiale interessato all'evento, assisteva al colloquio il parroco di Quarto d'Altino. Durante la conversazione mi rifiutai di rendere noto il contributo mio personale, (mai esposto dal sottoscritto) riferendomi soltanto ad una esigua parte di persone, (operai e lavoranti anche non giornalieri) e su quanto io stesso avevo vissuto durante l'erezione del campanile. Un esperienza peraltro gratificante. 
Da questo punto di vista mi ritenevo già d'allora libero da ogni condizionamento meritocratico attribuitomi. In seguito il testo venne reso noto da quanti all'epoca si occupavano di libri e di carta stampata, ma non se ne fece nulla.  

Ebbene questo individuo si collegò sul sito Web mio personale dopo che di comune accordo avevamo convenuto la lettura del testo di quanto avevo già pubblicato. 
Testimone ufficiale quel giorno, interessato all'evento, partecipava il parroco di Quarto d'Altino. 
Ma gli accordi purtroppo non vennero mai rispettati, in particolare da colui il quale, aveva smesso appena ieri di portare i pantaloni corti. E utilizzando il mio testo, ispirato peraltro dalla propria infelice genialità, lo riprodusse con l'abilità di chi intende raggiungere i propri scopi,  senza peraltro, la necessaria autorizzazione. Tutto sommato, si cimentò in una confusione di eventi ripetitivi e dati sconnessi frutto di scopiazzature. A quel punto fui preso da un senso d'amarezza e sconforto. Nulla comunque da recriminare sull' imprudente ingenuità, se non la maldestra, grossolana riproduzione. 

Per farla in breve, si trattava di un contenuto senza norme fondanti e di regole razionali. Elementi questi finalizzati a ledere il diritto altrui. Suggerisco pertanto la lettura del testo corrente diffidando delle imitazioni tendenti a far proprio ciò che appartiene al sottoscritto. Ed è per tali motivi per i quali mi sento di estendere l'invito a quanti sono interessati alla vicenda nel rispetto delle regole. Vale a dire quella di dar credito a chi questa storia l'ha veramente vissuta, ciò seguendo ovviamente, gli eventi narrati in questa pubblicazione. 

Col presente comunicato, intendo segnalare pubblicamente e senza timore d'essere smentito, l'insensibilità di quel maldestro imitatore, che all'epoca della prima pietra e le seguenti operazioni edili, portava ancora i pantaloni corti. E li portò sino alla conclusione del campanile, conforme peraltro alla propria natalità avuta luogo nel 1953. 
Per questo motivo, non avrebbe potuto conoscere la data dell'avvio come del resto, la conclusione avuta luogo nel 1955. Ebbene costui, nonostante il campanile avesse raggiunto l'altezza prevista e che in seguito venne aperto al pubblico, non pose mai piede sulla cella campanaria, né a quanto si conosce, ebbe modo di toccare con mano i pregiati strumenti sonori affissi sull'abitacolo. A questo punto, non mi pare uno sforzo notevole capire l'imbroglio segnalato dal medesimo scopiazzatore.

La data della realizzazione.

D'altra parte la pubblicazione del testo autobiografico dedicato alla Torre di Quarto, venne trattata dal sottoscritto nel mese di settembre anno 2000. Il parroco nuovo arrivato, (2013) incuriosito frattanto della mia narrazione, la pubblicò su mia autorizzazione sul fascicolo parrocchiale del settembre 2001. (Il testo non era completo, unico peraltro in circolazione diffuso mediante stampa) 
Probabilmente il parroco, intendeva far conoscere la vicenda ad un pubblico più vasto, particolarmente indicato ai giovani.
S'aggiungeva così la speranza del parroco don Gianni Fassina, il quale aveva ottenuto un vasto concentramento popolare in particolare di giovani. E naturalmente colse l'obbiettivo distribuendo gratuitamente il fascicolo durante la 15^ Festa S. Michele del 2001.Il testo elencava fatti e personaggi dell'epoca e un intensa esperienza di sofferenza vissuta dalle maestranze. Portava il titolo realizzato dallo scrivente "Una Grande Storia in Breve".
L'abituale silenzio dei canali d'informazione.

Già d'allora dunque, quella modestissima narrazione rappresentava il primo e unico studio e tuttora lo è, sull'edificazione della Torre di Quarto, dove i consueti canali d'informazione del Veneto (Anche locali) non ne avevano mai fatto il minimo accenno. Né in realtà se ne diedero cura. Neanche la Curia Patriarcale di Venezia che all'epoca della realizzazione relativa al "pro erigendo campanile" (Titolo assegnato dal parroco Scattolin don Carlo) nulla scrisse sul settimanale "La Voce di S. Marco". Tanto meno dopo la visita in parrocchia del Patriarca di Venezia, il futuro Papa Roncalli. 

L'abbandono delle annuali pubblicazioni 

E forse sarà per questa ragione, il mezzo col quale il parroco d'allora intendeva pubblicare il testo, affidandolo in seguito a persone più titolate ma non competenti. Dopo che queste ovviamente, si fossero documentate tramite il mio Blog. (Che idea bizzarra)  Ebbene, quel sito Web di mia competenza venne aperto coll'intendimento di ultimare la vicenda relativa al pro erigendo campanile non ancora conclusa. 
Cosicché, abbandonai, come del resto avevo previsto, le annuali pubblicazioni proseguendo privatamente sul mio blog,

La richiesta del parroco al quale dovevo rispondere su di una mia inesistente pretesa, (Quale non ho mai inteso né conosciuto) peraltro mai formulata, causata secondo mia opinione, in rapporto all'esigenza di condurre determinate vicende legate all'annuale pubblicazione. 
Un periodico insomma, col quale il parroco stesso aveva intenzione di sospendere (Non mi è noto il perché. La stessa domanda venne formulata dalla popolazione, senza ottenere risposta) Cosicché l'ipotesi, mi spinse preventivamente all'abbandono dell'incarico. 

D'altra parte non ho mai desiderato e non desidero tuttora, assumere  atteggiamenti inusuali per chi come me, non si è mai proclamato un letterato. In realtà non posseggo neanche l'attitudine, e tantomeno mi sono mai azzardato proponendo benefici personali, se non quelli utili per la comunità. Con tutta evidenza quindi, oltre al mio saltuario lavoro, sono orientato allo studio e ricerca di quanto emerge intorno al paese. Con occhio di riguardo a ciò che la storia non conosce sulle relative frazioni (S'intende la non documentata ma discussa) sulle relative frazioni.

Il suggerimento e la confusione di dati.

E prima di sciogliere i legami iniziali, suggerii al parroco il nome di un noto studioso per la storia locale, certo Ivano Sartor, col quale, dopo un breve colloquio svolto in canonica, presente il parroco, indicai le mie richieste. E qualora fosse stato d'accordo, gli avrei anche indicato il mio Sito Web dal quale compare il testo autografo. Annuendo il Sartor ne prese nota accettando verbalmente.

Il libro del Sartor apparve nel settembre del 2018 senza che il vero autore, (Il sottoscritto) qualora fosse stato interpellato avrebbe fornito parecchie informative. D'atro canto costui, non si rese mai disponibile nella richiesta e agendo di fatto a titolo personale scivolò com'era prevedibile, in parecchi errori. E tanto meno intervenne come d'accordo, chiedendo le mie esperienze effettuate durante l'erezione del campanile, le cui documentazioni piuttosto rare non avrebbero consentito al Sartor, la narrazione dell'intera storia. (E infatti non vi è riuscito. A volte certi turbamenti intellettuali giocano brutti scherzi.  
Come del resto sono le molteplici e ricche fotografie recuperate dal sottoscritto e utilizzate dal Sartor. Una tra le quali si nota l'innalzamento sul campanile della statua relativa all'Arcangelo Michele e tante altre. Oltre alla competenza fotografica avrei anche indicato le mie esperienze acquisite durante lo svolgimento dell'opera, durante la quale troppo spesso, non rientrava nei limiti dell'etica professionale. Praticamente si trattava dello svolgimento di un attività difficoltosa in virtù della sua straordinarietà. Perciò ci si allontanava dalla sicurezza. 

Le informazioni di straordinaria efficacia documentale.

In realtà il Sartor, le notizie se le aveva già furbescamente procurate visionando dapprima gli argomenti trattati sul Blog mio personale, e in seguito li pose a confronto coi documenti presso l'archivio della parrocchia dove durante la mia assenza, aveva avuto libero accesso dal parroco. (Fatto di per se molto insolito in quanto il diritto di accedervi  doveva realizzarsi nella mattinata quando frequentato dal personale di fiducia scelto dal parroco. Nelle ore pomeridiane era vietato a chiunque.
Cosicché il Sartor, oltre alle mia dichiarata disponibilità, non ebbe mai nei miei confronti l'intenzione di chiedere qualunque informativa e tanto meno d'interloquire. 

Una decisione questa che destò stupore più che sorpresa, in quanto l'ideatore ed esecutore del testo ufficiale, (il sottoscritto) nonostante avesse ricevuto dal letterato solenne promessa, venne meno alla parola data. E ritrattando silenziosamente l'obbligo assunto, si rifece copiando in piena coscienza le notizie sul Blog di mia competenza. D'altra parte a quel punto, pareva non avesse ancora compreso sul piano intellettuale nonostante glielo avessi ampiamente suggerito, che la narrazione sul campanile non era del tutto conclusa. Eppure non se ne diede minimante cura, neanche dal punto di vista della convenienza. E fu davvero un errore madornale.  
 
l documenti del Vescovo di Roma

E quando decise per la verifica, o in altre parole per l'accertamento, capì che la storia non era davvero ultimata. E cercando di porvi rimedio, recuperò in una confusione di dati ciò che lui stesso ipotizzando sul proprio trattato, garantiva in un miscuglio di dati erronei. Lo stesso problema si verificò sulla narrazione della chiesa parrocchiale di Quarto d'Altino, edificio nella quale io stesso avevo riportato unitamente al campanile, una quantità di notizie ufficiali riguardanti quel Vescovo di Roma che eresse la chiesa in Quarto d'Altino. Ma le notizie su Papa Pio X. non provenivano affatto dall'archivio della parrocchia, bensì da Roma dove i dati personali di Papa Pio X sono conservati in Vaticano. 
Eppure, dal disordine rinvenuto presso l'archiviosembrerebbe avesse avuto luogo un ispezione piuttosto affrettata. Eppure bastava solamente chiedere, ma quando c'è di mezzo l'orgoglio dello storico di turno...        
   
Si rende necessaria una seconda e completa riedizione 

Per quanto riguarda la copiatura intesa come frode, pare con tutta evidenza essere priva di legami narrati su basi solide, su di un contenuto peraltro incompleto. E' del tutto assente dunque, quel tradizionale ed efficace studio domestico, inteso come familiarità, in presenza del quale avrebbe anche aumentato la propensione per la storia, riconducibile al narratore. 
Fatto sta che il testo apparve sui libri di storia in una narrazione imprecisa e non del tutto affidabile. E non solo per gli errori compiuti, come del resto avevo previsto (dal mancato dibattimento) bensì per il fatto che, non essendo costui testimone dell'epoca, non avrebbe potuto narrare ciò che i proprio occhi non videro mai, se non ricopiando per i propri interessi e a scopo personale.  Elementi questi ritenuti di gravità sconcertante sui quali a mio avviso svilupperanno una seconda riedizione, veritiera stavolta e completa.

L'imbarazzante e insolita narrazione non adeguata al caso, sia per il metodo della proposta, quanto per l'affidamento tratto da documenti probanti, sui quali il Sartor in probabile stato di confusione quel giorno, finì per scrivere l'opposto di quanto il documento attesta.  
L'argomento trattato presenta inoltre tratti dispersivi, allusivi e anche inconsistenti. Non è neppure progressivo, privo peraltro di solidità storica, del significato semantico e del vissuto di chi inizialmente lo scrisse. Difetta inoltre del calore umano, non esprime l'entusiasmo della ragione, la capacità dei sentimenti e del rapporto avuto col parroco, col quale il sottoscritto ebbe numerose comunicazioni e notifiche. Non possiede neanche la familiarità della popolazione e neppure quella degli stessi muratori, quanto su tutti gli eventi qui testimoniati. 

Va da se dunque dedurre, di quale storia costui va parlando, se non quella d'aver copiato il mio testo dove sono assenti o mancano del tutto, le documentazioni probanti. In conclusione, il contenuto del maldestro dottore è retorico, indefinibile e sistematicamente freddo, salvo i ricevuti compensi. Insomma un mucchio di carta confusa, a quella precisa e gratuita pubblicata qui, sul Web del sottoscritto. Queste ovviamente le mie valutazioni. 

Elenco degli errori e interpretazioni del dott. Ivano Sartor.

(Altri commenti sulla medesima circostanza, sono indicati in preliminare al capitolo 8°  del 31/01/2002 dal titolo: "sulle ragioni morali"  

(Inoltre al capitolo 12° del 2009 dal titolo: L'incomprensibile negazione del dott. Ivano Sartor)

(Anche su capitolo n° 1/del 2001 dal titolo "decide di sua iniziativa" e "la comparsa di un testo creduto ufficiale") 

(Pure al capitolo n° 7 del 2002 su "L'arcangelo Michele e la funzione girevole interrotta". Vedi paragrafo "Quel giorno in Canonica".

(In più, si veda al capitolo n° 12 compilato in due parti, dove il Sartor troppo imprudentemente smentisce la mia versione adducendo un errore il dono del Bressanin al Patriarca di Venezia Mons. Mutti. 
In Realtà il Sartor avrebbe dovuto conoscere ciò che le donazioni  imponevano all'epoca e quanto tuttora impongono. Ragione per cui l'esecutore testamentario del Mutti, (Mons. Dorigotti) ricorse ad una procedura più semplice, snella e non tassabile: "la compra vendita". 
Ma ciò che stabilisce la donazione non sono gli affrettati comunicati mezzo stampa del Sartor, bensì la testimonianza del rev. Dorigotti che documentando la donazione di sua mano, smentisce categoricamente la tesi del Sartor. Un errore al quale il citato storico, tolse l'onore colpendo lo Status del defunto Bressanin)

(Nel mio testo allegato al corrente Blog n° 12, si può leggere i fraintendimenti e gli errori del Sartor. Non è poi esclusa la carenza di stile del letterato. Il contenuto del sottoscritto verrà pertanto inviato per conoscenza allo "Studium Cattolico Veneziano". Ente a carattere storico legale, efficace per determinare la storicità del caso)

(Si veda anche al capitolo settimo dedicato alla funzione girevole dell'Arcangelo Michele, dove il dottore chiede ad alcuni incompetenti in materia, ciò che avrebbe dovuto domandare al protagonista presente quel giorno in Canonica.  Lo scopo della mia evidente esclusione al dibattimento, doveva pertanto evitare il dialogo col sottoscritto unico protagonista sulla vicenda in cui il Sartor, doveva citare in nota a margine il vero protagonista.  Oppure tentare di rimuoverlo dalla storia del campanile a proprio beneficio. (Del letterato s'intende)

(Un altra nota degna di curiosità e di riflessione, si trova sul Capitolo n° 1° il cui titolo subordinato al paragrafo si qualifica in "La copia di un documento identico all'originale". Una copia che avrebbe potuto non essere alla stregua dell'originario)

(Si  veda pure al capitolo n° 14, sul paragrafo che porta il titolo "L'antica usanza sfuggita all'attenzione del Sartor) 

(La smentita del Sartor al sottoscritto appare a pag. 26/27/in nota 23, su "Storia della chiesa in S. Michele del Quarto". Settembre 2018.) 

(Il resto si trova a pag. 98 in nota 140 su: "Storia della chiesa di S. Michele in Quarto d'Altino" ad opera del Sartor. Settembre 2018.) 

(E infine, si assiste anche all'indecorosa allusione del Sartor registrata sotto il paragrafo  "C'è dell'altro". Vedi anche pag. 98 in nota 140) 

 L'incredibile confusione di dati

In una recente pubblicazione del Sartor relativa alla chiesa di Quarto d'Altino, (Titolo del testo) decide di sua iniziativa citare in nota a margine le ditte cooperanti circa la consegna dei laterizi usati per la costruzione del campanile di Quarto d'Altino, attribuendo al sottoscritto i nominativi registrati di sua mano.  Non è questa ci pare la norma fondante con la quale uno storico dichiarato si richiama a fatti o eventi storici, attribuendoli ad altri. Rendo quindi noto al Sartor che il sottoscritto Alfio Giovanni Bonesso, non ha mai segnalato nel proprio blog né altrove tali nominativi, non altro per evitare inutili accostamenti ad imprese che potrebbero non centrare nulla con le ipotesi formulate dal letterato. Pertanto l'autore della deliberata citazione che di fatto ha operato in uno stato di profonda confusione, se ne assumerà la piena responsabilità a quanti ne chiederanno ragione.  

                                                                               
 OOO




Collocato come fosse declassato dall'altre Maggiore, campeggia dipinto su tela l'Arcangelo Michele vittorioso su Satana. E' una pregevole copia del maestro Guido Reni donata da Sua Santità Papa Pio X per la parrocchia di Quarto d'Altino, già S. Michele del Quarto. 
Il particolare fotografico appositamente tagliato ai lati, è stato realizzato in posa ravvicinata durante il restauro della tela riposta sul pavimento della suddetta chiesa. Il particolare fotografico appositamente tagliato ai lati, è stato realizzato in posa ravvicinata durante il restauro della tela riposta sul pavimento della citata chiesa. 

Foto d'archivio ad opera del sottoscritto Alfio Giovanni Bonesso. File 23/11/2015/.  Copyright dell'autore.


Fine comunicato

***
L'edificazione relativa al Campanile di Quarto.
 
Testo completo sull'erezione della Torre.

La storia sulla costruzione del campanile di Quarto d'Altino, pur coinvolgendo per più di un ventennio diverse generazioni, non risulta tanto dai documenti quanto dalle interviste ottenute durante lo svolgimento e in seguito nei colloqui registrati nei loro domicili. Non mancarono da ultimo, le autorevoli dichiarazioni del parroco di allora.  

La prima fase circa lo scavo per le fondamenta ebbe luogo prima del secondo conflitto mondiale, in seguito venne ripreso durante la fase immediata post bellica. E andò a completarsi in un periodo segnato da eventi contrari quanto ingenerosi. Ebbene quegli eventi furono caratterizzati dalla povertà causata dal secondo conflitto mondiale durante il quale venne perduta l'armonia tra i vari componenti.  Verrà narrata insomma, una storia pressoché sconosciuta, ricca di valori e di generosità e come spesso accade, anche di contrasti e di lunghe attese. Non mancarono le piccole e grandi miserie e non solo giornaliere. Talvolta di gran di gioie.

Introduzione sulla vicenda pro erigendo campanile 

Praticamente  il paese si cimentò in un impresa creduta inizialmente dall'esito incerto, ma poi piano piano...

Quando Scattolin don Carlo (8) accettò la nomina di parroco per la comunità di Quarto d'Altino (Già a S. Michele del Quarto) ricevette più o meno in quella fase storica, la proposta dopo appena un anno d'ufficio vicariale, di appoggiare la richiesta della popolazione per l'erezione di un campanile. E dovendo accertarsi se la spesa fosse sostenibile e moderatamente accettabile, trascorse il tempo necessario per valutare la fattibilità. D'altra parte, se fosse mancata la collaborazione dell'intero paese, non sarebbe stato possibile dare inizio all'attività. E certo dipendeva anche dall'apparato strutturale cui s'intendeva erigere. 
Interrogativi questi, per i quali il sacerdote, dopo alcune verifiche che avevano come base di partenza la partecipazione dell'intera comunità, prese la decisione. (escluse momentaneamente le due frazioni del comune: Altino e Portegrandi) E dopo aver interpellato alcuni ingegneri, visionato i progetti di massima, i costi e gli impegni popolari, non escluse le opere pie, accettò la  richiesta. 

(8) Scattolin don Carlo giunse in veste di vicario a S. Michele del Quarto nell'anno 1937, e nel 1938 quando venne nominato parroco aderì alla richiesta pro erigendo campanile. 

Nel frattempo, alcuni paesi limitrofi canzonavano intenzionalmente la comunità. Dalle quali canzonature, emergevano non a caso delle vere e proprie prese in giro, causate come accennato, dall'assenza del campanile. 
E tanto più irrispettosa prometteva quella sciocca ironia, inventata da quei paeselli che avevano ricevuto in eredità il proprio. Ciò dimostrando una spensieratezza tale da non capire i problemi che avrebbe comportato un nuovo campanile. Dopo che peraltro, gli altinati avevano eretto la recente chiesa e non ancora purtroppo terminata all'interno. In realtà, sembrava davvero una vera e propria intolleranza, con la quale in certe circostanze, veniva meno anche il gradimento personale tra le parti in causa.

Ma le derisioni non ebbero un lungo proseguo, da quando i giovani dei paesi limitrofi tifosi del proprio, pur avendo notato lo scavo e il getto per la fondamenta e che annunciava già d'allora un'opera potenzialmente massiccia. A fronte del quale le burle del giorno prima iniziarono a diminuire, ma non ebbero termine.
D'altra parte il modo di esprimersi risultava altresì sciocco, e non già per l'atto di per se fanciullesco, bensì perché non avevano compreso le difficoltà finanziarie di un paese cui ebbe i natali recenti. D'atra parte era già noto l'evento dal quale poco prima avevano eretto la nuova chiesa e abbattuto la vecchia col campanile di origine settecentesca. Perciò intendevano costruirne un secondo e magari migliore del primo.
Venne così a crearsi una gara di abbozzi e chiacchiericci quasi a dimostrare quale fosse il campanile più apprezzato tra quelli eretti, a quello che stava per ergersi. 

Questi arguti burloni, estrosi e pari tempo introversi, i quali, ereditando chiesa e campanile dai loro predecessori, non conobbero manco chi le avessero erette, dimenticando peraltro che il vecchio paese (S. Michele del Quarto vecchio) già possedeva sin dal 1700 entrambe le sedi canoniche. Diversamente il nuovo centro abitato sorto dalle ceneri del primo, mancava appunto di una Torre da decidere forma e modello ponendola accanto alla recentissima chiesa. Una chiesa peraltro, misera e vuota, da completare all'interno, come del resto i nudi mattoni visibili all'esterno  Mancavano pure le due sacrestie da porvi ai lati e la stessa canonica che avrebbe concretizzato e raccolto la nuova parrocchia. Si aggiungevano così uno dopo all'altro problemi economici di vaste proporzioni, per i quali la cittadinanza, considerato la qualità e il volume della portata finanziaria, non sarebbe mai stata in grado assolvere da sola. Un bel guaio davvero.

