Capitolo 001. - Premessa su determinati argomenti sconosciuti agli altinati.


Premessa su deteinati argomenti sconosciuti agli altinati


Un rapido sguardo sull'utilità del campanile rispetto al sistema telecomandato detto Drone. 

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Pazientare nella lettura è la virtù necessaria che permette di capire la storia qualora si è seriamente intenzionati introdursi nella quotidianità dei popoli e negli ideali dei loro tempi. 

Per facilitarli, si consiglia seguitare per ordine di successione tenendo conto dei capoversi oppositamente colorati in bleu. In caso contrario s'incontrerebbero malintesi. (A.B) 




(1°) L'erezione turrita a sviluppo verticale chiamata più semplicemente campanile, era ed è tutt'ora considerato alla stregua di un osservatorio statico in veduta permanente. E' quindi soggetto ad impieghi subordinati al tempo recente come pure al passato, utili entrambi qualora s'intenda determinare con precisione qualunque condizione oggettiva dovesse manifestarsi. Ma dovessimo valutare la rapidità dei veicoli telecomandati chiamati droni, non ne avvertiremmo neanche il bisogno e giunti a questo punto, il campanile manifesterebbe condizioni di subalternità. Si potrebbe dunque supporre che il comando a distanza avrebbe superato la funzione statica del campanile, con la quale sino a ieri si fotografava il territorio dalla sommità. 
    
E' noto d'altra parte a chiunque vi abiti o transiti fugacemente, che l'utilità del campanile, come del resto la sua posizione dominante, notoriamente orientata a 360 gradi. Eppure soltanto quella volto a nord, era ed è tuttora ritenuto dai fotografi, come del resto dagli studiosi interessati all'area fluviale, la più importante. E forse lo è anche oggi.  
Secondo un piano di studio non recente, avrebbero favorito come materia di ricerca,  la zona dove scorre il fiume Sile, al di la del quale si nota frontalmente la cittadina di Musestre. Punto cardinale nel quale la popolazione, riteneva e ritiene tuttora, essere un paese riconducibile ad un atmosfera incantata o se vogliamo fiabesca. Diverso è l'ambiente visualizzato dalla parte opposta cui si mostra in tutto il suo aspetto moderno e di riferimento, l'area golenale di Quarto d'Altino. Zona in cui, non meno di settant'anni fa, era possibile raccogliere dati importanti ritenuti di valenza storica. Dagli elementi raccolti, ne emergono alcuni con riferimento alla storia antica, molto meno quella recente, con i quali in gioventù, ho avuto disparate esperienze vissute sull'ampia zona circostante il porto. 

L'ambito

Nel medesimo ambito si rende visibile l'ampio panorama golenale la cui capacità pare abbia avuto i natali da un età antica. E' visibilmente inserita tra il corso d'acqua e l'occhio del visitatore. Non è avvertibile a quanti sono affetti da cecità apparente o da sentimenti avversi alla storia relativa al Comune di Quarto d'Altino.
Attiguo al fiume, emerge dal verso opposto l'abitato di Musestre col campanile appuntito a forma quadrangolare. 

Ma ciò che colpisce l'incredulo visitatore non è tanto la via dell'acqua, bensì la notevole superficie che fa capo all'area golenale di Quarto d'Altino, dove sino a pochi anni addietro, erano ancora visibili le tracce di un porto. Una zona portuale dunque, dove si notavano ancora i segni di un epoca a noi sconosciuta. (Secondo alcune estimazioni rivelava un epoca piuttosto antica)  
E basandosi sui ricordi dei vecchi abitatori della zona,  (Anni 40/50 del novecento) emergevano segni di un tracciato stradale collegato al porto dell'odierno Quarto d'Altino. Tale strada o percorso, portava il titolo all'epoca di Roma, notorio peraltro di via Claudia Augusta. 

sono mai emersi alla vista di quanti coabitano  

gli nessuno ha mai avvertito il dovere, fornendo alla storia locale, documentando fotograficamente i vari settori e alcuni elementi essenziali, peraltro probanti.  
(Secondo alcune estimazioni rivelava un epoca piuttosto antica) 

D'altra parte, apparivano segni sulla zona portuale, basandosi ovviamente sui ricordi dei vecchi abitatori della zona, (Anni 40/50 del novecento) apparivano segni di un tracciato stradale collegato al porto dell'odierno Quarto d'Altino. Ebbene tale strada all'epoca di Roma portava il titolo di via Claudia Augusta. Dovendo superare diagonalmente il fiume Sile, venne perciò  eretto un ponte da permettere il transito ai legionari romani in Altino, alla volta dell'odierna Germania. A Est, il campo visivo si completa distinguendo la laguna di Venezia separata dalla terraferma. A Sud si nota la città di Mestre e la zona industriale di Marghera. Ad Ovest, il territorio trevigiano. 
  