La nuova chiesa infatti, venne consacrata nel 1905 e durante il 1907 ultimata anche la sede canonica e anche i debiti a saldo. 
Iniziato in seguito anche l'erezione del campanile (inizio progetto 1938) e terminato nel 1955, campane e arcangelo compreso. Si capisce a questo punto l'eccezionalità dei lavori in essere per l'epoca in corso. 

D'altra parte l'interno della chiesa come citato innanzi, non era nemmeno completata, non lo era neanche al di fuori dove mancavano gli intonaci e le due progettate sacrestie laterali. 
I paeselli più fortunati invece, quelli di la del Sile e del fiume Zero, ai quali nulla mancava, gioivano frattanto del lascito dei propri predecessori. (9) Per quanto riguarda la chiesa di Quarto d'Altino furono necessari ancora 70 anni per portarla in condizioni accettabili, più di quando venne consacrata nel 1905. 

(9) Per quanti non conoscono la posizione geografica del fiume Sile e dello Zero, sono due corsi d'acqua del Veneto orientale, dove sorge Quarto d'Altino. (già S. Michele del Quarto) Al di là dei fiumi citati, si ergono tuttora quei paeselli per così dire pettegoli, e che a causa della scarsa conoscenza su Quarto d'Altino, s'inventavano vergognose canzonature a scopo burlesco. E questi sono Musestre, Casale e Gaggio.

L'imponente struttura e i tratti caratteristici

In questo stato di cose, non mancarono le gioie e speranze alternate  alle burla di cattivo gusto (comunque tollerate) con le quali ebbe inizio in un clima di sciocca animosità, la fondamenta. 
Poco dopo debuttava e saliva lentamente anche il campanile e quando la cittadinanza notò la mole, lo pose a confronto stupefatta dall'imponenza a quelli limitrofi. E non temendo affinità alcuna, elesse il proprio col titolo di Torre. Si capì a quel punto che la gigantesca struttura in mattoni non aveva niente a che fare coi miserelli campanili eretti nella vicinanza. 
Nacque dunque la leggenda secondo la quale ricordava a chi non intendeva capire, che la distinzione tra un semplice campanile e una Torre, si notava dalla volontà e dall'attività della cittadinanza. Quando ad erigerla, fu realizzata in stile moderno e senza compagini burlesche.  

E quella popolazione destinata ad innalzare la Torre, era proprio la stessa che aveva oramai tagliato da tempo il cordone ombelicale col doloroso passato (secondo conflitto mondiale) e riacquistato la propria autonomia e libertà. E da lì esplosero i primi segni di vivacità, dai quali ebbe inizio quello strano epiteto, del quale non si è mai saputo chi l'avesse originato. Cosicché quel titolo nato e cresciuto da una ridda di voci, venne in seguito a radicarsi tra la popolazione e tale rimase sino all'epoca attuale. 

E aprendosi lentamente alla collettività dove già esisteva un modestissimo centro abitato in via di ampliamento, intorno al quale si notava già da tempo, un variegato sviluppo commerciale unito ai nuovi alloggi di privati cittadini. Un mutamento che vedemmo completamente quando salimmo sulla cella campanaria dalla quale riscontrammo al contrario di quanto speravamo, un borgo infelice manifestato dal proprio isolamento. Sicuramente una certa esclusione di rapporti con l'ambiente circostante esisteva, causato a nostro parere dalla carenza di alloggi destinati a famiglie a stabile dimora. Se si esclude ovviamente i rari casolari agricoli sparsi tra i fondi coltivati, oltre ai quali non si notava nulla. 

Circondato dall'immensità delle campagne dedite tenacemente all'agricoltura e agli allevamenti di bovini, statico ma ancora vivo, eppure il paese resisteva a quel ciclo di trasformazione che andava oramai a diffondersi in tutta la penisola, ma che purtroppo mancava a Quarto d'Altino. 
Praticamente non riusciva a sganciarsi da quell'agricoltura ritenuta ottocentesca, dalla quale rifuggì durante gli anni cinquanta del novecento, (Grazie al Piano Marshall) e dopo i primi anni settanta, finalmente progredì. E quel progresso sospirato e infine raggiunto, coinvolse la piazza e l'abitato centrale che vedemmo lentamente crescere ed espandersi. 
Quel borgo di modeste dimensioni, ma già predisposto per un possibile ampliamento, iniziava ad estendersi laddove la Torre già eretta, manifestava da anni la posizione centrale e il pregio del paese. Finché non ne constatammo poco dopo, i primi segni dell'inarrestabile alterazione. (10) 

(10) Si veda più avanti la narrazione sui problemi della Torre.

Le 41 balconate simmetriche, scelte per forma e dimensione.  

L'ingegnere Prof. Angelo Scattolin, che aveva frattanto ricevuto il mandato per la costruzione del campanile su cui com'è noto, non amava gli abituali progetti appuntiti tipo settecenteschi, si rivolse perciò a modelli e schemi diversi. 
E svecchiando il passato, concedendo più spazio alla sua creatività s'ispirò  ad un modello di campanile tipo "Ravvenate". 
Ne mutò tuttavia le caratteristiche tipiche dell'alto medioevo e, modificandolo esteticamente, ne valorizzo anche gli elementi esterni. Con ciò conferì alla pur moderata trasformazione, un profilo moderno, fresco e aggraziato. Di stile diverso dunque la Torre, si protende apparentemente chiusa, rispetto alle numerose balconate rientranti sul colonnati longilnei ed esterno  rispetto alle colonne esterne.
Le aperture sono progettate a forma rettangolare sul cui vertice arcuato si pone in evidenza un trattamento a faccia vista. Aperte in tutta la circonferenza arieggiano l'intero condotto sino alla cella campanariaIl complesso degli elementi portanti con particolare riferimento alle funzioni di sostegno, appaiono resistenti. E' strutturalmente compatta nel suo insieme, massiccia e robusta anche in elevatezza

Diamo inizio alla storia e il vissuto cittadino, partendo dai primi eventi certificati dalle immagini fotografiche dell'epoca.

Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.
S. Michele del Quarto 11 novembre 1945. 

Cerimonia prima pietra. Processione diretta sul punto in cui verrà eretto il campanile. Si nota in primo piano il cumulo di terra rimossa generato dagli scavi per la fondamenta. I blocchi di marmo visibili a sinistra sono stati utilizzati come basamento. Apre il corteo Scattolin don Carlo, seguono i chierichetti accompagnati da don Gino Bortolan e il Patriarca di Venezia Card. Adeodato Piazza. Sono presenti i parroci dei paesi limitrofi. Sul fondo della foto, si nota anche la cabina con cui il giornalaio  sig. Sinistri gestiva la pesa pubblica. L'impianto era destinato per le operazioni di pesatura, per le vendemmie e altri prodotti, tipo mattoni ghiaia e sabbia diretti allo scarico e carico presso al porto sul Sile. I riscontri fotografici nell'immagine d'epoca sono stati in parte vissuti e poi evidenziati dal sottoscritto. 

S. Michele "Vecchio" alla volta del "Nuovo" e i necessari collegamenti

Per i necessari collegamenti sociali, comunitari, politici e religiosi nacque congiunta alla chiesa la nuova parrocchia dove lentamente si polarizzò anche il nuovo centro abitato
Sostenuto da una serie di vantaggi economici, quali il previsto passaggio della ferrovia, aperture stradali per Mestre e S. Donà, la linea elettrica S.A.D.E, l'acqua potabile, case private, commercio, transito autobus e il consecutivo aumento della popolazione, conferirono all'emergente paese il titolo di S. Michele Nuovo. Il borgo antico divenuto oramai periferico per quanto ancora il più numeroso, assunse per l'isolamento in cui si era venuto a trovare, il termine S. Michele Vecchio: appellativo che tuttora conserva. (7)

(7) Luogo antico fondato da Roma chiamato "Ad Quartum". Dopo il crollo militare di Roma e l'insediamento Longobardo cristianizzatosi in seguito, il "Quartum" assunse per loro volontà il termine S. Michele del Quarto .

Si ricorda ancora una volta, e non già per la scarsità di memoria limitata ai paesi limitrofi, bensì perché nel vecchio villaggio vi era già costituita una chiesa settecentesca e relativo campanile 
 (documentati) dove a seguito della prevista demolizione, venne eretta la recente canonica con gli stessi mattoni tolti dai due manufatti ai quali venne tolto l'intonaco. 
Sul terreno nel quale stazionavano da secoli, vi  è rimasta soltanto la vecchia e abbandonata Casa Canonica, a lato della quale c'era anche il cimitero, dismesso e rimosso nel 1940. Non è pertanto corretto affermare che S. Michele del Quarto non avesse avuto il suo campanile, quantomeno di origine antica come del resto lo era anche la chiesa. Per il nuovo bisognava soltanto aspettare senza tanto badare alle ironie degli anni 40 e 50 del novecento, pervenute come già segnalato, dai paesi limitrofi. (Musestre, Casale sul Sile e Gaggio) (8) 

(8) - Il legame di amicizia con Gaggio tra quelli citati, era il più forte e anche il paese più frequentato dagli altinati. Possedeva infatti il campo di calcio adatto al gioco per sette persone: la canicolare. All'epoca si giungeva in bicicletta per un percorso più breve del recente. Si transitava per la vecchia stazione ferroviaria di Gaggio, sino al cimitero, quindi a sinistra retro la chiesa in neanche 30 minuti. Pedalando ovviamente.

Queste località vanno appunto ricordate poiché avevano ricevuto in eredità entrambi gli edifici canonici, dimostrando a tutto vanto, una certa sicurezza su di una improbabile nuova costruzione. 
E da tanta tranquillità imposta da altrettanta inconsapevolezza, non si rendevano conto dei problemi sui costi che avrebbe comportato l'erezione di un campanile.
Uno tra i tanti per esempio, nasceva dalla difficoltà di un centro abitato nato agli albori del secolo novecento, epoca in cui dominava indigenza e precarietà a cui vanno aggiunte avversità politiche originate dapprima dal "ventennio" e dal conflitto mondiale poi. (1940/45/) E questo basterebbe per capire tutto il resto. Eppure questa orgogliosa cittadina ingenua e semplice, progettò e ultimò campanile e chiesa, senza chiedere aiuto a nessuno.   

Premesso che l'antica chiesa eretta nel 1700 circa, venne in seguito abbattuta col suo campanile, su cui
 la popolazione, per quanto fosse a conoscenza della sua ristrettezza, non avrebbe mai previsto che tra il 1906/1907, si sarebbe deciso per l'abbattimento. All'inizio del XX sec. (1900) la chiesa si mostrava esattamente come nacque due secoli prima, limitata e angusta, priva di ampliamenti e danni strutturali. A parte la risalita di umidità sui muri interni ed esterni.

E nonostante la popolazione fosse in continuo aumento, non vennero mai applicate norme adatte per aumentarne le dimensioni interne, se non suggerite dai funzionari edili. Ma non se ne fece nulla. In ogni caso la chiesa continuava a dispetto della comunità a dimostrare il proprio limite, quale non essere in grado contenere almeno metà della cittadinanza. Causa per la quale venne a sollevarsi dai parroci intervenuti uno dopo l'altro, una serie di proposte dirette al Patriarca Card. Mutti. 

La chiesa infatti, secondo i parroci, non era in grado di ricevere neanche la metà della popolazione, mentre una parte di quel numero assente assisteva alle funzioni religiose entro l'attiguo cimitero. Il resto, si recava a Musestre, o a Casale sul Sile, laddove la migrazione dalla propria chiesa provocava le proteste dei parroci dovute all'emorragia delle elemosine a favore delle parrocchie limitrofe. 
D'altra parte i continui restauri dovuti più che altro dall'umidità risalente i muri perimetrali, tormentava i parroci vedendosi la chiesa occupata prevalentemente dai muratori, ecc. Ma di fronte alle richieste e alle tante problematiche, dovute anche ai finanziamenti comunali, tutto rimase sulla carta. 

Una possibile area museale

Malgrado le aspettative dei parroci e il disagio della popolazione, la chiesa possedeva al proprio interno alcuni pregiati affreschi, con i quali avrebbe potuto amministrare a proprio vantaggio una possibile area museale, qualora chiesa e campanile non fossero stati abbattuti
D'altra parte la vecchia canonica non venne mai demolita bensì alienata dal patriarcato, fondo compreso e conservata  come alloggio per quanti ne erano privi.
Di conseguenza la comunità del nuovo S. Michele del Quarto,  avrebbe posseduto due campanili, due chiese fornite di affreschi, altari e campane, ciò provocando una serie di rovelli tra gli ironici amici inaciditi dal proseguo della Torre e dalle tante pregevolezze emerse dalle due chiese. (I pregi sono dichiarati negli annali della parrocchia e qui pubblicati)

Ciò non significa che l'erezione della Torre sia stata causata dalle ironie del vicinato, bensì ciò che ne implicava l'idea, si proponeva in maniera diversa tenendo conto ovviamente dei tempi dovuti e necessari e anche dal fatto che, la cittadinanza ne aveva fatto richiesta già all'inizio degli anni trenta, motivando semplicemente che accanto alla chiesa doveva comparirvi campanile e campane. (9) 

(9) - Nel 1937 sorse l'idea del campanile quando Scattolin don Carlo era semplicemente vicario. Nel '38 si progettò il modello e il luogo in cui erigerlo, nel  1939 i carotaggi. Gli scavi iniziarono nel febbraio/marzo 1940.




Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.
S. Michele del Quarto 11 novembre 1945. 

Veduta lato sud della nuova parrocchiale. Si nota la chiesa priva dell'intonaco eretta in nudi mattoni. E' in atto la cerimonia posa Prima Pietra da porre sulla fondamenta del pro erigendo campanile. La pietra visualizzabile in primo piano è sostenuta da una catena e da due travi ornati da arbusti rampicanti. Venne fatta scendere mezzo carrucola in una spaccatura aperta al centro della fondamenta. Nell'immagine d'epoca si nota il Patriarca di Venezia Card. Piazza affiancato da due parroci provenienti dai paesi del vicinato. Il parroco Scattolin si nota appena visibile a lato del vicario Bortolan don Gino, entrambi piazzati sul terreno ghiaioso, residuati della gettata in cemento. Diversamente il nucleo celebrante prosegue il rituale sulla scalinata rivestita a tappeto in canapa. Numerosi sono i concittadini identificati tramite la foto. I riscontri fotografici nell'immagine sono stati rilevati dal sottoscritto.

Lo sterramento affidato ai coloni. 

Gli scavi delle fondazioni sino a 4 metri di profondità e più, vennero avviati nella primavera del 1940 dai giovani delle famiglie contadine. (Due turni la settimana per ogni casato) E durante le prime fasi venne accertata una certa difficoltà operativa, causata anzitutto da un terreno massiccio mai stato ridotto a cultura. In una seconda occasione, lo scavo divenne più aspro, più di quanto fosse stato all'inizio, provocato stavolta dal calpestio effettuato durante l'erezione delle mura per la Chiesa del Mutti (Abbattute in seguito) a cui va aggiunto la pesantezza dei mattoni di riserva abbandonati a migliaia presso la chiesa eretta da Papa Pio X, sino al 1917. Anno in cui, vennero erette le due sacrestie coi medesimi mattoni.  (Vedi foto d'epoca)

Causa per la quale, i primi strati del fondo si rivelarono ai lavoranti resistenti e scalfibili solo a piccone, sui quali peraltro, si notavano componenti di ghiaie e sassolini a carattere abbastanza diffuso. Venne pure evidenziato, un terreno ricco di calcare e ciottoli di varie dimensioni, tanto che i lavoranti invitarono l'ingegnere a spostare la fossa. All'impenetrabilità del terreno registrato durante le prime falde, veniva ad aggiungersi mano a mano si andava in profondità, un assembramento di terra morbida di natura argillosa sabbiosa di colore grigiognolo. 
Lo sterrato poi, veniva accatastato a guisa di monticciolo e là rimase per un lungo ventennio ad imbrattare l'ingresso del campanile. Ad approfittare del piccolo monte, sorsero poco dopo, le attività ricreative dei ragazzi che giocando a rincorrersi sino alla sommità, venne a prodursi un punto strategico di osservazione.

La profondità degli scavi

Per quanto riguarda la profondità della fossa, vi sono diversi punti di vista. Com'è noto lo scavo venne realizzato in due tempi, il primo come accennato misurava metri 4. Il secondo si differenziava dal precedente in quanto la comparsa improvvisa di strati torbosi, obbligava l'ingegnere Angelo Scattolin ad aumentare in misura maggiore la verticale. 
Una cavità dunque portata a livello superiore laddove i non più giovani lavoranti, a operazione ultimata riferirono in una intervista rilasciata anni dopo, di non essere stata inferiore a metri sei. Metratura dunque necessaria in quanto lo stesso getto di cemento doveva sostenere il peso del campanile su di un terreno torboso quindi potenzialmente debole. Va inoltre osservato che a causa del reclutamento in corso, i giovani scavatori vennero sostituiti per lo scoppio del conflitto mondiale 1940/45/. L'attività venne ripresa poco dopo dai padri anziani, i quali ponendo a termine lo scavo, registrarono una profondità di circa 6 metri.  Ragione per cui, la metratura rilevata dai  primi scavatori ex combattenti, non lo era per i secondi. Alla diversità di pareri trovarono in un secondo momento una tesi congiunta. 

Il diametro degli scavi mai quantificato in termini di metratura, sfiorava secondo gli operai intervistati, le fondamenta della chiesa. Considerato il dato attendibile e in ogni caso rilevabile, potrebbe stabilire misurando la corda l'intero segmento che unisce i due punti della circonferenza, cioè il diametro della fondamenta. Un rilievo dunque accessibile e che tornerà utile quando nel capitolo sesto dedicato all'altezza del campanile, si capirà che la torre doveva proseguire oltre i metri 40. (misura senza cella campanaria) Si vedrà infatti secondo calcoli previsti 
su progetto dell'ingegnere Angelo Scattolin, confermati peraltro da materiali inutilizzati dei quali si era già erogato il costo, collocati per anni accanto alla chiesa.  

Nel giugno dello stesso anno, il 1940, i giovani scavatori vennero come citato sostituiti da altri meno giovani e l'opera non si fermò. Vecchie rotaie in disuso reclamate da don Scattolin vennero donate dalle ferrovie e riposte sul fondo dello scavo laddove la gettata in cemento avrebbe irrobustito la base della Torre. Questi preziosi e robusti elementi di acciaio temprato, uniti ai blocchi di marmo recuperati presso Altino, costituirono una salda armatura su cui stendere il manto di calcestruzzo. I reperti marmorei provenienti dalla zona archeologica di Altino emersi durante la lavorazione dei fondi agricoli, per quanto antichi ma ritenuti solo d'intralcio, privi peraltro di qualunque interesse archeologico, vennero raccolti e trasportati sul luogo della fossa e bitumati col calcestruzzo. Quelli di piccola dimensione giudicati di scarsa consistenza, venivano sepolti ai lati delle carreggiate campestri o nei casi estremi, utilizzati fortificando i bordi dei fiumiciattoli, canali o fossati.  



Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright propria. 
S. Michele del Quarto 11 novembre 1945. 

Il Patriarca Piazza Card. Adeodato chiude la prima pietra alla presenza delle autorità municipali. All'interno vennero poste monete correnti e una pergamena firmata dal Cardinale e dal progettista del Campanile Angelo Scattolin. L'ideatore del progetto è visibile a lato della foto con cazzuola in mano, sciarpa e impermeabile bianco. Sul fondo a sinistra s'intravede tra la carrucola e la catena in ferro, il giovane Bortolan don Gino. I riscontri fotografici nell'immagine sono stati rilevati dal sottoscritto. 

Stesso principio venne applicato sui massi di pietra durante gli scavi per la fondamenta della chiesa iniziata nel 1850 dal Card. Mutti
Se un giorno si decidesse la sostituzione dell'attuale pavimentazione, emergerebbe la struttura di base detta fondazione coi blocchi bitumati e sepolti, sopra cui il Mutti vi eresse le mura sino a metri cinque. La morte improvvisa del prelato bloccò il piano di lavoro e il conseguente abbattimento dei muri, escluse le fondamenta che rimasero laddove vennero gettate. Sostituto il Mutti dal Patriarca Card. Giuseppe Sarto, abrogò il progetto ritenuto troppo angusto, simile alla ristrettezza della vecchia chiesa. 
E quando salì sullo scranno più alto della cristianità, decise per un progetto più ampio offrendo alla parrocchia di S. Michele del Quarto la somma di danaro bastante.... ma non bastò. 

Frattanto l'ingegnere Costante Gris, aggiornando il progetto di Papa Pio X prolungò l'aula di sette metri per un totale di 37 e 12 in più di larghezza. Le fondamenta realizzate dal Mutti essendo dunque minori dei 12 metri previsti (inferiori di 6 metri per lato) risiedono in parte, sotto l'attuale pavimentazione. 
Per quanto riguardano i reperti archeologici bitumati tra le fondamenta della nuova chiesa (1905 periodo di Papa Sarto) l'attenzione dei proprietari sui blocchi tolti lungo la Via Claudia Augusta, venne effettuata piuttosto selettivamente. La consapevolezza archeologica si stava dunque diffondendo.


Costante Gris. 1843/1925. Progettò ed eresse la chiesa di Quarto d'Altino, già S. Michele del Quarto. Una volta ultimata, donò riconoscente alla parrocchia una tela raffigurante Santa Caterina di Alessandria. 
E' tuttora esposta all'interno della chiesa parrocchiale eretta coi emolumenti di Papa Pio X.

I confessionali a due grate

Il giorno solenne della consacrazione, mancavano nonostante gli aiuti di Papa Sarto, tre altari su quattro, le relative statue più la pavimentazione in marmo da porre su tutta l'area della chiesa. Non esistevano neanche le cappelline dei due odierni confessionali, sia del battistero che del pulpito. Vennero ricavati in seguito abbattendo in parte i muri perimetrali. 
La modifica consentiva l'eliminazione degli ingombranti confessionali laterali, tradizionalmente ampi a due grate posti lungo i corridoi, da rendere difficoltoso il transito dei fedeli diretti all'Eucarestia. Recuperati dalla vecchia chiesa, causavano impedimenti al flusso di ritorno, un intralcio quindi non previsto che peraltro veniva a diminuire la larghezza del corridoio centrale con le stesse difficoltà di transito. Durante i funerali veniva inoltre posto nel mezzo del corridoio principale, un tavolato ingombrante in legno detto "Catafalco". Ornato di drappi neri e candele sopra cui veniva appoggiata la bara del trapassato, impediva anche in questo caso, il flusso di ritorno dalla comunione. Da notare poi, come i vecchi confessionali a due grate pervenuti dalla chiesa abbattuta, fossero in proporzione più voluminosi dei recenti. E dopo averli dati alle fiamme uniti al coro brulicante di tarli, vennero posti gli odierni realizzati a misura delle fenditure. Ma ciò che mancava in particolare non era tanto la mobilia interna, bensì le due sacrestie laterali e altro ancora che diremo nei capitoli successivi.  



Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright propria.

S. Michele del Quarto 11 novembre 1945. Il Patriarca Card. Piazza chiude la pietra all'interno della quale vi sono i documenti citati, regge con la mano sinistra il Bastone Pastorale. Osservano i chierichetti controllati dal cappellano don Gino Bortolan. La catena di ferro in primo piano verrà utilizzata per sollevare e adagiare
 la grossa pietra nell'alveo aperto al centro delle fondamenta. In seguito venne ricoperta. Le curiosità fotografiche sono state rilevate mediante osservazioni sui partecipanti e sui fatti di allora. 

Il suolo di origine Torbosa e la testimonianza del cappellano Bortolan don Gino. 
(In seguito parroco di Altino. 1941/51)

L'omelia tenuta a Quarto d'Altino da Bortolan don Gino durante la Messa solenne del 30 settembre 2001, (Presente il sottoscritto) ricordava in questi termini, alcuni particolari dello scavo entro cui doveva alloggiare la fondamenta del campanile. "Quando nel settembre del 1941 venni qui per la prima volta, c'era a sinistra della facciata della chiesa una grande buca. Il parroco d'allora Scattolin don Carlo, mi disse che vi doveva sorgere il campanile, ma che a causa della guerra in corso, non era possibile acquistare il cemento necessario e perciò i lavori erano sospesi. Sul fondo della grande buca s'intravedevano dei pezzi di binari incrociati, che il vostro parroco aveva raccolti e là depositati per rafforzare il terreno di origine torbosa". (10)

(10) -  La gettata in calcestruzzo effettuata quattro anni dopo la visita del Bortolan, non poté nella circostanza del settembre 1941 riferire ciò che non vide quando venne chiusa nel 1945. Vennero infatti introdotti uniti alla colata di cemento un numero incalcolabile di blocchi di marmo. 
La manovalanza venne affidata al volontariato del paese che riempì la fossa nella medesima giornata. 

La copia di un documento identico all'originale.

Dalla testimonianza del Bortolan, si capisce che "la grande buca" dove il vicario del parroco Scattolin, notava sul fondo alcuni "binari incrociati", segnalavano storicamente, che nel mese di "settembre 1941" la fossa era già conclusa. Sta di fatto che la suddetta "grande buca" ultimata in meno di due anni, rimase aperta ma rigorosamente recinta sino al 1945, anno del getto della fondamenta. 

Il manoscritto del Bortolan relativo all'omelia e alla datazione, venne donato da don Gianni Fassina (Parroco dell'epoca) al suo segretario personale Alfio Giovanni Bonesso che tuttora conserva. (11) 
La riproduzione in copia scritta mezzo computer venne affidata dal parroco al citato segretario, che poi depositò per l'archivio parrocchiale. 
Il documento riprodotto venne esaminato anni dopo dal dott. Ivano Sartor, che sulle basi di quanto io stesso avevo anticipato dapprima sul Blog mio personale, dove il letterato apprese anticipatamente la segnalazione, e basandosi sul documento da me riprodotto, divulgò la notizia come merito suo esclusivo.... benché fosse stato scoperto, rilevato, riscritto e segnalato dal sottoscritto, che peraltro possiede l'originale, e potrebbe testimoniarne l'operato. 


(11) Manoscritto 0riginale del vicario Bortolan don Gino nel quale narra durante l'omelia tenuta nella chiesa S. Michele Arcangelo di Quarto d'Altino le vicende della parrocchia. L'omelia venne tenuta alla presenza degli sposi iscritti ai lustri matrimoniali in occasione del santo Patrono di domenica 30 settembre 2001. 

(11) La datazione riportata da don Gino è da ritenersi importante in quanto dichiara il compimento degli scavi. Utile quindi a sommare l'attività intera e non parziale come sinora è stato fatto sul pro erigendo campanile. Diversamente, la targa collocata fronte il campanile, presenta un errore di fondo che verrà discusso più avanti. L'inesattezza è confermata da approfondite indagini quanto da documenti probanti.

Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni.

Nella foto a six, si nota don Gino Bortolan in tarda età. Nell'immagine a lato, il giovane vicario del parroco Scattolin, appare in compagnia della madre. Sono ritratti a tergo della chiesa di Quarto. Alla sua sinistra si trova la canonica, abitazione nella quale visse per un breve periodo unito alla famiglia. L'ingresso relativo al vicario don Gino non era però il medesimo del parroco, bensì situato all'angolo estremo della canonica. (A destra se visualizzato da nord, da via Roma) Una ripida e rumorosa scalinata in legno lo portava nel proprio appartamento. Al di sotto dell'alloggio destinato a don Gino, permaneva dal 1907 il pollaio del parroco e relativa cantina a piano terra. La madre di don Gino esercitava con la figlia, l'attività di sarta. Nel 1942 l'intera famiglia venne traferita ad Altino.

Il terreno sabbioso/argilloso e i ciottoli di dubbia provenienza, secondo la Stazione Agraria Sperimentale di Udine.                                

Studi pedologici sui terreni agrari di Quarto D'Altino  "....assegnano alla zona compresa tra il Sile e lo Zero, una preminenza sabbiosa, argillosa e giallognola. Sono più chiari quelli allo stato secco e più gialli allo stato umido. I terreni agrari spettanti alle alluvioni del Sile, sono sciolti, sabbiosi-limosi con granuli di caranto in via di formazione.
Il Sile in antico, uscendo dal suo alveo e riversandosi sulla superficie con singoli rami di piena e in frequenti esondazioni, ha prodotto i diversi lembi e strati. Non si nota presenza di conchiglie di molluschi marini, bensì quella sporadica di ciottoli di dubbia provenienza". (12)
Questi terreni torbosi si spingono sino alla vicina Claudia Augusta Agozzo, le case Colombara, lo Zero e il Pojan. Si tratta dunque e ovunque di alluvioni di terraferma". 

(12) Uno studio petrografico sui ciottoli rinvenuti sul terreno torboso di Quarto d'Altino avrebbe potuto stabilirne l'origine qualora fossero stati sottoposti ai medesimi esami dei ciottoli tolti dal Sile presso Casier. Ebbene questi ultimi, risultano essere di origine dolomitica. Si ritiene quindi, che anche le ghiaie trascinate dalle alluvioni del Sile ed emerse a Quarto d'Altino, abbiano avuto le stesse caratteristiche. 

Questa è in sintesi la genesi dei terreni confermata dalla Stazione Agraria Sperimentale di Udine. Don Bortolan che notò e documentò solamente il composto di origine torbosa, non vide e non poté neanche riportare nelle sue memorie, quei sassolini la cui caratteristica dipendeva, come affermano gli studi di Udine, "sporadica e di dubbia provenienza". 
Se all'epoca degli scavi si fossero tenute delle analisi sulla natura dei ciottoli affiorati a Quarto d'Altino, (zona scavi campanile) si sarebbe scoperto essere della stessa origine dolomitica di quelli tolti dal letto del Sile in località Casier. La circostanza ci porta a ritenere con attendibilità, che quei sassolini emersi dagli scavi, sono il prodotto delle correnti delle acque esondate dal fiume Sile-Piave e trascinate, sino alle fondamenta del campanile, oltre le case Colombara, Zero e Poajn ecc. (13) 

(13) - Il binomio Sile-Piave comprende in realtà un unico fiume. Il Sile infatti, essendo anticamente collegato al corso principale del Piave era pertanto conosciuto con entrambi i titoli. Vedi il perché nei capoversi compilati sotto. 




Vedi cartina studi pedologici per la provincia di Venezia eseguiti dalla stazione agraria sperimentale di Udine. La pianta documenta l'origine torbosa del terreno situato in Quarto d'Altino, già osservato da Bortolan don Gino in contemporaneità agli scavi pro campanile.

Sul riquadro n° 4 tinto verde riprodotto su mappa, appare Quarto d'Altino situato presso il corso del fiume Sile colorato in blu. Secondo lo studio della Stazione Agraria,  assegna al suolo tinto verde, un carattere " Sabbioso - argilloso, calcareo dolomitico di recente alluvione del fiume Sile".

Il riquadro n° 1 tinto giallo riprodotto su mappa, assegna un terreno "Sabbioso argilloso antico con decalcificazione molto pronunciata". 

 
I ciottoli di Quarto d'Altino legati al diluvio 
nel Veneto narrato da Paolo Diacono. 

(Nobile Longobardo nato a Cividale nel 720 d.C. - figlio di Warnefrit e Teodolinda) 

Nei pressi di Casier, sono state rinvenute sul fondo e ai lati del fiume Sile, composizioni di ghiaie simili a quelle recuperate durante gli scavi per le fondamenta del campanile di Quarto. Anni di ricerche scientifiche non hanno ancora svelato il mistero della presenza delle ghiaie depositate sul fondo del fiume e, tuttora non si spiega come mai un fiume di risorgiva (Il Sile) che non ne produce, come abbia potuto contenerle se non fossero pervenute da un antico ramo del Piave collegato al corso del Sile. Un collegamento che sinora non è mai stato concretamente individuato se non reso probabile ma che certamente esisteva. 
Il carattere torrentizio del fiume Piave avrebbe dunque trascinato i ciottoli di origine dolomitica a Casier, sino a raggiungere Quarto d'Altino in relazione all'alluvione nella Venezia del 589 d. C. ricordata da Paolo Diacono in "HISTORIA LANGOBARDORUM". (testo moderno latino a fronte) " A quel tempo ci fu un diluvio nei territori della Venezia, quale non si crede ci sia più stato dal tempo di Noè... ci fu grande strage di uomini e di animali.... distrutte strade e cancellati sentieri..." 

D'allora il Piave collegato al Sile abbandonò il proprio e antico alveo mutando direzione. Ma il terreno torboso e i ciottoli sparsi nella zona rimasero laddove le torbide e le correnti del fiume li aveva depositati. Risultati dalle indagini portano a concludere che le ghiaie del Sile a Casier provengono dalle dolomiti trasportate dalle alluvioni del Piave. 
Di modeste dimensioni e peso sono invece quelle emerse a  S. Michele del Quarto, la cui minuta dimensione e levità  (Leggerezza) avrebbe velocizzato l'andatura rotolando sino a raggiungere il paese di Quarto in provincia di Venezia. Va precisato che il fondo del fiume Sile, non era allora caratterizzato da detriti e masse fangose come appaiono oggi,  le quali, non avrebbero  certo favorito la corsa delle ghiaie al mare. 
Diversamente quelle tolte dal fondo del Sile a Casier, si arrestarono molti chilometri prima, causa il peso maggiore, il volume e la quantità.  

L'assunzione di responsabilità dei contadini

Ecco, questa è in breve la genealogia del terreno su cui venne eretto il campanile di Quarto. Tutto dunque corrisponde e si collega con quanto sostenevano i contadini scavando la fondamenta. Una fossa di origine torbosa inizialmente composta da un terreno durissimo misto a ghiaie su cui poggia e si regge ben saldo il campanile. Del resto non avevamo dubbi sugli scavi autorizzati dall'Ingegnere Angelo Scattolin come non ne avevamo sulle informazioni ricevute dai contadini. Anche quando nei pressi del campanile venne aperta scavando in misura maggiore ed ampiezza, la recente piazza S. Michele. E tali scavi essendo profondi e ampi più delle stesse fondamenta del campanile, si temeva che la Torre distanziata a poco più di una decina di metri, avesse potuto inclinarsi. Ma non accadde proprio nulla.

Il terrapieno della Via Claudia Augusta legato ai mattoni per la Torre di Quarto. 

Si dirà, cosa centri la Via Claudia col campanile di Quarto, eppure, vi sono delle affinità molto forti e rilevabili. La prima è legata ai blocchi di marmo di origine romana gettati come basamento ( Lo stesso principio venne assunto anche sulla fondamenta chiesa) e la seconda che definiremo più avanti, è il terriccio tolto dal terrapieno della Claudia Augusta sito in Musestre, col quale inizialmente si realizzarono parte dei laterizi. Esaurito il terreno prodotto dall'argine citato, vennero realizzate in seguito numerose cave estrattive tuttora conservate e destinate a gare di pesca.

A questo punto, dovremmo anche rinfrescare la memoria a chi non ricorda o non conosce la 
strada consolare Claudia Augusta, aperta intorno al 15 a. C da Druso Claudio "Germanico" Generale di Augusto ai tempi della conquista della Rezia e della Vindelica. 
Ebbene questa correva da Altino a S. Michele del Quarto doppiando il fiume Sile a Musestre. Veniva descritta come una massa di terra rialzata spianata al sommo, eretta a guisa di strada fortificata ai lati. Partiva da Altino raggiungeva il Sile presso l'antico porto di Quarto d'Altino  (Ad Quartum) dove mediante un ponte sul fiume raggiungeva l'odierno Augsburg in Germania. 
La strada elevata ad argine, consentiva il transito ai legionari di Roma che grazie all'altura, evitavano le alluvioni del Sile e zone paludose derivanti. Com'è noto la Claudia era una via militare e come tale garantiva la viabilità alle truppe romane sino al porto sul Sile, sito del recente Quarto d'Altino. Poi deviando a Nord, raggiugeva l'Austria e quindi la Germania.

La testimonianza della famiglia colona Bonesso detto "Grando"

A confermare l'antico rilievo stradale intervennero nel 1950 circa i coloni del primo gruppo relativo ai Bonesso detto "Grando" giunto a S. Michele del Quarto nel 1847. Nella circostanza, ricordava d'essersi installata nella zona detta le "Brustolade" su richiesta della nobiltà dell'epoca. (Forse la fam. Lattis o Lattes) 
L'istanza, sollecitava l'impiego di allevatori addetti al governo del bestiame e non meramente gruppi di contadini per l'agricoltura come allora si credeva. Tale richiesta trovava peraltro ragione, per il semplice fatto che la scarsità di terreno coltivabile, non rapportabile alla fangosità della zona, costringeva la nobile famiglia ad allevare bovini piuttosto che produrre derivati agricoli. 
Il primo gruppo B. della fam. "Grande" (In forma dialettale "Grando") proveniente da Mogliano Veneto s'insediò nell'attuale Cà delle Anfore nell'anno sopra citato, il secondo costituito dal fratello e famiglia, giunse circa due anni dopo e vi rimasero uniti coi discendenti sino al 1937. 
Nel frattempo i fondi del proprietario (Ignoto), vennero alienati al nobile De Reali (1850 circa) il quale, demolendo quanto restava della via romana, conosciuta allora col titolo "Lagozzo" (da antiche paludi di Musestre chiamate la-goz (14) utilizzò i residui sporgenti dal piano di campagna, bonificando parte dei terreni acquistati. (14) 
La causa dell'abbattimento si deve prevalentemente al disegno del nuovo proprietario che ponendo a cultura un terreno stagnante, lo rese produttivo demolendo quanto restava della strada a piano rialzato, e con essa scomparve anche l'antichità della via. Oggi vi rimane soltanto il tracciato condiviso dalla memoria dei contadini i quali all'epoca, ignari dell'importanza della via di comunicazione, la rasero al suolo per comodo del proprietario. 
E ora procediamo sull'offerta della spesa, per la quale alcuni benestanti intendevano erigere il campanile a loro nome.

(14) Historia di Trivigi. 1444. - Giovanni Bonifaccio. pag. 85.

(14) L'altura o terreno rialzato segnalato dalla fam. B. "Grando" è anche ricordato nel fascicolo parrocchiale relativo alla 18^ festa S. Michele del settembre 2002. Per quanto riguarda il vissuto e le avversità sostenute dalla stessa fam. appaiono invece nel fascicolo settembre 2007. Si possono esaminare presso l'archivio parrocchiale di Quarto d'Altino. Le esperienze, la storia e il passato, sono descritte sotto il titolo: "Storie di migrazioni, devozioni, miserie, servitù e malaria...." Le memorie  della famiglia verranno prossimamente riprodotte e ampliate qui, nel Web del sottoscritto sotto il  medesimo titolo.

L'offerta dei ricchi proprietari

Un offerta al finanziamento dell'opera, giunse dal proprietario di fondi agricoli Conte Dino Lucheschi unito all'impresa edile Franchin di Carpenedo-Mestre, i quali intendevano sostenere la spesa in cambio dell'affissione dei loro nomi all'ingresso della Torre. 
Non è certo se l'offerta fosse a fondo perduto o a carattere di prestito per accelerare i lavori, in ogni caso il parroco, dopo aver udito i capifamiglia rifiutò l'offerta favorendo il contributo della cittadinanza, unica ad aver sollecitato la realizzazione, precedendo di fatto anche i facoltosi proprietari. 
E sulla base della proposta popolare, Scattolin don Carlo rese possibile la progettazione di una impresa edile a titolo personale, stipendiata dalle famiglie dei residenti. In memoria della decisione, venne apposta a ricordo sulla facciata del campanile una targa in bronzo recante la seguente indicazione: " Opera realizzata dalla popolazione di Quarto d'Altino negli anni 1945/1956/". (15) 

(15) La datazione è da ritenersi errata in quanto "l'opera realizzata" si riferisce solamente all'esecuzione del campanile. Non vi sono inclusi per esempio, il periodo dei carotaggi e degli scavi per le fondamenta, il trasporto dei marmi, la posa dei binari, la gettata in calcestruzzo, la statua dell'Arcangelo Michele e le tre campane. Queste ultime infatti, alla data 11 agosto 1965 la cittadinanza doveva ancora versare alla ditta De Poli (Proprietaria della fonderia) 2.350,000 lire. Questo passivo coinvolse ancora una volta l'intera popolazione che lentamente estinse. Nel frattempo l'attività cantieristica si divideva in impieghi diversi e suppletivi: in pratica non era ancora finita. Su quest'ultimo periodo daremo spiegazioni più avanti.

Le dispute politiche non suscitarono divisioni tra gli opposti gruppi.

L'esclusione dei ricchi proprietari segnò una coesione popolare tale, impensabile all'epoca in quanto la cittadinanza pur disunita dalla politica nazionale e locale, anziché scindersi e procedere verso una rottura insanabile come spesso accadeva in simili frangenti e tuttavia, ognuna delle quali pur rimanendo ferma nei propri ideali, incentivarono ugualmente la realizzazione. E nonostante le divergenze politiche fossero tante e mettiamoci pure le frequenti dispute durante le elezioni comunali, continuarono nei loro impegni assunti dinanzi il parroco e alla società. 
Si trattò tutto sommato di un intesa pressoché unanime, (eccetto qualche famiglia) sostenuta da un numero di persone magnetizzate dalla tangibilità del fabbricato. Prevalenti peraltro in paese, tanto che, se si fossero presentati come partito politico congiunto, ne sarebbero usciti vincenti dalle pubbliche elezioni. La prova più evidente è data dalle offerte pro erigendo campanile registrate negli elenchi del parroco dove vi appaiono anche i nomi degli opposti gruppi politici, conosciuti peraltro dallo scrivente. Un evento dunque documentato e di eccezionale portata. 

I primi documenti

Il 20 febbraio 1944, la ditta fratelli Pacifici di Noventa di Piave forniva per le fondamenta, mc. 135 di sabbia ad un costo di lire 9.639.  Il 25 febbraio la ditta Barina di Casier fornì all'impresa edile Giuseppe Biondo di Musestre mc. 29,46 di ghiaia a lire 55, e 135 mc. di sabbia a lire 70 per un totale di Lire 1.652,70. Il materiale sarà utilizzato per la gettata in calcestruzzo sul pro erigendo campanile. Alla realizzazione partecipò una folta schiera di volontari del paese, amministrati dall'impresario edile sig. Biondo Giuseppe residente a Musestre e da due operai della ditta stessa.
Altra ghiaia, sabbia e materiali diversi furono sicuramente acquistati, ma non risultano nei documenti. La società elettrica S.A.D.E pretese lire 279,20 per fornitura forza motrice (400 Watt, 120 Kw/h) - per probabile uso macchinari tipo Betoniera ed Argano. 




Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Vedi su foto, l'impresario Giuseppe Biondo. 

L'attività dell'imprenditore edile oltre a realizzare le fondamenta del campanile, si rivolse anche all'interno della chiesa di Quarto. Vi eresse tre altari: la Sacra Famiglia, S. Teresa del bambino Gesù e S. Antonio. Ricavò dai muri perimetrali anche le quattro odierne cappelline. Vedi capitolo: "La chiesa e gli affreschi".

La prima pietra.
L'11 novembre 1945, il Patriarca di Venezia mons. Piazza, dopo solenne cerimonia, pose la prima pietra sulla base centrale del campanile. L'arricchì di monete correnti, di una pergamena firmata dal Cardinale e dal progettista del campanile architetto Angelo Scattolin. Il desiderio della cittadinanza quanto del parroco stava dunque per avverarsi. L'impresa edile venne scelta dal sacerdote ritenendo opportuno siglare sin da quel momento un legame possibile, tra gli operai, la cittadinanza e campanile. Propose come capomastro il sig. Antonio Prete detto "Toy Gambaro" residente in comune di Silea. In seguito vennero aggiunte altre cinque persone: due manovali, due muratori e un carpentiere. 
Nonostante i problemi di ordine economico e dai limiti imposti dai rallentamenti dei vecchi macchinari, il gruppo parrocchiale portò ugualmente il campanile, dopo varie peripezie che diremo, ad un altezza pari a metri 40. La cella campanaria come si vedrà più avanti, sarà realizzata dalla ditta Franchin di Carpenedo. In seguito vi prese parte anche la ditta Scanferlato. Impresa specializzata alla messa in opera
 mezzo carro elevatore, i marmi pesanti sulle finestre aperte del campanile e sulle parti restanti della Loggia.  