Ritornando all'epoca attuale, non mi posso sottrarre da alcune richieste popolari segnalando la ragione per la quale, il campanile venne escluso dal patrimonio culturale e naturalistico sul fiume Sile, inserito peraltro nel Sito Unesco nell'anno 1987.   
Durante l'ufficialità del caso, non venne nemmeno citato, e tanto meno trattata la presenza visibile sino al mare e ovunque d'intorno. 
In ogni caso si considerava positivo l'intrattenimento individuato sul piano culturale, nella convinzione di quanti rappresentavano l'evento  avessero almeno notato l'imponenza, l'aspetto iconografico e i meriti popolari per l'impegno assunto durante la ventennale realizzazione. 
Cosicché i residenti, lusingati dell'approvazione avrebbero potuto, come peraltro s'individuava tra la gente, trasmettere la novità all'Unesco.  In ambito politico invece, non fu mai oggetto di approfondimenti, neanche quando compì i primi cinquant'anni di vita in comune. Mancò senza dubbio la riconoscenza versata a chi lo eresse gratuitamente.

 interruzione



si continuò a segnalare, registrando dal punto più elevato, il panorama circostante e l'area golenale col porto di antica tradizione. Completava il disegno dell'opera unica nel Veneto, la riconoscenza dovuta alla cittadinanza che lo eresse gratuitamente. 
Dalla cella campanaria inoltre, compatibilmente alla posizione assunta dal visitatore, potrebbe identificare, qualora l'occhio segua la versatilità del fiume, la costante penetrazione delle acque correntizie a fronte dell'area golenale. Transitando velocemente, e con forte accentuazione di movimento, sottraggono al fondo d'origine l'estensione della zona dal disegno cartografico iniziale.   

La figura più elevata, quella che supera i luoghi circostanti rispetto ai riferimenti cui sopra, rimane comunque il campanile, che in stretto legame col "paesaggio naturale del fiume Sile", prevale di gran lunga sulla vasta estensione golenale. A seguito delle varie attività di trasporto e di commercio di origine antica, la golena venne valorizzata con l'attività del porto, e più tardi, anche a mezzo dell'elevata postazione del campanile. Non sarebbe quindi possibile ignorarlo senza coniugare l'insieme iconografico, proiettato romanticamente sulla scorrevole via dell'acqua. Il risultato è un accoppiamento ben riuscito, sperimentato e condiviso da 70 anni a questa parte. Non lo è altrettanto il porto e le operazioni d'imbarco, nonostante il millenario commercio assunto.  
La cecità apparente

(2°) Presso la confluenza della Via Claudia Augusta al porto di Quarto d'Altino, giace oramai da anni in condizioni precarie e abbandonata dalla civiltà, la gigantesca golena col porto entrambi legati ad un passato ritenuto lapidario, pur con sfumature di venerabilità diverse.  Privi delle regole previste per la conservazione del suolo e della memoria dei limiti originari, lacerati entrambi dall'invasione delle acque provocate dal moto ondoso, non reggeranno a lungo, se non si adotteranno  le misure necessarie per la conservazione del fondo stesso.  
E se le autorità competenti non fossero al corrente o comunque oggetto da passeggere indisposizioni, utili d'altra parte per capire lo stato negativo e le conseguenze derivate, (1) verrebbe considerato dalla cittadinanza che teme la cecità apparente, la volontà d'impedire al paese, lo sviluppo industriale e turistico per le quali l'intera comunità, dimostra un profondo legame e interesse. 
In ogni caso,  sono a noi sconosciuto quali siano tali impedimenti, le origini da cui dipendano e se in realtà lo sono. Né si conosce tra l'altro, se sono condizionamenti causati da ordine superiore.
Qualunque siano le motivazioni, il vecchio S. Michele del Quarto, oggi frazione del recente Quarto d'Altino non a caso  veniva chiamato in antico col titolo "Quartum". Ovvero, un area, situata al "Quarto miglio da Altino" dove si stanziava un "Vicus" agricolo istituito dalla romanità dell'epoca. Ragione per cui l'area portuale di Quarto d'Altino legata alla vitalità industriale istituita durante il vissuto del vecchio S Michele del Quarto, dovrebbe quanto meno interessarsi delle attitudini della golena e delle operazioni attivate al porto.