I marmi. 
Il primo corso marmoreo della qualità "Campaniletto" costituito da 24 blocchi curvilinei, bocciardati e sporgenti rispetto al proseguo del campanile, (Costo L. 58.000) costituirono la base necessaria su cui verrà eretto il campanile. Sono di colore bianco naturale e sagomati secondo istruzioni dell'architetto Scattolin. Provengono dalla cava Astari di Conco lavorati dal sig. Emilio Zanchetta nel suo laboratorio di Pove (Vicenza). (16)
In una bolla d'acconto datata 13 luglio 1946, si scopre che Scattolin don Carlo versava alla ditta Zanchetta una piccola cifra, pari a 21 giornate di assistenza a lire 330 l'ora per posa "del primo basamento numerato", cioè del primo corso di marmo a pianoterra.
Il secondo corso, composto in 4 linee orizzontali legati ma divisi in settori, vennero collocati non senza difficoltà, tra l'autunno del 1946 e la primavera del 1947. 

(16) - I marmi registrati sono 72 di numero - Una seconda fornitura non registrata giunse in seguito - Sono a forma arrotondata - battuti a bocciarda - qualità campaniletto - dal costo L. 157.000. Furono donati dalle famiglie su cui vennero incisi successivamente i nomi dei benefattori.

L'inverno rigido
In quel primo rigido inverno, l'antigelo sui materiali cementizi, più che rappresentare un elemento di sicurezza, costituiva piuttosto un elevato rischio per la struttura di base, motivo per cui le sospensioni dal lavoro erano frequenti. Cosicché i muratori, durante le giornate vuote si attivavano altrove. La posa dei marmi procedette comunque con lentezza, sia per la pesantezza dei blocchi quanto per i mezzi antiquati in uso dell'impresa parrocchiale.

Non vi è nessun libretto in banca 

Accantonato un risparmio di lire 118.000 dovuto al pareggio amministrativo relativo ai bisogni della chiesa, il parroco don Scattolin intendeva impiegarlo col consenso del Patriarca (Card. Piazza) che non negò, per far fronte ai primi costi del pro erigendo campanile. 
La somma documentata è il tipico esempio di un saggio parroco che, economizzando sui bisogni della chiesa intendeva donarla al proseguo del campanileDubitiamo d'altra parte che la cittadinanza ne fosse al corrente (se si esclude il consiglio pastorale) poiché non risulta registrata sulle spese amministrative. 
Si tratterebbe quindi di un vero e proprio intervento finanziario, laddove la popolazione venne inconsapevolmente sollevata dalle offerte. Sotto l'annotazione e con l'ovvio proposito di renderlo noto al Patriarca, il parroco scrive: "non vi è nessun libretto in banca".... come dire, inutile possedere o amministrare un libretto se non vi sono risparmi.



Foto archivio Alfio Bonesso Giovanni. Anno 1953. 

Sulla vetta oramai conquistata appare il gruppo dell'impresa parrocchiale. Dalle vesti si desume essere il periodo estivo. 
Da sinistra e riconoscibile Attilio Colombo originario di Quarto d'Altino (1922-1990) principale e autorevole artefice per la realizzazione del percorso a chiocciola. 
Secondo a six. Furlan Tiziano (1922-1988) detto "Aldo" da Casale sul Sile. 
Terzo seminascosto dal trave, Zanon Agostino detto "Angelo" da Quarto d'Altino. Classe 1926. All'epoca delle mie personali ricerche il sig. Zanon Angelo era vivente.
Segue Prete Silvano detto "Gambaro" domiciliato a S. Elena di Silea. (1935-1999) E' figlio del conosciutissimo capo Mastro, sig. Prete Antonio.
A lato di Silvano appare col baschetto in testa, il padre Prete Antonio detto "Toy Gambaro" (1907-1961) capo mastro dell'impresa parrocchiale. 
Ultimo a destra, Crosato Luigi da Casale sul Sile. (1896-1996) 

Il suggerimento del sottoscritto: Reperire foto d'epoca dalla popolazione cui trarre elementi utili per la storia locale. Le immagini verranno riportare sugli opuscoli pubblicati annualmente dalla parrocchia.

I personaggi pubblicati nella foto sopra, sono stati individuati dal sig. Alfio Giovanni Bonesso mediante ricerche attuate presso le abitazioni delle famiglie, dei figli, nipoti ecc. Con lo stesso sistema ha potuto rintracciare parte delle numerose foto presso i nuclei di origine altinate. Le foto d'origine sono state restituite ai legittimi proprietari. In seguito vennero riprodotte su DVD-R e riposte nell'archivio della parrocchia. A tempo debito vennero pubblicate sugli opuscoli per la storia della parrocchia. 
Le riproduzioni incluse le foto di proprietà del sottoscritto, narreranno un giorno, grazie all'intuizione avuta dallo scrivente, la storia delle famiglie residenti nel comune di Quarto d'Altino. Dalle ricerche fotografiche non è stato escluso il castello di Musestre prospicente sul Sile e la città di Roncade. Sono indicatori efficaci, appropriati per la storia locale cui pochi comuni posseggono. 

I ritardi.


Tra una sospensione e l'altra anche i ritardi della ditta Zanchetta pesarono sulla produttività dell'impresa. Il differimento dei marmi provocò infatti un forte rallentamento dei lavori, tanto che la posa successiva si concluse nella "primavera del 1947". 
Dalla primavera '47 all'undici gennaio 1952 (Prima data documentata arrivo mattoni) emergono 5 anni durante i quali le consegne laterizie non vennero registrate, né il campanile venne mai interrotto dal proseguo... se si eccettua il periodo invernale, e in ogni caso i recapiti non mancarono mai. Ciò che invece risultò difettoso al sistema delle consegne è da addebitarsi alla scarsità delle certificazioni.  Dopo la posa dei marmi effettuata nella primavera 1947, seguì senza interruzioni quella in mattoni.    

In una nota a parte priva di data, si apprende il primo recapito giunto in 12 trasporti di laterizi, pari a 60.000 pezzi provenienti da Lughignano. La bolla priva di datazione, dovrebbe riferirsi al comunicato del febbraio 1952 dove il parroco Scattolin scrive:"... il trasporto mattoni è cominciato l'11 gennaio 1952..."  Nessun'altro trasporto come sopra accennato venne mai registrato tra il 1947 e il 1952. Ciò significa che i primi recapiti non sono mai stati ufficialmente notificati.  

I documenti emersi casualmente.

Normalizzato i rapporti con la popolazione, il parroco iniziò a diffondere notizie sull'attività in un contesto più ampio mediante comunicati scritti. (Gli stessi venivano ripetuti dal pulpito) La novità veniva riportata a mezzo di un bollettino ufficiale dal significato ben preciso: annunciare il programma e la continuità dei lavori. Sul medesimo, apparivano anche i nomi dei donatori e la quantità delle offerte. Grazie a questi elenchi, iniziati nel novembre 1951 e terminati nel 1960, furono casualmente rintracciati dal sottoscritto. Oggi quei documenti, sono in grado a rendere noto i programmi, l'attività e durata del pro erigendo campanile. (Escluso ripetiamo, il periodo non documentato 1939-1945 e dopo il 1960.)  I documenti registrati dal parroco ma pubblicati dalla parrocchia  sono forniti del titolo: "La voce del Pastore" e in seguito "Le campane di Quarto d'Altino". 

Roma 30 agosto 1948.

Frattanto, il Ministero dell'Interno Direzione Generale Amministrazione Civile, scriveva al Card. Adeodato Piazza Patriarca di Venezia, notificando di aver assegnato al richiedente la sovvenzione in danaro stabilita in questi termini: "Ho l'onore di comunicare alla E. V. che, con provvedimento odierno al Comitato Civico di S. Michele di Quarto d'Altino, è stata concessa la sovvenzione di Lire cinquecentomila". (500.000) Il ministero  però non ne specifica l'utilizzazione, va tuttavia premesso che dato l'annuncio diretto al Patriarca e la somma destinata al Comitato di Quarto d'Altino dove è in atto la costruzione del Campanile, sia legata a tale attività. Altre funzioni dipendenti ad opere parrocchiali pare che all'epoca di altrettanto importanti non ve ne fossero. Tenderei quindi per l'assegnazione della quota al pro erigendo campanile.

Le elargizioni gratuite.      

La notevole quantità di mattoni pervenuti da Lughignano in 60.000 pezzi, (citati sopra) non sempre costituivano quell'automatismo di rapporti corretti e sottoscritti. Gli operai dell'impresa parrocchiale ritenevano viceversa, essere parte di un dono effettuato dalla stessa o dalle stesse fornaci
I primi mattoni documentati (tra cui pare sia inclusa anche parte delle donazioni) si sarebbero dovuti applicare rivestendo la sezione interna costituita dalla nuda vista dei marmi sagomati. Col provvedimento, venne finalmente ultimata la base, o se vogliamo, il primo pezzo rivestito in marmo del campanile.
Il dono non è comunque certo, (Si premette che non è documentato) d'altra parte il parroco, nonostante avesse ricevuto le stesse offerte da una fornace rivale, continuò con la medesima. Ma le pressioni della seconda continuarono a ritmo accelerato, finché le resistenze del sacerdote sedotto dalle continue offerte, aderì alle proposte, erogazioni gratuite comprese. (17)

(17) Le erogazioni gratuite, non erano all'epoca ritenute un fatto di per sé scandaloso, in quanto erano parte delle rituali commesse. Si trattava però di controllare se possedevano le stesse caratteristiche di qualità-solidità, di quelle non gratuite. 
Vedi per esempio il Cav. De Reali, che nel dicembre 1853 estrasse dalla sua fornace di Altino 118,000 mattoni per la chiesa in costruzione, dei quali scrive l'ingegnere Fuin "...una parte gratuita e il rimanente a pagamento ritardato e a prezzi inferiori a quelli di ordinario commercio." 
Oltre alla trasparenza della fornace De Reali, del rapporto con la chiesa, dello stile, commercio, esecuzione e serietà, si deve altrettanto aggiungere che i mattoni realizzati a mano ed erogati gratuitamente, non subirono mai quegli sfaldamenti che oggi si notano sul campanile. 

Gli effetti delle elargizioni gratuite e i problemi  derivati dal campanile.    

L'abitudine delle donazioni esercitate in vari tempi e modi, non furono certo vantaggiose per la costruzione del campanile. Lo si è dedotto nel momento in cui apparvero sui mattoni posti a dimora, quelle classiche aperture a falde e che in seguito vanno a dissolversi in pulviscoli sottili per non dire polveri. 
Collocati a macchia di leopardo e non tanto per diletto, bensì per ordine di arrivo, s'intuisce dalla messa in opera, che un certo numero di mattoni strutturalmente solidi, vennero mischiati con quelli ricevuti in donazione 
senza distinguerne la qualità. Non sarebbe stato facile peraltro, per non dire impossibile, valutare tramite i muratori le singole proprietà dei mattoni quando manipolandoli avessero diagnosticato quali fossero i possibili sospetti. Qualora poi, fossero stati fabbricati e consegnati a carattere separato, cioè dividendo quelli di natura solida ai fragili, non sarebbero certo apparsi quei sfaldamenti a macchia di leopardo come oggi si notano. Bensì uno dopo l'altro in ordine di successione sino all'esaurimento della partita. E' dunque assodato il mescolamento tra i due elementi.

Le frantumazioni inoltre si verificano più diffusamente a nord che a sud. Logico quindi ritenere che i mattoni gratuiti posizionati a settentrione, (tramontana) non reggono alle intemperie invernali, segno dunque evidente della parziale tenuta o resistenza dei laterizi. E non reagendo ai limiti imposti dalla cottura, vanno a sfibrarsi durante l'esposizione dei rigidi inverni, delle calure estive e degli agenti atmosferici. Perciò destano molte interrogazioni a cui tenteremo dare risposta. 

I rilevamenti secondo specialisti dell'edilizia.  

Secondo analisi effettuate da alcuni esperti in edilizia, (muratori) le sfaldature e la scarsa tenuta dei laterizi, sarebbero dipesi da alcuni procedimenti incompleti effettuati durante la trasformazione del materiale. Per esempio, nel momento in cui l'argilla viene collocata entro gli stampi, non si sarebbe provveduto nel contempo a comprimere regolarmente il terriccio. Una minore pressione infatti, unita ad una cottura breve o comunque affrettata, avrebbe determinato una compattezza irregolare provocando la friabilità dei mattoni. 
Una fragilità quindi, che al momento il parroco non poteva neanche immaginare. Sull'ipotesi andrebbe anche aggiunto la contesa sorta tra le industrie produttive, dovute all'accaparramento delle commesse e ai vantaggi economici derivati.

Secondo i rilevamenti e in base alle conoscenze dell'epoca, venne anche esclusa l'ipotesi per la quale la friabilità avesse potuto dipendere dalle vibrazioni seguite dagli ondeggiamenti provocate dal suono delle campane. In tal caso l'oscillamento avrebbero dovuto lesionare tutta la circonferenza del campanile, in particolare in prossimità del vertice dove il tremolio provocato dalle onde sonore risulta più forte. Né mai queste, avrebbero potuto raggiungere i piani inferiori del campanile, laddove all'opposto appaiono le medesime disgregazioni rilevate nei piani più alti.

All'interno del cilindro, per quanto la luce confusa e ombrosa avesse solamente consentito un parziale controllo, non sono apparsi a vista d'occhio danneggiamenti di alcun genere, né guasti come quelli provocati esternamente. Segno evidente che le vibrazioni non c'entrano nulla, tranne i rigidi inverni, le piogge e i ghiacci i quali posandosi sui laterizi di minore qualità, producono in continuità le frantumazioni accennate



Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni. Maggio 1955. 

Vedi il campanile privo delle rispettive protezioni in Marmo. Sul campo sportivo della parrocchia appaiono alcuni lavoratori nativi di Quarto d'Altino. Se si esclude il ragazzo di nome Vendraminetto Mario, il resto partecipò alla costruzione del Campanile. 
Da six. E' riconoscibile Gasparini Antonio detto "Toni Tonon" (1916-1975) - Segue Dalla Vecchia Roberto detto "Berto" (1920-1986) - Quindi Brentel Luigi (1905-1975) - Dal Ben Oreo detto "Folador" (1915-1978) 
Le ricerche sui personaggi inclusi nella foto sono stati individuati mediante ricerche realizzate dal sottoscritto intervistando le famiglie dei lavoranti deceduti. Possiede pertanto, tutte le notizie e immagini duplicate su DVD-R. che lo stesso Bonesso in tanti anni ha rinvenuto e donato alla parrocchia.


Va pure esclusa la povertà dell'argilla prelevata in parte dal terrapieno della Via Claudia Augusta. Figuriamoci se dopo duemila anni di permanenza, soggetta peraltro al calpestio secolare, al sole cocente, piogge e tempeste e alle ingiurie d'ogni tempo, avrebbe perduto la ricchezza accumulata in tanti anni di esposizione. 
Non è quindi credibile, c'è dunque dell'altro. 
Un esempio potrebbe individuarsi qualora la responsabilità non fosse oggi tanto evidente d'incolpare sempre di fronte al danno, alla povertà dell'argilla, quasi mai o per niente provocata all'attività umana. 
Lasciamo dunque ai tecnici la soluzione del problema.  

E ipotizzando, si potrebbe anche dedurre dalle friabilità il numero dei mattoni sottoposti alle irregolarità citate, destinati alla parrocchia. Metodi questi che anticipavano la consegna oltre al risparmio energetico al solo profitto dei fabbricanti. Cosicché i laterizi riservati al parroco, acquisivano caratteristiche fragili a danno dell'intera comunità. 
In mancanza di riscontri approfonditi, vanno considerati con la cautela dovuta al caso, le ipotesi suggerite dagli esperti. Alternative al momento non ve ne sonoD'altra parte, se dovessimo oggi porsi gli stessi problemi sui fabbricati di origine antica, dovremmo ipotizzare che la fragilità dei mattoni di allora, sono molto meno evidenti o quasi nulli, se posti a confronto alla recentissima Torre di Quarto.   

 Una domanda che aspetta risposta

Non si capisce dunque, riferendosi a strutture, fabbricati e palazzi più o meno antichi, come mai edifici nudi secolari simili ai mattoni del campanile di Quarto, possano mantenersi pressoché inalterati nel tempo o addirittura nei secoli. Per esempio quello di S. Marco di Venezia, che pur vantando 116 anni di vita espositiva non risulta contaminato dalla salsedine, né da apparenti frantumazioni, né i mattoni mostrano fragilità circostanti, semmai si presenta come fosse appena eretto. 
Si possono poi osservare immutati nel tempo i rispettivi campanili di Casale sul Sile del 1700 e di Gaggio, il quale, se pure meno vetusto conserva la propria integrità. 
Le stesse caratteristiche si notano anche sui mattoni dell'Abazia di Pomposa assieme alla sua Torre eretta nel 1063, per non parlare poi delle mura medioevali di Montagnana in provincia di Padova e ovunque nel mondo. 

Aspettando verifiche e controlli delle 
più recenti tecnologie.

Se dunque questi fabbricati resistono inalterati ai tempi, ci dovremmo pur chiedere come mai i mattoni del campanile di Quarto d'Altino, di recente esecuzione peraltro, abbiano potuto subire tutti quei fattori negativi, non intenzionali forse, ma non certo dipesi dalla fatalità. 
La causa del danno emergerà nel momento in cui la Torre verrà sottoposta a verifiche e controlli dalle più moderne tecnologie del momento. Imminente è infatti il restauro del campanile, e finalmente verranno accertati moventi e ragioni.

                                     

Parte seconda. E' consigliata una breve pausa di lettura. 

Sul paragrafo che segue vi sono alcune novità dalle quali si potrebbero ricavare ampie e utili acquisizioni su di un fenomeno ambientale ritenuto raro, forse unico ma vero. E potrebbe anche ripetersi qualora si ripresenti la stessa condizione dell'epoca.

Quando la Torre dipinta d'argento stupiva la popolazione di Quarto d'Altino.

Quando notai sulla Torre, senza conoscere momentaneamente la causa e il perché mi apparve tutto d'un tratto di un colore diverso, simile per tinta come l'argento (18) correva un anno che non ricordo più. Il fatto però, riflettendo su quanto mi stava dinanzi, accadeva quando il sagrato appariva recinto dalle mura della chiesa e il rilievo di terra prodotto dagli scavi (19) per le fondamenta, occupava ancora il punto nel quale venne buttato sossopra, sia per mancanza di spazio quanto per un fattore economico.
Eppure per quanto la Torre fosse pulita e incorrotta dalla breve esposizione, come pure dai fumi automobilistici pressoché nulli provenienti dalla circostante piazza, doveva conservare per l'appunto le proprie originarie tinte. L'evento puramente naturale stupiva com'era ovvio, parte dei passanti durante quell'ora mattiniera, e io stesso che per altri motivi, mi trovavo là, a breve distanza.

(18) A produrre il fenomeno della tinta argentata apparsa sulle pareti del campanile, ci pensò una bella e tersa mattinata di primavera spuntata durante gli anni sessanta del novecento. E' narrata qui sotto
 

(19) Se ben ricordo il rilievo di terra resistette accanto alla torre sino al 1957: anno della conclusa attività edile. In seguito venne trasportato circa anni sessanta del novecento,  su richiesta del parroco sul campo sportivo parrocchiale dove giacevano cavità naturali sul terreno. All'opera si prestò il Sig. Attilio Bellio, colono residente alle Crete, il quale livellò gli abbassamenti a forma irregolare col proprio trattore. Il terriccio rimasto lo pose tra gli orti delle circostanti abitazioni. 

La brillantezza perduta. 

La causa per la quale i marmi del campanile non brillano più tanto quanto splendevano ieri, è da ricercarsi in buona parte dalle particelle inquinanti depositate tra le profonde zigrinature prodotte dalla ditta Zanchetta. (In gergo viene chiamata lavorazione a bocciarda) 
Imbrattati e trascurati da quasi un decennio, conducevano e conducono tuttora, una vita per così dire assai infelice, sin da quando almeno vennero aggrediti e anneriti dall'aria inquinante, dalle piogge violente e dalle esalazioni prodotte dai circostanti comignoli. 
Danneggiamenti direi piuttosto frequenti in natura, inefficaci però per quanto riguarda la funzionalità della Torre che teneva inalterato il proprio prestigio. E così colpendo il simbolo della città, vennero a guastarsi con gravi alterazioni di sostanze coloranti, quella lucentezza per la quale la stessa natura aveva loro donato e che oggi viceversa, li sferza e li lorda. 

Stessa questione riguarda la tinta dei mattoni ottenuta termicamente e, per quanto la conduzione calorica fosse identica per ogni fornata, non ricevettero la medesima colorazione uguale per tutti. (E si nota tuttora) Quale la causa? Forse un terriccio diverso, oppure la temperatura più forte rispetto ad una seconda più debole?
Ma da quando i mattoni si sono precocemente svigoriti, va da sé ipotizzare, non essere stati sottoposti a temperature regolari, per mezzo delle quali si sarebbe potuto mantenere inalterata la tinta. E infatti, il grado calorico unificato (Uguale per tutti) li avrebbe colorati uniformemente e forse protetti con miglior risultato dalle calure estive, dal ghiaccio e dagli elementi contaminanti. Tutele che, a quanto si nota, non sono mai state completamente realizzate.

Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni. Ottobre 1958. 

Arrivo della statua in acciaio inox da porre sulla vetta del campanile. L'opera è del prof. Benetton su bozzetto del prof. Romanelli. La statua relativa a S. Michele Arcangelo patrono della parrocchia di Quarto d'Altino, venne inaugurata domenica 16 novembre 1958.

Nella foto sono riconoscibili alcuni volontari durante il giorno dell'istallazione. Da six. Bonesso Giuseppe (1907-1973) - Il messo comunale Pavan Ermenegildo (1913-1999) - Busato Giovanni detto "Busatel" (1891-1973) - Bonesso Sante (1916-1981) - Marton Luciano - Personaggio Ignoto - Bonato Luigi - Sacilotto Giuseppe (1906-1964)  

Anche in questo caso come i precedenti, le ricerche e il recupero delle opere fotografiche per l'installazione dell'Arcangelo, si deve al sig. Bonesso Alfio. Ingrandimenti 40x30 e oltre sono a disposizione per eventuali mostre culturali. 
Sono conservate in Archivio per la storia di Quarto d'Altino.

La tinta argentata del campanile  

Chi non ha avuto tempo o non ha mai rivolto lo sguardo alla Torre quando allora esprimeva il meglio di se stessa, pare difficile oggi immaginarla nelle tinte sgargianti di un tempo. Nessuno infatti, dopo il il breve intervallo dal compimento, si sarebbe ricordato delle tinte originarie se non a seguito di una ripulitura di fondo. Mutata dunque di aspetto e perduto anche la propensione al riverbero, ora dimostra tutto l'invecchiamento assimilato in poco più di cinquant'anni d'esposizione. Eppure trascurata com'è, in balia dalle cicliche avversità dei tempi, si pone tuttavia tra le opere più importanti della zona e sopravvivendo allo stato di abbandono, rimane in attesa che qualcuno se ne prenda cura. 

Quando il campanile mi parlava 
senza interrogarlo.

D'altra parte, qualunque impresa di pulizia specializzata, avrebbe mai potuto riportarla come quando brillava di luce propria. 
E infatti, in quel periodo di stasi accaddero alcune manifestazioni legate ai fenomeni della terra e che io stesso sorpreso dal prodigio, vidi senza cercarlo e senza domandarmi perché accadeva in quella tiepida mattinata d'inizio anni sessanta. Epoca in cui mi onoro di aver assistito e memorizzato il fenomeno, anche se oggi non è più riproponibile nei termini di quando lo notavo in quel magico intervallo di tempo. E caso mai dovesse ripetersi, avverrà in modo parziale da non farci nemmeno caso, qualora ovviamente i materiali non venissero ripuliti allo stato originarioD'altra parte, il progressivo annerimento è tuttora causato dalla trascuratezza dovuta più che altro ai costi. Oneri per i quali la parrocchia non potendo assumersi la gravità dei costi, non avrebbe potuto neanche estinguerli. Vediamo frattanto come il campanile parlandomi senza interrogarlo, mi si offriva in quella lontana e fantastica mattinata di tanti anno fa.
  

Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.

Nota storica. Il colosso di Quarto eretto a canna cilindrica in stile ravennate, mostra a circa metà della parabola una gradazione diversa, desunta da una cottura insolitamente diversa. Nella parte inferiore i mattoni appaiono tinti rosso bruciato, nella superiore molto più chiaro. Durante le mattinate primaverili, quando il sole nascente appare più bianco e lentamente colpisce la Torre, è possibile assistere alla trasformazione delle diverse gradazioni prodotte sin dalla posa in opera.

Il prodigio del campanile eretto a canna cilindrica in stile ravennate.     

Osservando casualmente l'alba di quel giorno, non certo abituale durante il corso dell'anno, se non per la luce primaverile, improvvisa e abbagliante proiettata da levante sui miei occhi, per cui  infastidito, mi spinse a rivolgere lo sguardo dal verso opposto, dove per l'appunto sorgeva il campanile. E volgendo le spalle al sole nascente, vedevo esterrefatto la Torre che si stava stranamente e lentamente dipingendo. 
Illuminata da un fascio di luce non certo comparabile ai mesi precedenti, notavo così affascinato l'adagiarsi del bianco mattutino, sul tinteggio originario dei mattoni. Pietre si sa, già dichiarate a due tinte e ciò nonostante le vedevo ambedue lentamente mutare d'aspetto, e mutando, apparivano sovraesposte da un delicato clorito pressoché d'argento. La parte più alta della Torre però, appariva pressoché bianca, quella inferiore invece, tendente a sfumature bruno dorato chiaro. Capii poco dopo che tali tonalità venivano distribuite dal sottofondo originario delle pietre. L'una più chiara della seconda.   

Lo stupore cessò nel momento in cui compresi che il bagliore giungeva dallo spuntare del giorno e che per tale effetto moltiplicava i giochi di luce trasformando le tinte originarie ottenute termicamente. Anni dopo venni a capire il perché quella strana luce proiettata sulla Torre aveva efficacia di mutamento su delle pareti allora pulite, come dire non infangate dalle lordure attuali.
Nello stesso tempo l'incalzante riflesso più concentrato a piano terra che al superiore, andava lentamente a perdersi armonizzando le gradazioni, causa per la quale la parte più alta pareva trasformasse anche lo sviluppo rettilineo della Torre. 
Una stranezza davvero, giunta certo dalle pallide luci dell'alba che mutando in argento anche i frontespizi di marmo, costituivano al di là dello strano effetto ottico, l'originalità del campanile unico nel suo genere, eretto a canna cilindrica in stile ravennate. 
Al bianco argentato dei marmi, favoriti dal contrasto offerto dai mattoni mutati in sfumature bruno dorato chiaro, si univano anche i parapetti, le due cornici sporgenti lungo la circonferenza, e le balaustra collocate sulla rotondità della cella campanaria. 
Tutto illuminato dunque, nel tipico aspetto del metallo argentato.



Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.

Nota storica. La torre illuminata durante le notti più buie, soccorre i naviganti in condizioni di mare proibitive. E' visibile dalla laguna di Venezia  e dal mare più aperto. La fase illuminante favorisce e trasforma la Torre in un vero e proprio faro notturno. 

La luce metallica diffusa dall'Arcangelo Michele.

Lo stesso splendore si manifestava anche sui nudi mattoni, eppure, al di là della propria gradualità, apparivano meno accesi, molto meno di quanto il sole sferzandoli a metà giornata toglieva loro l'incanto della mattinata. Giunti poi alla volta del tramonto, tutto si riportava alla normalità, quella di sempre. A fissarlo intensamente, incuteva anche un certo senso di grandiosità quando al termine della giornata, nell'istante in cui la Torre viene colpita dalla calda luce del digradante crepuscolo, pareva sollevarsi dal suolo ed offrirsi in uno spettacolo eccezionale. 

In realtà, dimostrava e dimostra tuttora, sia per potenza che per dimensione, tutta la propria eccellenza e mole. Se poi vi aggiungiamo anche il crepuscolo che animando la Torre in una travolgente decelerazione visiva ancorché sorgente di elevazione, fa ben sperare che generi nell'uomo, ideali, sentimenti e sensazioni diverse. 
Ma ciò che più la distingue, non è tanto l'imponenza o il fenomeno della sollevazione, bensì l'immutabile gradazione metallica dell'Arcangelo Michele che, collocato sul punto più elevato della cuspide, domina e sorveglia invariato nel tempo il circostante paese.
Colpito dai raggi del sole, si difende riverberando altrove i fasci luminosi, opponendosi pari tempo, a tutti quegli elementi contaminanti, deleteri ai mattoni e alla bellezza perduta dei marmi. 

Il complesso dei fenomeni durante la fase declinante del Sole.       

Il fenomeno della sollevazione si potrebbe osservare solamente trasferendosi lungo lo scorcio della laguna, quando appunto il cielo per effetto del sole calante si congiunge alla terra e l'orizzonte si fa evanescente. Ecco allora che la Torre in quei brevissimi istanti, pare sollevarsi dalla terra e dominare il territorio circostante. 
Visione ottica? Fenomeno? Combinazioni naturali? Testimonianza del sovrannaturale? Per rendersi conto dell'eccellenza, che trasmette peraltro sensazioni intense, basterebbe proiettarsi entro lo specchio d'acqua fornito dalla laguna, utilizzando qualunque navicello... purché a portata di mano. 
Il fenomeno non preavverte nessuno, è rapido, si manifesta all'istante ed è raramente ripetibile. Per quanto poi sembri molto lontano, in realtà si potrebbe toccare quasi con mano. Un tocco al quale l'intrepido marinaio amante delle acque e dei litorali sabbiosi, dovrà tempestivamente avviarsi alla costa, ai margini dell'acqua. Addirittura molto prima che il fenomeno spunti, altrimenti rischierebbe il nulla, una pessima figura di fronte a se stesso e a ciò che avrebbe potuto notare e toccare quasi con mano. Non ci si impiega molto, il percorso è privo di curve, è diretto e veloce, il ritorno è come una schioppettata. Vedere per credere.

Auspicando dunque che i fenomeni apparsi sul campanile possano a breve ripetersi, riprendiamo la cronaca iniziando dall'indole cooperante dei ragazzi delle scuole elementari (Collocate all'epoca fronte la Torre) i quali, su richiesta del parroco, scaricarono dall'automezzo articolato un'intera derrata di mattoni


Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.

Il colosso di Quarto si erge visibile trai tetti della città su cui gli effetti cromatici delle tegole tendenti al rosaceo e, le circostanti campagne tinte di verde, si uniscono in un solo elemento guidato dai vari fattori esterni. 

Il desiderio con la quale la gente vorrebbe rendersi conto di quali effetti avesse rappresentato affrontando il percorso a chiocciola della Torre  spinge gitanti, curiosi e studiosi fronteggiare senza timore il percorso in qualsiasi condizione atmosferica e d'intermittenza. 

Privo di gradini perciò riposante, porta il turista sino all'abitacolo delle campane, laddove la vista del fiume, l'esplorazione dell'area portuale e del suggestivo panorama, matura l'ascolto della poesia intimamente inserita tra il cuore, l'anima e la mente.

Durante la stagione invernale emergono eventi che amano far suscitare ai gitanti, ponendoli in uno stato di commossa partecipazione. E' offerta ovviamente dai monti innevati unite alle casupole sommerse dalle bianche chiome alberate. E sul far della sera, si può anche assistere al fenomeno della fase declinante del Sole. L'esplorazione dalla cella campanaria è fissata nei giorni e ore stabilite, consentita anche ai minori se accompagnati. 


                                                                                     OOO

                                                        
Parte terza.
                                                              
Lo scarico dei mattoni e le polveri di cemento in chiesa.

Scaricare laterizi dal camion e in tempi veloci bisognava possedere e già si sapeva, un numero di maestranze maggiore più di quanto l'impresa parrocchiale avesse mai avuto e che già utilizzava durante l'erezione della Torre. 
Perciò non vennero mai considerati ulteriori assunzioni causa i costi aggiuntivi, a parte ovviamente il volontariato che in quell'occasione non poté rendersi disponibile. Cosicché il parroco, colto d'improvviso si poneva a quel punto il problema dello scarico e anziché demandarlo all'impresa che doveva sospendere l'attività già di per se in ritardo, si rivolse alla benevolenza delle insegnanti della vicina sede scolastica, chiedendo loro un possibile appoggio. 
Favorito dall'assenza del Preside e le insegnanti inclini a fare del bene, risolse la questione attivando le scolaresche. Non si stupisca il lettore della richiesta come dell'autorizzazione concessa dalle maestre, che in procinto di ultimare le lezioni e di uscire dalle aule poco prima dell'orario consentito, diedero la loro disponibilità. 
L'operazione di scarico si svolse alle ore 11/30 circa durante gli anni cinquanta del novecento, periodo in cui gran parte dei problemi assicurativi si attuavano fuori dalle norme e quelli tutelati venivano raggirati in qualunque ambito sociale.

Scelto i giovani della 5^ elementare, i più robusti delle tre sezioni, iniziarono l'operazione appoggiati dal camionista e da un operaio addetto all'Argano trattenuto ininterrottamente alla base della Torre. Sgombrata l'intera derrata e giunta l'ora d'andarsene a casa, il parroco Scattolin allungò improvvisamente ai ragazzi, una mancia imprevista, peraltro mai elargita prima. Appagati ma stanchi, pure contenti della partecipazione, se ne andarono gratificati più per l'ora di lezione perduta che del compenso ricevuto. 
Diversamente i sacchi di cemento giunti il giorno dopo, vennero scaricati dal volontariato pressoché sempre presente e posti su suggerimento del parroco ai lati dell'ingresso centrale della chiesa. Cioè, lontano da probabili furti, dagli acquazzoni e dall'umidità notturna.  

Tanta cautela però scivolò ben presto in danno. Un danno al quale i fedeli amareggiati dall'insolita posizione, obbligava l'ascolto della messa in un contesto nel quale la deconcentrazione era piuttosto diffusa e, per una ragione molto semplice. 
I sacchi di cemento soggetti alle correnti d'aria rilasciavano infatti, polveri invisibili ma fortemente irritanti causati dall'andirivieni delle porte laterali continuamente in movimento. E librandosi su di un area piuttosto vasta ricadevano sulle persone, ignare peraltro di un possibile danno materiale. Impercettibili alla vista ma non all'odorato, temuto ma non sofferto, si riversavano pure sulle vesti e sui veli delle donne e su tutti i presenti lungo le fasce laterali della chiesa. Inevitabilmente i più colpiti fecero richiesta d'indennizzo. 
Un risarcimento al quale il parroco non poté negare ma che usò come scusante, adducendo responsabilità alla carenza di spazi e che i realtà mancavano. Costernato e indennizzato il danno, trasferì parte della merce nel vano inferiore del campanile. La parte maggiore lo pose nella seconda sacrestia usata allora come magazzino. Il presepe di quell'anno che doveva allestirsi proprio all'interno del medesimo locale, veniva viceversa approntato sull'altare di Santa Teresa del Bambino Gesù. (20) 

(20) Il presepe veniva approntato annualmente dal sig. Zanon Agostino detto "Angelo" nella sacrestia di destra. Vennero erette entrambe nel 1917 circa) 

Le bolle di versamento e la 
povertà del sacerdote. 

Esaminando alcuni documenti della ditta Zanchetta, si possono ricavare alcune tariffe sulle quali il parroco, dovendo tener fede ai pagamenti dei materiali già inviati, vi trovava talvolta aggiunto "salvo aumenti di prezzo". 
Probabilmente il Zanchetta non aveva in quell'occasione regolato il prezzo col proprietario della cava, fatto di per se non intenzionale, ma che aveva turbato l'animo del parroco che doveva sostenere i costi aggiuntivi dei quali al momento non ne era neanche al corrente.  
L'architrave del portone d'ingresso per esempio (visibile tuttora) viene riportato in lire 4.700. Tra alcune fatture si notano alcuni acconti liquidati e il resto, scrive Scattolin don Carlo, "da conteggiare in 7,45 quintali di frumento e in 40 di avena a L. 4.100". Il danaro era scarso e don Carlo pagava per così dire, anche in "natura", grazie alla generosità dei contadini. D'altra parte il parroco era in linea con la povertà dell'epoca, non ebbe infatti in quel periodo condizioni di vita agevoli, neanche col proprio vestiario. Vediamo come. 

La perpetua sig.ra Vittoria e le vesti 
rattoppate del parroco.

Indossava vesti sgualcite e aggiustate sin da quando aveva iniziato l'attività pro erigendo campanile, causa per la quale il parroco dovendo risparmiare all'osso e la perpetua Vittoria: 1^ cugina del parroco, consapevole dell'impegno che si era assunto, ne rammendava gli indumenti, anche i più riservati, accomodando e riutilizzando anche ciò che non era più riparabile. (21)  
Nella vecchia cucina, luogo nel quale operava accanto ad una stufetta che dava calore, custodiva nell'armadio destinato alle provviste, un recipiente di cartone entro cui conservava utensili da cucito. Notati dai chierichetti abituati al transito in canonica, si trattenevano a gruppi curiosando tra gli attrezzi adagiati sul tavolo dove la Vittoria svolgeva l'attività. E là infatti, giacevano cumuli di rocchetti in legno avvolti da filo nero e bianco, aghi dal formato diverso appuntati sui cuscinetti ovattati. Non mancavano i ditali ottonati, bottoni di diversa dimensione e tinta, forbici e forbicine, ognuna delle quali raggruppata per tipo e mole rivolte a punta in giù. Anche queste custodite in minuscoli barattoli di cartone su di un recipiente più grande della stessa qualità del primo.  
(segue più avanti-  vedi su commentario)

(21) Scattolin Vittoria nacque il 14/11/1884. Domiciliata presso la canonica di Quarto d'Altino morì di vecchiaia il 02/02/1965/. Dopo le esequie venne sepolta il giorno quattro seguente al cimitero di Mestre. Domestica e prima cugina del parroco Scattolin don Carlo, ne ebbe cura per oltre 25 anni, dal 1940 sino all'avvenuta morte. 

Conoscere in anticipo le seguenti segnalazioni, facilitano la lettura proposta più avanti.
(E' consigliabile quindi conoscerle a fondo)                                                                        
                                                                              OOO

I commenti come i ricordi degni di nota o se vogliamo chiamarli di ardimento (conosciuti dalla popolazione dell'epoca) appartengono solamente alle persone della mia generazione e a quanti vi parteciparono dando luogo a degli episodi ritenuti a nostro avviso, involontari. E malgrado la mancata partecipazione materiale dei più giovani fosse del tutto evidente, le conobbero mediante la predica festiva tenuta dal pulpito dal parroco Scattolin, e che ora andiamo a narrare. 

Agli atti coraggiosi seguivano alcune circostanze non calcolate, dove il più delle volte terminavano a danno di noi stessi. Ma le peggiori delle prime, scaturendo al di fuori del nostro controllo diagnostico, non fummo mai in grado perciò, di teorizzare cosa sarebbe accaduto dopo. Mancata quindi la doverosa e avveduta formulazione di principi, finimmo per imbattersi in un incidente piuttosto doloroso. Senza alcuna volontà ovviamente, far del male a nessuno.
In ogni caso le iniziative prendevano avvio durante l'erezione della Torre, abbandonata all'epoca e quindi alla mercé di chiunque. Ragione per cui non avevamo nessuna opportunità per una parziale correzione o di dissuasione pervenuta da qualche ragazzo più adulto, la maggior parte disinteressati a tali avventure dirette al volo a mano.
Intrapresa dunque l'azione, promossa senza una precisa linea di condotta, si davano inizio a degli esercizi pericolosi di acrobazia aerea.  Ammettere oggi che fossero per davvero azzardati, sarebbe come riconoscere i propri errori. D'altra parte le azioni di ieri pur lontane nel tempo, sono talmente vive, vibranti e attuali, da dover suggerire ai giovani, di starsene lontani dalle opere architettoniche prive di recinti protettivi. E il campanile in costruzione nostro malgrado, era privo del tutto. 

Fra i tanti ricordi emergono anche le competizioni sportive, (gioco calcio) effettuate sotto i balconi della canonica fronte la camera da letto del parroco. Epoca in cui eravamo ingenui, incauti e forse anche malaccorti, ma privi di qualunque tendenza ostile verso chiunque. 
Caso mai potremmo chiamarle bricconate o se vogliamo anche ribalderie e in ogni caso prive d'intenzionali cattiverie. I ricordi perciò vanno raccontati senza tanti giri di parole e come esattamente si svolsero. Auspicando che il parroco da lassù, non se la prenda dal già troppo male, al peggio. 

Segue il commentario sopra iniziato.

I compiti della Vittoria. Domestica del parroco 

Fra i tanti compiti che doveva adempiere la Vittoria, dimostrava anche una certa esperienza nel rammendo. Una pratica indispensabile per qualunque donna dell'epoca, ma che non era dimostrata dalle sue mani callose, magrissime, tremule e deboli. L'arte acquisita sin dalla più giovane età, non si sarebbe neanche notata se i chierichetti dell'epoca, transitando continuamente in canonica non ne avessero notato anche l'attrezzatura con la quale svolgeva i rammendi. E tra i tanti incarichi che aveva, vorremmo ricordarne anche le gesta, la grandezza d'animo, l'apprezzamento per il parroco, suo diretto cugino, ed anche per le tante tirchierie.   
 
Esperta in cucito aggiustava indumenti a livello domestico e quanto non era più riparabile, riutilizzando il tutto a diretto consumo del parroco. 
Un esempio si potrebbe ottenere dai polsini consunti ridotti oramai alla pratica estrema. Eppure la Vittoria, mediante una pezza  di tela tolta dal retro della camicia, ricostruiva i polsini fornendoli di asole e bottoni che poi ricuciva sulle maniche. E con lo stesso tessuto e bravura sostituiva anche i colletti usurati. Sul retro dell'indumento, non a caso scelto a maniche lunghe, vi poneva un ritaglio di tela qualunque dove la variante non era visibile ad anima viva. Tranne quando veniva stesa al sole e la circostante popolazione osservandola ma non giudicandola, si rendeva conto della povertà del parroco, da non stupirsi della propria. (22)

(22) La parziale trasformazione della camicia era molto usata all'epoca)  

Ai gomiti, come in altri punti consunti, vi fissava dopo avere imbastito chilometri di filo, strisce robuste di tela sostituibili all'occorrenza. Con lo stesso fervore, che non era divertimento ma fatica e sforzo visivo, rammendava raccolta e paziente anche l'imbocco delle tasche dei pantaloni, usurati questi dall'andirivieni delle mani costantemente in movimento. E notando anche le fodere bucate o in via di deterioramento le sostituiva con una scioltezza davvero stupefacente. Stesso paziente lavoro si ripeteva sulla parte estrema della tonaca, soggetta tradizionalmente allo strofinio del suolo e quindi al rammendo.

Sicuramente il parroco possedeva più vesti, ma quella che riteneva la migliore, o se vogliamo la meno rattoppata, la teneva per ben figurare durante le festività importanti. 
Se poi l'avesse indossata anche durante le feste meno rilevanti, non pareva a noi chierichetti, fosse stata diversa da quella indossata durante la settimana. E tanto sembravano uguali, da non capire quale delle due fosse la meno o la più aggiustata. Visibili sulle tonache usurate del parroco durarono circa vent'anni, periodo in cui nessuno tra la popolazione ebbe dubbi sulla sua povertà. Constatando ovviamente le toppe. Non dubitarono neanche sui risparmi personali, né sull'attività economica pro campanile e neppure sull'iniziata scuola materna. Le testimonianze in paese sono ancora numerose, basterebbe soltanto chiedere.