(1) - E' impossibile non notare il degrado dell'area golenale se non da chi è affetto da cecità effettivamente reale. E quanti non sono ancora al corrente dell'istituzione del porto, operazioni comprese, suggerisco una sfogliata generale sui testi storici.   

(IdemD'atra parte la popolazione ha sempre coltivato il desiderio di assistere ad una profonda rigenerazione portuale e paesaggistica sinora mai considerata tale. E se non sarà considerata a breve termine, l'area golenale sarà destinata a soccombere, preda violenta del ritorno dell'onda e delle masse d'acqua sollevate dalle piene. Avremmo così perduto con la piena coscienza di chi intende privarsi di un bene prezioso, pur redendosi conto di aver concorso sul piano pratico e morale, alla definitiva soppressione, o se vogliamo dirla in lingua corrente, la condanna a morte.  
Lo stesso modello è anche usato da quanti continuano a tacere nel diletto del proprio tornaconto, pur constatando la grave situazione. Ciò dimostrando con tale attitudine un disgustoso comportamento, non conforme peraltro, all'obbligo per il quale sono stati eletti. Eppure continuano nella loro superficialità, dichiarandolo "Scalo portuale di Quarto d'Altino"Sorprende davvero udire ciò che oggi non è più. Si teme comunque il peggio.

(3°) Durante gli scavi per le fondamenta di casa D'Este, venne alla luce un diffuso pietrisco mischiato a blocchi di marmo situati a circa 30 metri dal fiume Sile. Alcune indagini sul luogo dichiaravano senza esclusione di errore, che là transitava la Via Claudia Augusta in direzione del porto di Quarto d'Altino Il masso più grande considerato all'epoca inamovibile, venne utilizzato perciò come struttura portante per l'edificio in costruzione. (Più avanti segue la narrazione)

(4°) L'incomprensibile silenzio degli odierni storici sulla centenaria dichiarazione del dott. Giuseppe Pavanello, costituisce la prova probante di quanti hanno sempre evitato nelle loro pubblicazioni, o chiuso gli occhi dinanzi lo studio del noto ricercatore, eludendo con patetica eleganza i contenuti del Professore. 
Considerato il silenzio oramai claustrale, tenendo conto anzitutto la professionalità del Pavanello, ebbene questi, temono davvero reggere il confronto, come del resto è ovvio supporre, con chi diversamente non è legato al proprio territorio. E infatti il Pavanello avendo avuto i natali a Meolo, non è soggetto a favoritismi pro Quarto d'Altino. 
Altri invece essendo orientati su di una linea di condotto domiciliare, ai quali vorremmo chiedere, se in realtà si sentono in pace con la loro coscienza. In particolare quando con arroganza insinuano nei loro testi, che il porto di Quarto d'Altino non sarebbe neppure esistito... se non quello domestico, quello stanziato presso l'insoddisfatto insolente.

(Idem ) Il contenuto o la dichiarazione del Pavanello, riguarda anzitutto il mercato situato alla quarta lapide e, il porto in S. Michele del Quarto, riconosciuti dallo storico di Meolo, "preesistenti" già dall'anno 966 d.C. Restiamo comunque in attesa di eventuali contraddittori, in particolare da quanti per anni, se ne sono stati in proficuo silenzio.

(5°) La confluenza della Claudia Augusta diretta al porto di Quarto d'Altino con uscita presso casa D'Este, contiene tuttora un masso di pietra, cui si ritiene essere i resti di una colonna crollata o abbattuta. Tale elemento secondo indagini, avrebbe dovuto elevare la via Consolare ad un livello superiore al corso dei navicelli transitanti lungo il fiume Sile. Ciò supponendo ovviamente, come del resto è logico ipotizzare, dagli studi e rilievi emersi presso l'alloggio della citata famiglia.

(6°) Segue  l'ipotizzato disastro ambientale. 

(7°) Segue l'Unesco. Una candidatura mai richiesta ma che aspetta da anni.

(8°) E altro ancora. Troverete tutto questo nel testo che segue.