L'impazienza della Vittoria.

Della sig.ra Vittoria ricordo alcuni eccessi d'impazienza causati dalle competizioni calcistiche tenute di fronte la canonica in un orario ritenuto secondo il parroco, non conforme al periodo estivo. D'altra parte non era possibile comportarsi diversamente se non trasgredendo i suggerimenti della perpetua Vittoria quando durante i pomeriggi liberi dall'insegnamento scolastico, ci recavamo alle manifestazioni sportive. 

E com'era oramai abitudine, ci posizionavamo fronte la camera da letto del parroco, proprio là, dove esercitava potere sovrano la porta a due aste perpendicolari usata per il gioco del Calcio. D'altra parte non era possibile fare altrimenti. Le trasgressioni non erano comunque motivate da rivalse o contestazioni, ma giocare al calcio senza la porta, non aveva nessun significato, tanto meno sportivo. E poi, non eravamo del tutto convinti d'infastidire il parroco durante il riposino quotidiano. A sentire però gruppi di adulti, assicuravano ne avesse assoluto bisogno.    

E infatti questi gruppi difendevano con l'attendibilità di chi ne era al corrente e che collaborava col parroco, da rendersi conto della facile irritabilità del parroco addebitati ai tanti problemi da risolvere. Un malessere dunque che trovava fondamento dal praticato impegno intellettuale e non di meno,  dall'inasprimento durante le logoranti mattinate a colloquio a risolvere i quesiti del campanile. E come non bastasse, anche con l'avviata  erezione della scuola materna. 
I problemi poi aumentavano durante la gestione della parrocchia, della  chiesa e dell'intera comunità ecc.  Ebbene tutti questi aggravi, toglieva al parroco gran parte di tranquillità cui aveva bisogno e, la domestica a continuo contatto col cugino, confermava la necessità di riposo. 
Ragioni per cui evitare i problemi e le abituali complicazioni, diventava per il parroco una battaglia giornaliera. E lasciandosi cadere nello sconforto, aumentava anche la malattia di origine gastrica, già diagnosticata per quanto alle prime fasi.  

D'altra parte don Carlo, non possedeva una costituzione fisica, per così dire forte. Piuttosto gracile e magro quasi all'osso e pur dotato dell'autorità tipica del prete, mal sopportava a nostro avviso i continui quesiti e i grattacapi giornalieri. 
Insomma, il grado di sopportazione e di adattamento rispetto alla malattia che stava progredendo, diventava sempre più debole. E quando notammo i segni dell'evidente malessere, di conseguenza lo capimmo anche noi. 

Le partite di calcio

Gli incontri di calcio avvenivano come citato, in prossimità della camera da letto del parroco collocata all'epoca verso mezzogiorno. (Lato sud-vedi foto) E proprio là davanti, si mostrava interrata la porta in legno a piani riquadrati tinta a calce. 
Sembrava appositamente piantata là per farlo arrabbiare, e spesso si adirava non avendo egli stesso mai ritenuto il gioco del calcio uno sport importante. A tranquillizzarlo temporaneamente, riceveva la pigione mensile dal comune di Quarto che sprovvisto del campo sportivo s'accordò per l'affitto. Una locazione piuttosto magra in quanto le spese per l'ordine del fondo, era tenuto dal comune. Il campionato e tutto il resto veniva sponsorizzato da privati cittadini. L'utile del parroco veniva impiegato per l'erezione della Torre. 

Lascio dunque immaginare il trambusto provocato dai tifosi locali e quella dei ragazzi tenuto giornalmente a livello amatoriale, dai quali scaturiva un parapiglia più grande di quella prodotta dagli adulti. Non mancavano poi le accalorate grida delle scolaresche che per l'occasione venivano assemblate ai giocatori in campo. Frattanto, su il grado registrato da entrambi i vocalizzi, aumentava anche l'irrequietezza del parroco che doveva riposare. 
Allo strepito generale, andrebbe anche aggiunto l'inagibilità del terreno, causa non unica dei frequenti falli, liti, urla senza il controllo dell'arbitro che non c'era. Cosicché, in questo stato di confusione non esisteva secondo la Vittoria, nessuna ragionevole possibilità di giocare in silenzio. Perciò c'imponeva, ramazza in mano, il trasferimento dal lato opposto. 

E dovendo sloggiare, venivamo puntualmente ricacciati per la stessa ragione, dai rispettivi inquilini posti di là del campo, che incavolati più della Vittoria e dello stesso parroco, consigliavano di ritornare da dove eravamo partiti, pena la confisca del palloneC'era appunto in vigore tale motivazione, per la quale il pallone calciato teso e alto, sconfinando tra gli orti circostanti dei proprietari, frantumava i loro prodotti stagionali. Trattenuto il pallone dal proprietario del fondo, dopo qualche ora di dibattimento lo restituiva. Una terza motivazione veniva data dal terreno da gioco, che mal adattandosi alla sfera su di un fondo avallato ripieno di buche, determinava traiettorie diverse da quelle stabilite. 
Tutto sommato, la condizione migliore al gioco calcio, la trovavamo dalla parte opposta. Ma là c'era il parroco. 
  
E come non bastasse il problema citato, avevamo in dotazione un ago da inserire sulla rotondità della sfera quando appunto sgonfiandosi, la rigonfiavamo mezzo una pompa a mano pronta retro la porta. E quando dovevamo sostituire la camera d'aria bucata, agivamo attraverso una fenditura, la cui chiusura veniva effettuata dopo, da un cordoncino in cuoio. 
Il laccio di chiusura però, rimanendo in rilievo rispetto all'ovale, causava rotolando al suolo, altrettanti rimbalzi fasulli. E quando veniva a stamparsi sul capo o sulla fronte del giocatore, c'era d'aspettarsi oltre al dolore, il ritiro dalla partita provocato dalla botta o dalle escoriazioni prodotte. Per farla in breve, non appena la Vittoria si dileguava, ritornavamo a calciare il pallone dal punto in cui avevamo iniziato. 



Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. 
Vedi la porta in legno a piani riquadrati tinteggiata a calce conforme al gioco calcio dell'epoca. In basso a destra coi balconi aperti si nota l'ufficio del parroco, a sinistra la cucina. Il piano superiore dalle imposte chiuse è riservato alle camere da letto, ospiti compresi. L'ingresso destinato al pubblico e all'ufficio del sacerdote, sono  come da foto, rigorosamente orientati a sud in direzione del sole rivolto  sulle imposte e sulle mura da intiepidirne. (La Canonica infatti non possedeva riscaldamento a termo mezzo radiatori) 
Sul fondo della foto si nota il prolungamento trasversale dalla canonica dove alloggiava il cappellano e famiglia. A piano terra, sotto i balconi dell'appartamento del vicario, si nota il pollaio e rispettivi animali da cortile. A sinistra della foto, non è visibile l'enorme fascio di ramoscelli di vite, attraverso cui la Vittoria accendeva la stufa da riscaldamento. Un calore non del tutto possibile sull'intero spazio a due piani da dove prenderà suggerimento, l'episodio che ora andiamo a narrare. 

Il scintillio notturno provocato dalla 
miccia di origine tedesca.

A parte incomprensibile allontanamento progettato dalla Vittoria a danno dei ragazzi, e i disturbi del parroco dei quali ben poco sapevamo e tuttavia, ciò che sembrava preoccupante più delle negate partite di calcio, avvenne in una tarda serata estiva quando ponemmo sulla traversa della porta a piano riquadrato, del materiale detonante rinvenuto dal fondo del Sile. Si trattava di filamenti combustibili detti in altro modo Miccia lunga 30 cm circa di origine tedesca. 
Recuperata da un abile nuotatore della compagnia che strappò dal fondo tuffatosi dal ponte pedonale, veniva preventivamente asciugata per giorni ponendola alla calura del sole. In seguito la collocammo su tutta la lunghezza della porta, ben allineata trasversalmente divisa in settori regolari e dato a fuoco durante le ore serali. 

Alle ore 8 circa di sera, quando la maggior parte della popolazione stava cenando e noi stimolati dall'eccezionale recupero, non di meno dalla fretta e dalla novità di ciò che avrebbe prodotto l'accensione, appiccammo com'era previsto il fuoco. A poco meno d'un battito d'occhio, partì il scintillio prodotto dalla vampata unito all'ininterrotto fruscio della fiamma e dalla foschia prodotta dalla miccia che pareva fosse caduta d'intorno una coltre di nebbia. 
Il godimento della veduta di portata unica nonché galvanizzati dall'insolita avventura, durò ahimè piuttosto brevemente. Non avevamo infatti tenuto conto che da lì a pochi passi, giaceva un enorme fascio di rami di vite rinsecchite, con le quali la Vittoria accendeva giornalmente la stufa, riscaldando anche in estate la camera da letto del cugino Scattolin don Carlo. 

Attivato dunque 
il fuoco per mezzo di due aste opposte recanti altrettante micce accese, dalle quali vedemmo all'istante il bagliore intermittente del combusto esplodere in leggeri e continui crepitii laddove le faville ronzanti attorno, prevaricavano il fruscio scatenato dalla miccia. La fugace fiammata calcolata sulla base della lunghezza, illuminava la serata, già di per se pulita priva di nuvole, in un chiarore pressoché diurno, esteso solamente agli autori dell'impresa e al luogo della mascalzonata. Sedotti dal fascino delle vampe e animati dalla fulminea prestazione della miccia, ci abbandonavamo uniti al piacere dello stare insieme, in pensieri fantastici dove la trasparenza del cielo stellato ci accompagnava nell'immaginazione più alta. La contentezza purtroppo durò ben poco, quando improvvisamente, intervenne la visita sgradita della perpetua che, temendo dessimo a fuoco anche il fasciame posto lì accanto, tentò allarmata d'inseguirci minacciandoci col rastrello in mano. Ma noi eravamo già lontani, oltre il limite di sicurezza. 

La reazione della domestica fu talmente lesta, dura e furiosa da provocare nel parroco la medesima collera che tentò di correrci dietro, ma forse fingeva. Non accadde nulla di serio, niente di riprovevole neanche degli ipotizzati incendi evocati dalla perpetua. Nel fuggi fuggi generale va tuttavia aggiunto, che nel buio oramai diffuso fummo ugualmente riconosciuti e rimproverati dal pulpito durante la domenica successiva. Roba da non credere! Per non parlare poi delle reazioni dei rispettivi genitori. Ecco, questo accadeva ai ragazzi della parrocchia durante gli anni cinquanta del novecento. E per come sono andate le cose, e bisogna pur riconoscerlo non avevamo nulla a che fare con le malignità di questi giorni.
                                                                                L'imprevisto infortunio capitato 
all'amico Palmiro Pillon.

Tra le tante avventure capitate, mi è sembrato utile far notare ai lettori anche l'imprudenza di un mio coetaneo e amico personale dal nome Pillon Palmiro, il quale, non avendo considerato l'azzardo si buttava da circa 40 metri dall'alto dell'ultima finestra aperta della Torre, priva all'epoca della relativa protezione in marmo. 
Un lancio ritenuto piuttosto insensato per dar prova del proprio coraggio senza valutare il pericolo che avrebbe potuto incorrere. 
usato prima di proiettarsi inutilmente nel vuoto.

L'abilità del Palmiro consisteva lanciarsi tenendosi aggrappato su di una corda tesa in acciaio, collegata ad un macchinario predisposto al sollevamento pesi situato sul campo sportivo della parrocchia.  La pendenza e la distanza dell'apparecchiatura al campanile, consentiva una discesa obliqua e veloce il cui termine veniva deciso da un precipitoso balzo a terra, evitando in tal modo di sbattere contro lo strumento. Talvolta il guizzo veniva preceduto da un salto nel vuoto di circa due metri anticipando lo scontro frontale sul cosiddetto macchinario. (23) 

(23) Il macchinario citato permetteva l'ascesa delle rispettive protezioni o parapetti in marmo da collocare sulle aperture-finestre della Torre. A gestire la sollevazione, intervenne la Ditta Scanferlato specializzata per tale servizio. Affiancata dai muratori della ditta Franchin rese possibile la messa in opera di tutti i marmi posti sul campanile.   

Furberia che durò poco, quando si capì che il balzo implicava storture agli arti inferiori (caviglie e ginocchia) con conseguenze talvolta complesse. Quel strumento di lavoro chiamato argano, era munito di una corda umettata di grasso, tenuta in trazione e bloccata da una leva frenante. Si capì a quel punto, dopo tanta collaudata esperienza, di stringere i pugni sulla corda metallica consentendo individualmente una specie di azione frenante. Ma il grasso scivoloso non permetteva l'arresto, se non quando apparvero sulle mani come oggetto frenante, dei pezzi di carta prelevati dai sacchi di cemento, o addirittura dai fazzoletti di tessuto custoditi sulle tasche dei pantaloni.  L'avventatezza di un gruppo di ragazzi, tra cui Palmiro e tanti altri continuarono a lanciarsi in scivolata privi della carta decelerante, concludendo in malo modo una delle ultime avventure legate alla Torre. 

Nel frattempo un gruppo di ragazzi, stanchi del sali scendi, si sedettero all'interno dell'argano su cui incombeva la leva di blocco che teneva in tensione la corda in acciaio. 
Improvvisamente ahimè, la fune venne ad allentasi su manomissione accidentale.  Uno dei ragazzi  infatti agendo  sulla leva (non si è mai saputo chi) veniva a sganciarsi anche il cavo dal freno che diminuendo nella tensione si srotolava rumorosamente dal cilindro scagliando  violentemente sulle mura del campanile l'amico Pillon, che aggrappato alla corda cadeva nel vuoto dal colpo ricevuto. Si calcolò circa quattro/cinque metri di altezza. 

Fortunatamente il Palmiro, trovandosi pressoché al termine della discesa avrebbe d'intuizione mollato la presa ma che avrebbe potuto trovarsi  anche ad una altezza maggiore col risultato peggiore. D'altra parte il salto riuscì ad assorbirlo abbastanza felicemente, mentre il colpo ricevuto alla spalla sbattendo contro le mura della Torre gli costò la perdita permanente dell'articolazione (Lussazione) e dopo tante e inutili cure non riuscì a recuperarla. L'incidente insomma gli complicò il resto della vita. Ebbe una vita breve afflitto dai dolori.

Le Piccole suore di Castelletto di Brenzone 
e la scarsità di legna.            
Ecco come all'epoca si riaccendeva la discussione tra le Piccole suore dell'Istituto della Sacra Famiglia di Castelletto di Brenzone e il parroco Scattolin don Carlo. Attive presso l'asilo di Quarto d'Altino, (Oggi scuola materna) si vedrà in questo racconto come le suore vennero a trovarsi in una situazione piuttosto imbarazzante.

Della scarsità di legna da ardere ne avevano oramai da tempo una grande esperienza. E come ogni anno, tenevano un consulto col parroco discutendo le modalità per il prossimo eventuale acquisto dovuto all'intera stagione invernale. D'altra parte il dibattito che aveva solamente un significato indicativo su di un riscaldamento che durava solo pochi mesi, per i quali secondo il parroco, non doveva rientrare nella logica di un acquisto esclusivo (In una sola derrata) bensì in vari prelevamenti. Ragione per cui, ne ricevevano quando andava bene quantità assai ridotte. 
Vero è che don Scattolin non avendone neanche per se stesso le sostituiva con tutoli di pannocchia e talvolta con sacchi di segatura dal costo meno elevato. (24) 
Il lungo e problematico discutere del parroco, che pareva avesse potuto convincere le suore a fare altrettanto, non riuscì. Stanche oramai delle annuali ripetizioni e della sporcizie portate dai tutoli e segature, (E anche meno calore poiché i materiali in questione non diramavano fiamma - (25) avrebbero perciò segnalato al parroco il loro ritorno all'Istituto di Brenzone. (Verona) Il parroco che aveva previsto il risentimento delle suore, effettuato in seguito a bassa voce ma in tono irritato,  col quale in realtà, avrebbero potuto veramente andarsene se lo stato delle cose non fosse migliorato. E quel pericolo venne a manifestarsi proprio nel giorno del consulto, durante il quale la Madre Superiora si era già preparata a dovere.

(24) Il parroco infatti si serviva dei tutoli dalla ditta De Stales di Quarto d'Altino dislocata a pochi passi dalla canonica. Era un'azienda sviluppata sul piano industriale nello sgranare i chicchi di granoturco dalle pannocchie. I tutoli venivano venduti a quanti li richiedevano. La segatura veniva prelevata gratuitamente dalle piccole e medie aziende di arredamento mobili. (Lucatello falegnameria e Pavan, comprese aziende minori)

(25) Un breve trafiletto sulla vicenda dei tutoli dedicata a fatti d'attualità pro erigendo asilo è stato pubblicato dal sottoscritto sul fascicolo parrocchiale relativo alla 15 festa S. Michele - 2001.

Cosicché l'umile e povero don Scattolin, (in povertà per davvero) pur non avendo niente a che fare col campanile oramai sospeso, (causa l'acquisto del fondo pro asilo) doveva purtroppo continuare ad estinguerne i debiti (Solo sui mattoni e marmi pro campanile) ai quali doveva aggiungere quelli della scuola materna. E saldarli entrambi diventava perciò un vero problema economico.
E poi c'era anche il riscaldamento della palazzina dei Boscolo dove momentaneamente le suore avevano attivato alcuni locali alla stregua di asilo. L'acquisto di legna da ardere per le suore e per lo stesso parroco aveva pertanto assunto una certa priorità. Durante il colloquio avuto con la Madre Superiora, il parroco finì per cedere alle richieste della religiosa che ricevette almeno per quell'anno la legna richiesta. 
Alcuni anni più tardi a Istituto ultimato, giunse finalmente il Gasolio da riscaldamento e in seguito il metano (gas naturale) durante gli anni ottanta.
E' risaputo d'altra parte, che la palazzina dei Boscolo venne in un primo momento adattata in via provvisoria al futuro asilo, dove le suore frattanto, alloggiavano nella medesima abitazione dove avevano già iniziata la scuola per l'infanzia. (Rari quel giorno i bambini) (26)
Il 26 marzo 1950 durante la cresima effettuata nella parrocchia di Quarto d'Altino, il Patriarca di Venezia Card. Agostini, inaugurò anche il nuovo Istituto non ancora terminato internamente, ma già sorvegliato dalle religiose. 
La collocazione delle suore nella funzione d'insegnamento presso il nuovo edificio, ebbe luogo dopo il 1954.

(26) Notizie sulla Palazzina dei Boscolo nella quale le suore di Castelletto di Brenzone avevano dimora temporanea, si trovano sul medesimo capitolo N° 1 in premessa, dal titolo "L'incompleta realizzazione". 

(26) Si veda inoltre al capitolo n° 10 sul sottotitolo "La Perenigrazio Mariana". Vi sono tutte le notizie ufficiali in cui si svolsero le processioni serali durante il mese di agosto 1954. Anno in cui venne collocata la statua di Maria di Nazareth in un altarolo prefabbricato presso casa Boscolo. In seguito, quando l'istituto (Asilo) fu completato, venne rimossa e spostata nel luogo attuale. Per l'occasione della Perenigrazio il parroco Scattolin distribuì a ricordo delle processioni, l'immagine della Madonna (Gigantesca e non consueta per l'epoca in corso) della quale il sottoscritto si onora custodire da 67 anni. E con la presente, pubblichiamo alcuni dettagli.

(26) Vedi anche sul presente capitolo dal sottotitolo" L'abitazione dei Boscolo adeguato a norma".    


Quarto d'Altino agosto 1954. Immagine ricordo del mese solenne dedicato all'anno Mariano. Si nota in basso a destra due francobolli stampati dallo Stato ente poste italiane, per la solennità Mariana. Soggetti: Madonna del Perugino e la Pietà di Michelangelo. 
La figura di Maria di Nazareth è stata tagliata appositamente a causa dell'ampia superfice della stessa locandina, fortemente desiderata dal parroco Scattolin.

Comunicato ufficiale a cura delle religiose di Quarto d'Altino: 
"la probabile canonizzazione" 

Il giorno 6 febbraio 2020, le "Piccole Suore della Sacra Famiglia" presenti a Quarto d'Altino comunicavano alla cittadinanza che a Roma si riunirà la consulta medica per un presunto miracolo accaduto per intercessione della Beata Maria Domenica Mantovani confondatrice delle Piccole Suore nel proseguimento alla causa di canonizzazione. Invitarono perciò la comunità parrocchiale ad unirsi nella preghiera, partecipando all'adorazione eucaristica di giovedì ore 17,40, affinché sia riconosciuta la santità di Madre Maria.


Vedi cenni biografici  sulla serva di Dio, Madre Maria Domenica Mantovani, cofondatrice al Beato G. Nascimbeni della congregazione delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, attive da 70 anni presso la scuola materna in Quarto d'Altino. (Ve) 
(Su capitolo da definire)


Come far fronte al salario dei dipendenti.

Lo stesso problema che aveva la legna da ardere, (Legata ai costi) si verificava durante l'erezione della Torre,  quando inevitabilmente nei fine settimana il parroco doveva retribuire gli operai dell'impresa parrocchiale. Con le offerte raccolte in chiesa racimolate giorno dopo giorno, riusciva a mettere da parte in moneta di ferro bastante il salario dei dipendenti, separando però i pezzi da lire 50 ai 100. Conteggiati e avvolti in carta da giornale, venivano consegnati ai lavoratori più "rappresentativi". Quando invece le somme non erano sufficienti, pagava con quanto aveva raccolto, oppure rimandava la settimana successiva. 

Ma sul gruppo di lavoratori dipendenti c'era sempre qualcuno che non era considerato "rappresentativo", come del resto sembrava fosse stato, il celibe manovale Zanon Agostino detto "Angelo". Il quale, ricordando quei fine settimana al sottoscritto, affermava di non aver mai ricevuto neanche a sognarlo, importi di carta moneta facili da mettere da parte e da utilizzare agevolmente. 