Nota. 
"I cultori delle antiche memorie, concentrati nello studio per la storia locale a finalità personale, spinti da una profonda passione di ricerca, si riversano senza interruzione e capacità professionali, nell'inarrestabile seduzione dell'impresa senza raggiungere talvolta la finalità sospirata. Privi di competenze, esperienze e di studio hanno tuttavia dimostrato capacità rilevanti, laddove nessuno professionista di ruolo, avrebbe mai sospettato. 
Eppure questi impenitenti studiosi privi di laurea, visitando e studiando siti diversi, hanno potuto raccogliere immagini fotografiche su disastri ambientali tuttora in corso, laddove le inerti attività amministrative, non hanno mai dimostrato alcun interesse. In tal modo sono accresciuti rischi e pericoli sulle zone oramai in via di estinzione.
Credo pertanto, siano profondamente encomiabili perché hanno dato luce al grande panorama degli eventi, la visibilità che mancava".
(Ignoto letterato) 

Comunicazione ai lettori sul previsto disastro ambientale 

Si rammenta che questo lavoro non ha pretese particolari. Tenta solamente di rivolgersi ai politici locali, primi responsabili dell'ambiente, per secondo gli altinati d'origine e a quanti sono interessati allo spazio in cui vivono. Non esiste peraltro, nessuna pretesa scientifica o volontà di dire qualcosa di nuovo. D'altra parte, sono soltanto sufficienti gli occhi per notare ciò che ha provocato secondo malcostume locale, un disastro ambientale. 
Si raccomanda durante la lettura un attento esame al testo dedicato all'ambiente. Chi scrive potrebbe avere assunto, per carenza qualitativa dei termini quanto per la pratica dello scrivere, una veste diversa da ciò che non è. In ogni caso non corrisponde alla propria.  
D'altra parte duole segnalare l'unanime silenzio amministrativo dedicato alla progressiva decadenza relativa all'area golenale in Quarto d'Altino. Eccetto quanti si sono applicati con la coscienza di chi aveva avvertito e avverte tuttora la gravità dell'evento, nel quale si rileva tuttora, l'incontestabile fenomeno causato dall'insipienza della cosa pubblica cui spetta prima di ogni altro, la responsabilità e la risoluzione del caso tuttora aperto. 
Lontano dal malcostume e dal ciclo degenerativo,  si è sovrapposto da tempo allo scopo d'illuminare ciò che la tradizione locale non è più, osservando e fotografando per anni la lenta riduzione del suolo che fa capo alla golena di Quarto d'Altino, esprimendo peraltro il proprio parere.
Mosso da tanta tristezza causata dal continuo stato di noncuranza da coloro i quali dovrebbero averne cura, ora pubblica le foto affinché la cittadinanza si renda conto del danno causato dalle acque del fiume Sile. L'area golenale in degrado è visibile a chiunque si soffermi presso il porto in Quarto d'Altino, a questi dunque, l'arduo compito di esprimere quale che sia, il proprio giudizio. Oppure se crede, una giusta quanto efficace critica. L'uno e l'altra comunque non saranno in grado di restituire ciò che da tempo è andato perduto.  

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Svolgimento

   
L'interesse per il campanile di Quarto d'Altino è pari alla precaria condizione relativa all'area golenale evidente presso il fiume Sile. 
 

(Capoverso N°1)
Considerando il titolo di apertura, verrebbe quasi da chiedersi cosa centri il campanile coll'area golenale di Quarto d'Altino situata presso il fiume Sile. Eppure la zona coglie a pieno titolo ciò che da mezzo secolo e più, controlla l'area portuale del nostro paese.  
Va da se dunque porre in primo piano il campanile come del resto la sua posizione, dalla quale partendo dagli anni sessanta del novecento, campeggia abbellendo il centro cittadino. Periodo in cui venne posto al vertice, anche l'ammirevole scultura dell'Arcangelo Michele, con la quale si concluse l'opera iniziata 20 anni prima, offrendo peraltro il danaro sufficiente per l'intera realizzazione. 
 
Oltre a rappresentare il titolo della Parrocchia i cui natali ebbero luogo nel 1905, la statua in acciaio inox trasmette al visitatore ciò che la comunità dell'epoca desiderava. Un desiderio umile eppure virtuoso dovuto al sistema educativo dell'epoca. Impossibile oggi.   
L'opera esprime invero, l'impegno morale di un paese con il quale i visitatori, turisti e curiosi, colgono la volontà della popolazione dovuta ad un intensa esperienza di vita. D'altra parte è possibile peraltro cogliere dalla cella campanaria un campo visivo completo col quale  abbraccia i confini dell'intero paese.   
  