E narrando gli accomodamenti del parroco, precisava nella più grande umiltà, di portare a casa settimanalmente: "una gran quantità di moneta di ferro da 5 e 10 lire, da riempire (tanto giurava) entrambe le tasche dei pantaloni. Talvolta gli spiccioli venivano integrati con lire 50, quasi mai da 100. Carta moneta non se ne parla. Mai potuta vedere". 
D'altra parte le offerte in chiesa si basavano sulle oblazioni di piccolo taglio. Escluderle quindi dalle retribuzioni per i propri operai, diventava davvero una rinuncia imbarazzante non necessaria. Cosicché le monete meno pesanti capitavano spesso se non di continuo, forse anche per opportunità o per rappresentanza, al celibe e manovale Agostino Zanon detto "Angelo". Questa dunque la triste e dura realtà finanziaria del momento... considerati ovviamente i risparmi che il parroco doveva accantonare per l'acquisto di mattoni, sabbia e cemento, e per la legna da ardere destinate alle suore di Castelletto di Brenzone, uscite vittoriose dalla battaglia col parroco. 

Come il sacerdote pagava i debiti. 

E dovendoli affrontare, fece di necessaria virtù l'acquisto di giovani animali da cortile affidando il compito della crescita ai contadini. A fine stagione venivano ceduti da persone di fiducia, oltre al ricavato delle uova. In alcuni appunti si trovano citazioni d'ogni genere, vedi esempio"... vendita di un maiale di quintali 1.40 a lire 7,10 il kg.... "ricavo dalle offerte in polli e tacchini lire 521,20" ... e ancora, "ricavato dalla cerca di frumento lire 420". 

L'ingrasso dei tacchini, anatre e quant'altro, veniva effettuato su richiesta del parroco, esclusivamente dagli agricoltori che per evitare maggiori costi al proprio gruppo familiare, si ruotavano gli animali sino al peso previsto. A quel punto entravano in scena alcuni mediatori della parrocchia, (Già intermediari di mucche e cavalli) i quali, alienando il prodotto al mercato di Treviso, consegnavano l'utile al parroco. Un contributo notevole giungeva anche dalla raccolta frumento, mais e bozzoli offerto dai contadini sempre in prima fila nelle offerte.
Tutto dunque giostrava sull'abilità del sacerdote che non mancava comunicare gli introiti al Consiglio Pastorale. L'entrata di cassa veniva poi riportata sui bollettini mensili.
In quello di marzo 1952 si legge: "... ho potuto constatare che tutti sono disposti a mettersi di buona volontà e di contribuire con generosità. Io personalmente avvicinerò tutti i capifamiglia per intendermi direttamente con loro sul da farsi". (Si trattava di avviare una discussione sui tempi, modi e misura delle offerte

Il completamento della Torre gravato 
da un infausto errore. 

L'impresa parrocchiale frattanto, riceveva in data 21 luglio 1952 una sgradevole notizia, fatale però per il gruppo stesso. 
La comunicazione rendeva noto al parroco i ritardi accumulati rispetto al programma segnalato dall'architetto, secondo cui avrebbero potuto compromettere prima del prossimo inverno, l'altezza prevista della Torre.

Sollecitava quindi il parroco affinché assumesse personale e strumenti in grado di sveltire le operazioni, in caso contrario intendeva affidare l'ultimo tratto ad un impresa specializzata nell'edilizia architettonica. 
Convenuto infine la necessità, constatato inoltre i ritardi, il personale carente e la scarsità di fondi, il parroco fu costretto suo malgrado, al scioglimento della propria impresa affidandola alla ditta Franchin. 

Nel mese di agosto 1952, il parroco comunicava mezzo il consueto bollettino parrocchiale la seguente nota: "Il campanile ha finalmente ricominciato a salire. I lavori sono stati iniziati dalla ditta Franchin di Carpenedo, e speriamo che la bella opera possa essere ultimata..." (Il bollettino però, non annunciava i licenziati dell'impresa parrocchiale) 





Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Data 10/04/1950. 

La Torre, casualmente fotografata durante la cerimonia nuziale del 10 aprile 1950, misurava tanto quanto appare il tetto della chiesa. Si calcola quindi 20 metri circa in altezza.
Due anni dopo, mese di luglio 1952, l'attività venne interrotta a causa di un errore compiuto dalla recente ditta Franchin. S'interruppe ad una quota di circa 30 metri. Se dunque la matematica non è un opinione ci vollero due anni di duro lavoro per compiere i dieci metri indicati dalle rispettive date. All'errore cui non si sapeva come porvi rimedio, si aggiunsero  anche  i ritardi accumulati nel tempo. Ragione per cui venne anche a concludersi le operazioni in atto poco prima del gelo.

L'errore fatale e il rientro dei 
lavoratori espulsi.

La sostituzione del personale e i mezzi moderni messi a disposizione dalla nuova ditta, non diedero purtroppo quella rapidità auspicata dall'ingegnere, per la quale secondo le aggiunte e per mezzo di una rapida azione di lavoro straordinario, doveva concludere la Torre a metri 40. (Quota ipotetica, quella da farsi era ben altra)  Ma purtroppo, a causa di un errore di fondo, ritardò all'opposto il corso dei lavori in atto. 
Quindici giorni dopo, venne infatti accertato, causa la fretta su di un operazione del tutto erronea prodotta dal personale della ditta Franchin. 
Un infrazione che impediva a circa 30 metri di altezza la prosecuzione del corridoio a chiocciola. Ritenuta grave per la quantità degli interrogativi emersi, risultava anche evidente a quel punto, il ritardo che avrebbe generato su dei tempi già di per sé negativi. Veniva così a bloccarsi la prosecuzione del corridoio e tutto il resto, causato da una repentina inclinazione verso l'alto, (in altezza) ciò determinando la sospensione. 

Il mutamento della gradualità prevista, pregiudicava anche la regolare successione delle balconate da realizzare in seguito, le quali sarebbero apparse sconnesse rispetto a quelle già aperte, determinando un irregolare sali scendi visibile peraltro da ogni orientamento. 
Stessa situazione si verificava sui relativi parapetti in marmo (da porre in seguito) i quali, oltre a danneggiare l'intesa con le balconate aperte dai lavoratori espulsi, perdeva anche la regolare protezione ponendo pericolosamente a rischio il transito dei visitatori. Un anomalia davvero complicata e difficilmente risolvibile senza lasciare traccia del danno. 

Errori ai quali l'ingegnere aveva seri dubbi su di una risoluzione  immediata e idealmente precisa per similarità al caso. Ma giunto a quel punto, non restava altro che abbattere parte del corridoio inclinato, (non completamente abbattuto) col risultato di avere prodotto su alcune aperture rispetto ai davanzali da porre in seguito, una quota meno protettiva, causato dal rialzo della pendenza, o comunque del camminamento a chiocciola.
Per porvi rimedio, vennero posti sopra le balaustra visibilmente inferiori alcuni travi di legno, i quali dovevano per la loro solida natura proteggere i visitatori. Questi elementi non certo degni del fascino diffuso dalla torre, sono ancora oggi visibili nella zona in cui accadde l'errore.    

D'altra parte va ricordato a tutto merito del conterraneo Attilio Colombo (Residente tra l'altro a Quarto d'Altino) il quale, sin dall'anno 1945 all'agosto 1952 portò avanti con precisione la pendenza a chiocciola della Torre sino all'errore della ditta Franchin. Il Colombo meglio conosciuto come (Tillio Colombin) escluso quindi dall'accennato errore, verrà riassunto come si vedrà in seguito, assieme allo staff originario.   
   
  

Vedi le travi in legno collocate sulle due aperture ritenute le più pericolose. In seguito, anno 2017, vennero sostituite mezzo elementi in acciaio inox. 
Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. Copyright dell'autore.

Per quanto riguarda l'odierno visitatore ignaro del danno 
ma spinto da un gruppo di persone uscito frattanto dal campanile, udito quindi le analisi interessanti della comitiva, dal piacevole riscontro lagunare e dalle verdi campagne d'intorno, si domandava rivolto alla Torre su cui intendeva salire sul poggio più alto, quale altra caratteristica, oltre alla bellezza del panorama, cos'altro in più gli avrebbe potuto riservare. Ebbene, se ne rese conto come tanti altri in seguito, che a metà circa del camminamento allorquando calpestando il punto più alto della lesione, avvertiva la strana sensazione di sentirsi sollevato dal suolo come avesse ricevuto una spinta dal basso verso l'alto.       

Non percepirla sarebbe come non rendersi conto della fatica che proprio in quel punto inizia a farsi sentire, o che magari distratto, sia stato più concentrato ad osservare il sottostante panorama. Distolto lo sguardo dalla paesaggistica e posatolo sull'inciampo evidenziato dalle proprie calzature, notava all'estremità delle due giunzioni, l'irregolarità dei due piani opposti simili ad una gobba di Cammello. Su quello fuori misura si nota tuttora l'errore causato da una mano inesperta. Laddove invece persiste il regolare, da una mano competente e capace.  

Oltrepassato l'anomala altura, riprendeva poco a poco la cadenza regolare sino a raggiungere la cella campanaria. E in quella giornata soleggiata notava dal punto più elevato della Torre, l'intero panorama lagunare col campanile appuntito di S. Marco. Orientatosi in seguito verso levante, osservava preceduto da interminabili fondi coltivati, l'orizzonte del mare inciso da una tinta bluastra. Punto nel quale la linea tracciata dall'acqua marina cessa, e terminando, si apre nuovamente la terra

Nelle giornate post burrascose, notava anche i verdeggianti vigneti lungo la fascia montuosa del Montello. Per non parlare poi delle Alpi deliziosamente imbiancate di neve, ma che durante le stagioni mutevoli, non di rado si notano tinte blu scuro. E mutando d'aspetto si fanno ancora più belle, più affascinanti rispetto all'anno precedente, quando appunto l'appassionato visitatore, verrà catturato dall'effetto della luce che spazia tra la Volta della Torre e, l'azzurro sconfinato del cielo. 

L'allontanamento  della ditta Franchin.

La ditta Franchin veniva frattanto sospesa dall'architetto e invitato il parroco alla riassunzione degli operai espulsi. Nel comunicato del settembre 1952 don Scattolin non a caso scriveva: " I lavori sono stati fermi per una settimana e mezza, dato che si è dovuto cambiare la squadra dei lavoratori. Il 13 agosto veniva ripresa l'attività normale."
Dell'episodio preferì non farne cenno, e anzi i lavoratori della parrocchia furono immediatamente riassunti con tanta discrezione di don Scattolin, che non esitò ad affidarsi alla loro riservatezza. Nel comunicato dell'ottobre 1952 scriveva ancora: "Il campanile in data 20 settembre 1952 ha raggiunto l'altezza di 32 metri." Dell'incidente non ne fa ovviamente parola.

Il rientro e il riscatto dell'impresa parrocchiale.
Ovvero, l'effetto del rientro che aveva per scopo il salvataggio del campanile.... e lo misero in salvo.

Malgrado l'errore causato dal Franchin, la medesima ditta rimase comunque a disposizione dell'architetto che riconsegnò la titolarità all'impresa, oltre ai macchinari e mezzi già a disposizione, e in base ad un nuovo accordo riprese l'attività inserendovi alcuni propri manovali. 
Insomma il Franchin, continuò a fornire alla cittadinanza l'immagine di un'azienda che doveva ultimare il campanile ma che di fatto, per effetto del rientro dell'impresa parrocchiale, non poté mai affermare di averlo ultimatoCosicché l'impresa del parroco che aveva allontanato per l'ingresso dei lavori della ditta Franchin, veniva poco dopo riassunta dallo stesso parroco. E riprendendo la pendenza iniziale, o meglio, dall'errore della ditta precedente, riparò il danno, portando il campanile all'altezza richiesta. Traguardo al quale il Franchin, pose anni dopo la già citata cella campanaria.  

E per quanto la riassunzione degli operai fosse oramai nota alla cittadinanza non venne mai segnalata sul bollettino del parroco né in altro modo citata dal pulpito come del resto non rese noto l'episodio dell'errore. 
Niente infatti doveva turbare l'attività a quel punto ricostituita, in conclusione nessun riferimento al danno. Ma il silenzio come le bugie e le verità nascoste, hanno sempre le gambe corte. La cittadinanza infatti, nel momento in cui apprese la notizia dell'episodio, (Molto in ritardo) anziché discuterlo e storicamente valutarlo, dimostrò la propria indifferenza minimizzando l'accaduto. 
Ma la riduzione dell'episodio aveva tutt'altra valenza, ciò dovuto al fatto che nessuno nell'ambito della parrocchia e della popolazione, ebbe mai occasione di osservare e valutare il dolo, se non a lavori conclusi. E durante il lungo periodo trascorso venne a prodursi anche il disinteresse popolare. 
Nel novembre dello stesso anno don Scattolin, riconfermando l'unità del paese, aggiungeva al precedente comunicato: "Continuate tutti a collaborare poiché l'unione fa la forza".

La contentezza dell'impresa parrocchiale causata dalla riassunzione, finì per credere, fosse stata un'opera di mediazione piovuta dal cielo (Ben grave qualora fosse rimasta senza lavoro) e non solo per aver sistemato l'errore del Franchin, quanto anche perché nel frattempo raggiungeva nel tardo autunno 1953, quota 40 metri. Una meta irraggiungibile se si considera l'allontanamento che di fatto li aveva tagliati fuori dal primato, ma che concretizzò  ugualmente. 

L'abitazione dei Boscolo adeguata a norma.

Per quanto riguarda la ricomposizione del sinistro, andò perduto più tempo del previsto nonostante fossero intervenuti i mezzi aggiunti del Franchin. Per porvi rimedio andò sciupato più tempo di quanto l'ingegnere aveva ipotizzato, poi arrivò l'inverno e tutto si acquietò. 
La prosecuzione del campanile annunciata per l'anno dopo, venne interrotta per l'acquisto di un terreno sul quale don Scattolin, intendeva erigere la Scuola Materna. (In realtà il parroco già da tempo ostentava interesse su di un fondo di proprietà della famiglia Boscolo) 
Per farla in breve, a causa dell'acquisto del fondo e della ristrutturazione della palazzina dei Boscolo, di piani due e 11 vani, tutto venne adeguato a norma per l'apertura dell'istituto scolastico e per dare alloggio alle suore frattanto arrivate. (In seguito demolito) E con l'apertura del asilo venne anche ad aprirsi il cantiere e la fabbrica del nuovo progetto. E il danaro pro campanile venne per l'appunto a diminuire se non a mancare del tutto. 

La ditta Franchin intesa come tale, riprese l'attività nel mese di maggio 1955 dopo circa un anno e mezzo dall'interruzione
In quell'occasione chiuse l'apertura superiore con un getto di calcestruzzo. In seguito eresse la Cella campanaria e cuspide, pose con l'intervento della ditta Scanferlato specializzata nelle operazioni di sollevamento pesi e messa in opera. Vennero quindi posti i parapetti in marmo sulle aperture e sui bordi della Volta visibili tra le due circonferenze . In seguito il Franchin collocò sul vertice della Torre la statua S. Michele a cui collaborò la ditta di Quarto d'Altino Bassetto Tiziano. Non vi parteciparono come citato, gli operai dell'impresa parrocchiale.
                                                                               OOO
Parte quarta.

Gli ultimi lavori, la cerca di bronzo, rame e ferro e infine, l'incontro imprevisto...la bomba. 


Sul bollettino dell'ottobre 1952, Scattolin don Carlo incoraggiava la comunità nella cerca di prodotti metallici idonei per la fusione delle campane. E sollecitando la cittadinanza scriveva quanto segue. "Bronzo... Bronzo... Bronzo. Cercate bronzo o rame anche in piccola quantità e portate tutto in canonica, servirà per fondere le campane che vogliamo quanto prima risuonino allegre dall'alto del nostro bel campanile." (Il ferro verrà utilizzato per i supporti delle campane)
                                                                             
Dal bollettino marzo 1953: " Abbiamo ripreso la cerca settimanale di uova e denaro in tutte le famiglie: tutti dobbiamo contribuire". 

La cerca dei metalli riguardava ogni persona di buona volontà, anche i battaglieri ragazzi della parrocchia che senza chiedere nulla al parroco, si misero in azione. Ne venne scoperto molto, anzi ne trovammo sulle rive del Sile, presso la Cellina S.A.D.E. e nei d'intorni della stazione ferroviaria. Il ferro non mancava anche se mal si adattava per la fusione col bronzo . (Venne comunque ritirato) Si trovava ovunque, anche tra i residuati bellici inerti della recente guerra mondiale. La moltitudine di masserizie ferrose riempì improvvisamente di gioia l'animo di don Scattolin, meno irritato quel giorno di quanto lo avevamo notato durante il sinistro sul campanile
Ad arricchire ulteriormente l'ammasso di rame, bronzo e ferro, parteciparono anche le fam. Scroccaro, Marcante, Mareso, Crozzolin e l'Onorevole Bastianetto. Il raccolto venne depositato presso il pollaio governato dalla perpetua Vittoria che vedendosi lo spazio occupato da un monte di ferro, e non trovando buco di posto da spargere il becchime per le galline,  andava a lamentarsi col prete cugino. 

L'esplosivo finalmente esplose.
     
La bomba: Quel residuo bellico non esploso raccolto durante la cerca dei metalli, ci vide quel giorno protagonisti di un evento memorabile. L'oggetto ritenuto da noi stessi pericoloso grazie ai numerosi cartelli affissi sui corridoi della sede scolastica,  per quanto indicassero rischi e forme di azzardo disuguali, non venne mai consegnato in qualità di ferro, sospettando fosse ancora funzionante.  
Rimase là, prudentemente nascosto tra i bordi erbosi del Sile e il pomeriggio dello stesso giorno, chiusi da un mutismo assoluto, ne appiccammo il fuoco nel bel mezzo dello scalo portuale di Quarto d'Altino. All'epoca il porto non era molto frequentato, se si eccettua al mattino durante il consueto lavorio delle lavandaie, le quali dopo il trasporto della biancheria e della lavatura, ritornavano a casa. 

Alcune ore dopo, stanchi di aggiungere legna ad un rogo che durava da circa quattro ore senza che la forte temperatura causasse lo scoppio sperato. Avevamo infatti ipotizzato una possibile disfunzione causata dal deflagrante pregno d'acqua. 
Cosicché sul far della sera, abbandonammo il progetto credendo dopotutto non fosse più funzionale. Ma durante la notte, ore tre circa mattino, udimmo un forte boato che ridestò dal sonno la piazza circostante. In particolare si risvegliarono i residenti del piccolo centro di Musestre che data l'estrema vicinanza allo scoppio, scesero in strada allarmati. L'esplosione notturna venne anche percepita lungo la via Claudia Augusta e ai residenti di S. Michele Vecchio.

Il mattino successivo, alcuni cittadini recatisi sul luogo dove avevano udito circa l'esplosione, individuarono con facilità l'avvallamento prodotto dal botto. E discutendo chi mai avesse potuto compiere un'azione del genere, già sospettavano alcuni elementi. 
In realtà, l'individuazione non rappresentò mai una grande incognita, bensì già si parlava di nomi e del numero in base alle attività dei personaggi conosciuti per fatti simili. E pur indagando i movimenti dei sospettati e, tenendo conto com'è ovvio delle loro ultime iniziative, (Vedi la miccia data a fuoco presso la Canonica) non vennero mai interrogati dalla pubblica sicurezza locale, tanto meno dai Carabinieri né mai questi furono avvertiti. Non ci pensò nemmeno il parroco Scattolin che dal pulpito diffuse la notizia senza mai sottoporre il fatto ad indagini. Neanche interrogando le famiglie dei ritenuti colpevoli, o forse chissà, non ne valeva neanche la pena. 

Qualche giorno dopo iniziò a diminuire anche il mormorio generale senza che alcuno si fosse preoccupato di quanto lo scoppio avesse prodotto su di un ignaro passante notturno. Proviamo per un attimo ad immaginare cosa sarebbe accaduto a quel passeggero che incuriosito da fumi effusi dal fuoco si fosse avvicinato alla fonte di calore, nel pieno della deflagrazione. Nessuno mai né parlò. L'indagine si concluse così in pochi giorni, e sui responsabili dell'azione nessuno si fece più caso. 
Uniche a dibattere l'evento segnalando ancora una volta la pericolosità degli ordigni, dei quali i corridoi della scuola ne erano affissi decine di manifesti, furono proprio le maestre. Alle quali va oggi tutto il mio rispetto da adulto, benché ieri aggiunto imputabile ai veri responsabili. 
Una discussione dunque e un monito cittadino che durò per alcune settimane e poi si scemò. Tutto dunque andò liscio come l'olio, come d'altra parte richiedeva il disimpegno pubblico dell'epoca. 

L'incidente pericoloso
(unico accaduto durante l'erezione della Torre)

L'unico e irripetibile infortunio accaduto in vent'anni e più di attività, capitò al concittadino Ottavio Vazzoler residente alle Crete. Attivo nel volontariato locale per la costruzione pro campanile, venne colpito gravemente da un mattone scivolato dall'alto mentre affaccendato all'interno del tunnel raccoglieva alcuni attrezzi. Un colpo inferto su di un laterizio squarciato dalla tagliente martellina, rimbalzava sulla parete opposta e precipitando ferì il fondo schiena al malcapitato Vazzoler. 

Tramortito e sanguinante dalla cui ferita pendeva un trancio di carne, venne trasportato all'ospedale di Treviso dal  sig. De Lazzari Gino. L'istantaneo intervento del taxista sig. Gino, titolare peraltro di una cartolibreria collocata nei pressi dell'incidente, permetteva ai medici l'immediata sutura. Intervenuto frattanto Scattolin don Carlo, piangeva inginocchiato a lato del ferito e a mani giunte implorava la Madonna. Dopo lunghe sofferenze che turbarono l'animo del reverendo, il Vazzoler guarì per intercessione della Madonna, come ebbe a dire il parroco. 

Lo stemma del nuovo patriarca.

Il 16 marzo 1953 venne fissata sulla porta maggiore della chiesa, lo stemma del patriarca card. Roncalli. (Vi sono a proposito alcune foto probanti) Il dipinto si deve al veterinario e abile pittore dott. Ugo Vitaliani che, incaricandosi del compito a titolo gratuito, eseguito peraltro ad opera d'arte,  fece risparmiare al parroco alcune centinaia di lire. 
Lo stesso mese di aprile il dott. Vitaliani versava alla pro Chiesa lire 4.000. L'emblema venne posto davanti il portale della chiesa proprio nell'anno in cui il Nunzio Angelo Giuseppe Roncalli venne ordinato Patriarca di Venezia. Eletto il 15 gennaio 1953, s'intratteneva nella parrocchia di Quarto d'Altino durante la visita pastorale prevista e conclusa nel maggio 1957. Per l'occasione si recò anche sulla cella campanaria priva di campane e della statua relativa all'Arcangelo Michele. 

Il sussidio e la contentezza di mons. Scattolin

In data 29 settembre 1953 il parroco Scattolin sollecitava la Curia di Venezia di appoggiare la sua pratica inviata al Ministero dell'Interno, invocando un sussidio straordinario per il completamento del campanile. Il 24 agosto 1954, il Sottosegretario di Stato per l'Interno On. Guido Bisori del Governo presieduto da Amintore Fanfani e per conoscenza del Card. Angelo Giuseppe Roncalli concedeva a favore della chiesa di S. Michele del Quarto a titolo di contributo per la spesa occorrente, lire 1.500.000. 

Un appoggio davvero inatteso

E sicuramente lo è, se Sua Eccellenza il Prefetto Notarianni Direttore Generale del Fondo per il Culto di Roma appoggiava la richiesta della Curia Veneziana che chiedeva il contributo in questi termini: " Un mio ottimo parroco che ha dimostrato avvedutezza e costanza nelle molte opere iniziate e condotte a buon termine nella sua parrocchia, mi chiede di appoggiare la pratica tendente ad ottenere dal Ministero un sussidio straordinario per il completamento del Campanile. Lo faccio ben volentieri e sottolineo le buone disposizioni della popolazione e il contributo già dato dalle famiglie con vero spirito di sacrificio. Si tratta della Parrocchia di Quarto d'Altino - Diocesi e provincia di Venezia - Il parroco è il sacerdote Don Carlo Scattolin."  (27)


(27) - Le pregevoli e calorose manifestazioni dirette al parroco Scattolin, registrate nella lettera non firmata diretta al Prefetto Notarianni, pare siano state dettate dal Patriarca di Venezia mons. Angelo Roncalli. Lo si deduce dal fatto che la forma, il pensiero e la pratica siano realmente espressioni del Patriarca. 
Vedi per esempio: "lo spirito di sacrificio, il contributo delle famiglie, l'avvedutezza e costanza del mio ottimo parroco".
Encomi che don Scattolin gradirà e che in seguito ringrazierà personalmente quando nel maggio 1957 il Patriarca in visita alla parrocchia, effettuerà l'avventurosa salita sino alla cella campanaria. E questa sarà la prova determinante per la quale Mons. Roncalli dimostrerà la più alta stima al suo "ottimo parroco"
Si ricorda al lettore che all'epoca non esisteva l'8 per mille dello Stato Italiano, bensì la richiesta al Ministero dell'Interno a favore delle opere religiose e monumentali. 
(Vedi sotto il racconto dell'arrampicata del futuro Papa)



Scattolin don Carlo parroco di Quarto d'Altino comunicava sul periodico della parrocchia (vedi foto) la prossima visita pastorale del Patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli da tenersi in data domenica 5 maggio 1957. In quell'occasione il sottoscritto di anni 14, (ex chierichetto) salirà sul loggiato del campanile in compagnia del Card. Angelo Roncalli. Fu davvero un esperienza unica, vissuta direttamente col futuro e prossimo Papa Giovanni XXIII. 



Firma e timbro del Card. Angelo Giuseppe Roncalli in visita pastorale a Quarto d'Altino

La visita pastorale del Card, Angelo Roncalli e l'ascesa al campanile. (maggio 1957)

Nel corso della visita pastorale a Quarto d'Altino, mons. Roncalli avrebbe notato senza ombra di dubbio, la fioritura degli alberi detti impropriamente di "Giuda", ipotizzando quel giorno fossero stati per davvero piantumati. Ebbene sotto quest'albero, fiorito o meno, l'apostolo Giuda denunciò ai romani, il Maestro.    

Il mattino del 5 maggio 1957, mons. Roncalli patriarca di Venezia (28)  durante la visita pastorale effettuata a Quarto d'Altino, dispensò anche la Cresima ai fanciulli nati tra il 1948/49. In seguito, incuriosito dai problemi emersi durante la costruzione del campanile, chiese tra i tanti comunicati del parroco, di quanti gradini fosse composto il percorso. E poiché la domanda conteneva una certa ostilità nel praticarli, udito che non ve n'erano, notato inoltre la favorevole condizione climatica, decise per l'ascesa sino alla cella campanaria. La richiesta aveva comunque un fine del tutto personale: scrutare dall'alto della torre il Campanile di Piazza  S. Marco. Lo si capì comunque dopo. (Segue sotto)

(28) Per l'occasione Scattolin don Carlo, ringraziò personalmente il Card Roncalli per l'appoggio al contributo relativo al 1953, offerto dallo Stato Italiano. 

Sfortunatamente quel mese di maggio 1957, l'alberatura proposta dal sottoscritto nelle foto qui pubblicate, non esisteva neppure. Oggi invece appare in tutta la sua rigogliosa compattezza, ricca di rigogliosi racemi fioriti, tinti rosso porpora. E quel splendore sgargiante che domina tuttora la piazza, l'avrebbe notata anche il Patriarca Mons. Roncallisensibile com'è noto, per la sua originaria cultura di campagna. 
E tanto sarebbe bastato al Monsignore che nella circostanza, l'avrebbe ripetuto anche ai fanciulli cresimati e pure a quelli più grandicelli, raccomandandosi di non togliere la fioritura ritenuta dal prelato di origine contadina, semplicemente principesca. 
Ma questi, conosciuta l'esperienza e la cultura del Cardinale, non si sarebbero mai sognati ad una risoluzione tanto biasimevole... impegnati com'erano quel giorno, dopo che avevano appreso la notizia li per lì (in extremis) con la quale avrebbero potuto accompagnarlo sino al loggiato. E infatti, un gruppo nutrito di ragazzi grandicelli (esclusi i cresimati col Santolo Padrino) più che condurlo, lo seguirono.
 
  

otizia 

Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni, in data File 15/04/2014. Copyright dell'autore.

Nota storica - Quarto d'Altino città deve il proprio sviluppo alla chiesa parrocchiale eretta nel 1905. Nel medesimo anno divenne il centro commerciale del paese. La torre vicinissima al fiume Sile offre una visione panoramica estremamente pittorica e si completa sulle piste ciclabili aperte sugli argini orientati ovunque. Dalla torre campanaria si può assistere durante il mese di aprile, l'immagine caratterizzante di un paese costituito da un alberatura piuttosto recente, zeppa di fiori fiammeggianti proveniente dall'Albero di Giuda. (29) Raccolta in fitti grappoli decorativi tinti rosso porpora, s'immerge nella vastità campestre della cittadina, allineato in lunghi filari laterali diretti sulla via che porta alla stazione ferroviaria. 

Ma nella circostanza riservata al Patriarca, non avrebbe potuto notare la fioritura, semplicemente perché quel giorno designato dalla cresima l'alberatura non c'era. Se diversamente avesse ritardato la visita al di là di questo per anni, avrebbe osservato senza alcun dubbio, quel rettifilo dritto come una lancia allineato ai lati da lunghi filari, ricco di sgargianti colori sbocciati dai racemi della pianta.  
Il concorso del chiarore lunare durante la digradante illuminazione serale, ne avrebbe aumentato la bellezza laddove la fioritura, col duplice chiaro scuro dell'ora notturna avrebbe arrecato agli occhi di qualunque visitatore, le ricche varianti della natura. E infatti, più si osservano le gradazioni sbocciate tra il cielo e la terra, più s'innalza lo stupore prodotto dalla pianta. 
La segnalazione proposta dal sottoscritto, ha validità soltanto a quanti aprono il cuore ad un organismo vegetale vivente, mentre a quanti ne avvertono solamente il significato, dovrebbero ripararsi all'ombra del vivido arbusto, sperando che qualcosa di lui rimanga.

Ecco il perché dell'accostamento alla pianta a mons. Roncalli

(29) Cercis Siliquastrum. Nome botanico della pianta di origine asiatica. Il nome Albero di Giuda è riferito alla regione della Giudea. Il repentino apparire dei fiori sulla nuda corteccia prima delle foglie, rappresenta simbolicamente il tempo della passione di Gesù di Nazareth. Inoltre la pianta sarebbe legata all'episodio presso il quale sotto questo albero, l'apostolo Giuda Iscariota, avrebbe dato il famoso bacio traditore, in seguito al quale venne crocefisso Gesù.... e di ciò mons. Roncalli, ora fatto santo, ne sapeva molto più  di chiunque altro. 
Ecco dunque la validità dell'accostamento diffuso tra la fioritura fiammeggiante dell'essere vivente chiamato albero di Giuda, e la visita pastorale del Patriarca, all'arrampicata del presule sulla Torre.

L'arrampicata sulla Torre

Alla proposta aderì istintivamente il parroco che per l'evento straordinario, non  aveva considerato che il primo e ultimo tratto del camminamento presentava difficoltà di accesso dovuto all'oscurità permanente. Un'infelice partenza dunque, talmente buia e difficilmente transitabile a cui va aggiunto la difficoltà del percorso causato da una curva iniziale prodotta dalla rotondità del campanile e dalla strettoia in ripida salita. Vennero così disposte in fase di partenza alcune candele. Un illuminazione non certo adatta per l'utilizzo al quale il Patriarca doveva procedere in piena sicurezza. Ma non potendo recuperare altro, si decise a quel punto, per lo stato delle cose. 

Frattanto, la scorta del Patriarca consigliava Mons. Roncalli a recedere dall'arrampicata considerata un'evitabile imprudenza, a cui il futuro Papa non badò e decise per l'ascesa. Preceduto da una schiera chiassosa di ex chierichetti, (Tra cui il sottoscritto) iniziava la scalata il parroco pedinato dal Patriarca, i quali visionavano discutendo tra una finestra e l'altra il sottostante paeseAl corteo partecipava il sindaco Carlo Ceschel, alcuni componenti della giunta comunale, il cappellano don Giovanni Budinich e il seguito pastorale.



Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso in data file 15/04/2014. Copyright dell'autore. 

Ecco la fioritura di quanto avrebbe potuto osservare dall'alto del bel campanile, il Patriarca di Venezia mons. Giovanni Roncalli. 
L'alberatura rosso porpora allineata lungo la strada in opposti filari, si proietta come una fonte di luce propria, sulla via diretta alla stazione ferroviaria. E proiettandosi lungo quella traiettoria, originariamente detta dei "Pascoloni", trasferisce impulsi e sentimenti particolarmente significativi e li trasforma in un vibrante e moderno panorama. Se si esclude ovviamente il periodo durante il quale la strada, si mostrava una semplice carreggiata diretta al fiume Sile, transitata allora da bovi e cariaggi. Sembrerebbe dunque che la via trasformata oggi in bellezza, sia l'unica forza innovatrice (col campanile) nei rapporti con l'antichità di ieri, all'odierna e abituale viabilità del presente.... per chi crede ovviamene nella potenza generatrice della natura e delle piante create a misura dell' uomo. 

L'oscurità iniziale, diffusa purtroppo pure al termine del percorso, causata dall'inevitabile assenza di finestre e dell'impianto elettrico, rimasto come tante altre cose, sulla carta del progetto. E questo indicava una vera e propria responsabilità, per la quale il parroco, ne avvertiva tutto il peso. 
Un onere dunque non da poco, motivato certo dal buio, ma anche dalla mole del Patriarca, che se avesse inciampato e ruzzolato col suo peso, si sarebbero innescati dei guai veramente seri. Non a caso il parroco provvide a rischiarare il tratto buio togliendo alcune candele dall'Altare di Santa Teresa del bambino Gesù. E pilotando mons. Roncalli, sino alla luce diffusa dalla prima finestra, lo avrebbe escluso da probabili rischi. La stessa cautela veniva osservata, anche dal seguito del Patriarca che usando le proprie in un passamano a catena, venivano adoperate anche nel punto terminale della Torre.  

Il provvedimento che mirava a proteggere il monsignore da probabili inciampi, prevedeva anche la difficoltà dell'ascesa dove la larghezza del corridoio bastante a due persone dalla portata magrissima del parroco, bastava appena a quella del Patriarca che discutendo l'uno al seguito dell'altro,  andavano a soffermarsi riposando, sugli spazi consentiti dalle finestre. 
L'assenza di gradini, favorì senza dubbio l'ascesa del monsignore che ai primi segni di stanchezza poggiava le mani sulle pareti e sulle stesse balconate in marmo. Allarmati dalle numerose soste e dal sudore effuso, i componenti della giunta comunale, temendo eventuali malorisi alternavano incollati alle spalle del Patriarca, e qualora avesse dato segni d'incertezza veniva altrimenti sorretto.

Quel giorno il campanile di Venezia, per quanto una leggera nebbiolina avesse condizionato la vista ai visitatori, e tuttavia mons. Roncalli riuscì ugualmente a distinguere. E congratulandosi col parroco, sventolò in segno di saluto, senza interrompere lo sguardo verso la laguna, il fazzoletto bianco madido di sudore. 
Nessun incidente o malessere rovinò l'intrattenimento del Patriarca che avviandosi lentamente a piano terra, giunse un quarto d'ora dopo gli ex chierichetti. Questa la cronaca di quel giorno, cinque maggio 1957.





Foto archivio storico Bonesso Alfio Giovanni. Ottobre 1958

Preparativi sollevazione e posa in opera statua Arcangelo Michele. La scultura in acciaio inox è stata realizzata del Prof. Benetton su bozzetto del Prof. Romanelli. Le immagini relative al sollevamento sono state pubblicate per la prima volta nell'opuscolo 15^ festa S. Michele 2001 su  foto recuperate dal sottoscritto e in  seguito convertite alla parrocchia. 

A distanza di circa 20 anni, le stesse foto sono apparse in un libro recente (settembre 2018 curato dal Sartor) dedicato alla chiesa di Quarto d'Altino. Mi è sembrato uno strano modo servirsi delle foto con le quali l'autore prevedeva ottenere meriti speciali senza possederne alcuno. Già pubblicate su alcuni fascicoli parrocchiali ad opera del sottoscritto, ripetono sostanzialmente quanto avevo provveduto nel 2001, senza ottenere peraltro riconoscimento alcuno. 

Del resto le foto qui diffuse e donate dal sottoscritto alla parrocchia, si è stranamente dimenticata pronunciare il nome del personaggio che le ha recuperate. Che stranezza poi averle pubblicate con un gesto esemplare su di un libro diffuso nel 2018, tratto e copiato in gran parte, da chi aveva preceduto l'autore e la stessa parrocchia. Non trovo parole esaurienti che tengano conto dell'inutile e ingiustificato privilegio.

Descrizione della statua relativa all'Arcangelo Michele.    

Venne realizzata nelle officine meccaniche del prof. Toni Benetton di S. Maria del Rovere (TV) su progetto dello scultore Romanelli. In seguito venne collocata sulla cuspide il 6 novembre 1958 e benedetta il giorno 16, ore 14,30 da sua eccellenza vescovo ausiliare. 

Non è fusa in un blocco unico, bensì composta in lamiere di acciaio inox, sagomate a mano, battute e unite a chiodi ribaditi e fusi. L'interno è completamente vuoto, sorretto da un insieme di elementi cilindrici che reggono l'intera struttura. 
Aperta alla base, permette attraverso gli occhi perforati, la bocca dischiusa e un foro sul capo, una costante circolazione d'aria, attraverso i quali escludono eventuali ossidazioni provocati da vapori acquei. Dal peso piuttosto contenuto poggia su di un supporto a forma sferica simbolo dell'universo. E' sostenuta da un meccanismo girevole che permette alle ali dell'Arcangelo, aperte come vele al vento, di girare a 360 gradi secondo la provenienza dei venti, anche ai più tenui o leggeri. 
Misura tre metri di altezza, la base portante è costituita da un piedistallo in cemento a forma quadrangolare di m. 1.20 rivestito in lamelle di rame. Poggia su di una sfera di cm. 60, entro cui vi è inserito l'organo rotante. Il tutto misura m. 4.80. Il progetto iniziale prefigurava l'Arcangelo posato su di una piattaforma riquadrata sotto cui compariva la figura del demonio calpestato da Michele armato di spada. 
L'esecuzione oggettivamente difficoltosa, non venne mai considerata a  causa delle difficoltà operative, né per questo venne mai realizzata. Poggia saldamente su di una sfera in rame battuta a bocciarda raffigurante il globo terrestre.




Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni. Ottobre 1958. 

L'arcangelo Michele inizia l'ascesa sollevato da un motore elettrico. Temendo il fattore ondeggio prodotto dagli sbandamenti prodotti dalla motrice, la statua venne collocata come si nota nella foto, all'interno di un loggiato in ferro. Raggiunse il piedistallo in perfetta integrità, unito alla festosità del popolo presente.



Vedi il progetto iniziale in cui la statua veniva appoggiata su di una piattaforma quadrata su cui compariva il demone calpestato dall'Arcangelo. L'esecuzione piuttosto difficoltosa, venne sostituita da una sfera raffigurante il globo terrestre. All'interno del quale ruota un meccanismo girevole in grado sostenere il peso della statua  determinando pari tempo, anche il volteggio.

L'intrattenimendo di Fassina don Gianni a S. Maria del Rovere. Tv.

Mese di marzo 2001. Don Gianni Fassina parroco di Quarto d'Altino interessato all'epoca agli storici eventi prodotti sul campanile, decise recarsi alla volta di S. Maria del Rovere (tv) dove si stanziava l'officina del maestro defunto Toni Benetton.  Affascinato dalla vicenda relativa al pro erigendo campanile sulla cui realizzazione il parroco non era molto informato, richiese per l'occasione la presenza del sottoscritto come testimone oculare e verbale, in grado qualora ne fosse stato bisogno fornire elementi riguardanti. 
Certi di trovare presso la sede del prof. Simon Benetton, (figlio dell'esecutore della statua defunto Toni) documentazioni fotografiche e cartacee, nonché sulla posa della statua. Ci rammaricammo alla fine del colloquio, per non aver trovato nulla di quanto avevamo previsto.  




Foto archivio storico Alfio Bonesso Giovanni. Ottobre 1958. 

La sollevazione si concluse in pochi minuti. Per la posa in opera compreso il volteggio della scultura, non bastò il giorno successivo e anzi si alternò sino al mese di novembre. Il tutto si risolse con i mezzi e risorse dell'epoca. 
Circa 40 anni dopo, la statua venne a bloccarsi, al cui restauro si cimentarono alcuni specialisti affiancati dal sottoscritto il quale documentò fotograficamente l'evoluzione. Il materiale fotografico è a disposizione per eventuali futuri restauri.  

Il sig. Simon Benetton ricordava, 
nonostante fosse andata a vuoto la richiesta, quando da giovinetto s'intratteneva col padre affaccendato intorno all'Arcangelo in fase di realizzazione, la cui quota in altezza, si mostrava dinanzi al figlio, meno della metà, salvo i tubi di collegamento derivati dall'estremità del capo. 
E accompagnandoci per l'azienda, gli chiedemmo fra le tante domande e richieste, se fosse stato in possesso di una copia del progetto cartaceo del campanile, allora curato dall'architetto Angelo Scattolin. La risposta negativa ci lasciò inevitabilmente senza parole, per quanto la visitazione non fu soltanto volta al ritrovamento dell'importante progetto. (30) 

(30) Il progetto (cartaceo) non è purtroppo contenuto nell'archivio della parrocchia, né su quello del defunto architetto Scattolin. Va tuttavia ricordato che, nel comunicato dell'ottobre 1955 il parroco scriveva che "la cuspide è stata ultimata come comanda il disegno". Il progetto dunque esisteva. Ricordiamo ancora una volta che se avessimo ritrovato il cartaceo, si sarebbe potuto rilevare anche l'altezza prevista della Torre altrimenti bloccata agli attuali metri 40; cioè sul piano dell'odierna cella campanaria. La soluzione dell'originaria altezza come pure dell'interruzione del campanile, verrà pubblicata quanto prima nel capitolo sesto. 

Gli chiedemmo peraltro, alcuni particolari sulla costruzione del colosso di acciaio, non escluso eventuali documentazioni fotografiche eseguite durante la composizione. Niente di tutto questo, salvo alcune memorie conservate dal figlio dott. Simon. Nonostante le tante ricerche effettuate anche altrove, il progetto cartaceo per il campanile di Quarto, non venne mai rintracciato. Siamo certi però della sua realizzazione in quanto sono emerse alcune testimonianze dell'opera. Si possono apprendere nel capitolo sesto, rimasto appositamente vuoto. 

L'intrattenimento col dott. Simon non fu per certi versi completamente negativo. Non lo fu per il semplice fatto che, oltre ad averci illustrato i segreti del mestiere del padre, lo ricordava intento a riprodurre il volto di Michele, per quanto possibile renderlo almeno somigliate all'odierna tela custodita nella chiesa di Quarto d'Altino. E se davvero l'illustre maestro vi riuscì, non spetta a noi quantificarlo. 
Ma se dovessimo scegliere tra un dipinto su tela e i problemi costituiti dalla robustezza dell'acciaio piegato e, di quanto comporta tutto il resto, non vi sarebbero dubbi su quale dei due ci saremmo schierati. 
In qualunque cosa poi, si fosse ispirato o tentato di rendere simile alla bellezza del dipinto di Quarto, gli va certo il merito di averci almeno provato
Alla morte di Toni Benetton, il figlio Simon proseguì nell'attività avviata dal genitore. Artista riconosciuto e amato si spense per malattia il 15 ottobre 2016. Nacque a Treviso il 24 ottobre 1933. A Quarto d'Altino vi sono alcune sue opere erette su alcune piazze del comune. Le prime due sono collocate presso la piazzetta di via Isonzo bisognose di restauro, la terza presso il monumento ai caduti di Portegrandi. 
Addio dunque ai Maestri del ferro e dell'acciaio piegato... che l'Arcangelo Michele vegli su voi. 


Fine capitolo primo

                                                         











Nessun commento:

Posta un commento