Di recente la comunità altinate, ha peraltro assunto un titolo quale Altino e le sue periferie, non escluso Quarto d'Altino veniva segnalato alla stregua di "Città archeologica. Inteso ovviamente nel transito locale volto al settentrione superando il fiume Sile. Al provvedimento unito alle caratteristiche generali, ha potuto in tal modo aumentare il peso qualitativo, introdotto dall'apertura del recente Museo archeologico di Altino, dove dai fondi circostanti emergono reperti della Roma antica. 
L'edificio a tre piani,  tiene a raccolta un ampia rassegna di oggetti d'interesse storico e di opere antiche, emerse dalle alture della città scomparsa.
Se unite le opere,  in primo luogo la "Città Archeologica", per secondo il museo di Altino e quindi il "Campanile", dal quale si notano tuttora i dossi sopra cui venne eretta la città, ragione per cui si potrebbe attraverso uno slancio civico,  estendere il loro valori e pregi,  ponendo all'attenzione in primo luogo, l'altezza del campanile dal quale nulla sfugge,  non esclusi i dossi di Altino laddove venne eretta la città.

Ma l'impegno assunto per la realizzazione del campanile, unito alle varie modalità di compimento, era già stato annunciata dalla cittadinanza, la quale all'epoca aveva richiesto per un fine comune, collaborazione al parroco nuovo arrivato. Giunto a S. Michele del Quarto da un anno circa, accettò volentieri l'incarico dimostrando il contrario di quanti ritenevano allo stato delle cose, impraticabile l'idea di erigere un campanile. 

Prevalevano comunque le figure fondatrici, i promotori, gli ideatori, lavoratori, artigiani e contadini ed erano tanti, quasi la totalità del paese. Si venne così a scoprire parroco in testa, una comunità sorta dalle ceneri della II^ guerra mondiale, decisa ad offrire il proprio contributo per quanto scarseggiassero le risorse economiche. 
E in quel conferimento di ruoli, decisioni e profferte scaturite dall'indole generosa delle persone, prendeva avvio in un modestissimo centro abitato, un percorso in piena autonomia durante il quale la cittadinanza realizzerà la Torre. 

L'incompleta realizzazione.  

(Capoverso N° 2)

La Torre eretta a canna cilindrica in stile ravennate misura alla cuspide 56 metri. Doveva raggiungere i 65 circa, ma durante l'attività pro erigendo campanile si presentò un occasione, unica direi, su di un fondo alienabile in prossimità della chiesa adatto ad erigere la scuola materna, peraltro nei pressi al centro abitato. 
Ragione per cui il parroco ritenendo l'appezzamento appropriato per tale uso, al quale non intendeva rinunciarvi, interpellò il proprietario proponendone l'acquisto.  (1) 

Il vasto terreno sottoposto ad esame da entrambe le parti,  confinava a nord (e tuttora lo è) presso il fiume Sile. Viceversa a sud, terminava a fronte della via diretta per Treviso, dove a pochi metri di distanza emergeva la palazzina del titolare che intendeva alienare col fondo stesso. L'acquisizione negoziata e ottenuta nelle migliori condizioni possibili, interruppe purtroppo il proseguo del campanile, causato com'era prevedibile, dalla diminuzione economica. 
La Torre rimase così bloccata per circa due anni e quando riprese l'attività, non andò oltre la quota rimasta il giorno dell'interruzione.  

(1) L'abitazione apparteneva alla famiglia Boscolo originaria di Quarto d'Altino. Durante l'esecuzione del nuovo fabbricato, (Asilo all'epoca) prendevano avvio all'interno della palazzina non ancora demolita, le prime lezioni ai fanciulli. Sull'alloggio alienato dai Boscolo, risiedeva una stanza privata a piano terra, assegnata in locazione all'ufficio postale del paese. E per la quale don Scattolin si fece mediatore affinché il servizio venisse trasferito in fretta presso l'azienda comunale, e là vi rimase sino al 1988. (Nel medesimo anno, l'edificio postale venne aperto al pubblico
L'urgenza divenuta frattanto incalzante dalle richieste dei cittadini, ai quali il parroco dovendo fornire risposte sollecite, meditò  sulla difficoltà operativa qualora avesse iniziato una seconda attività, da condure in ogni caso ambedue a termine.
Era noto comunque al parroco (Scattolin don Carlo) che le mamme già si recavano coi loro bambini all'asilo di Musestre, e che per giungere nella località contigua, dovevano pure attraversare il ponte sul fiume Sile. Superato con difficoltà, causa le affaticanti salite e perigliose discese dove i fanciulli seduti a tergo della bicicletta avrebbero potuto ruzzolare. I bambini più grandicelli sedevano infatti sul portapacchi posteriore guarnito di un cuscinetto piumato. I più piccini a fronte su di un cesto intrecciato a corteccia di vimine. Solerte quindi il parroco si prodigò rimuovendo i numerosi problemi edificando la nuova struttura.
Va ricordato che all'epoca non esisteva,  esiste tuttora un trasporto pubblico diretto presso tale località. Tanto meno le famiglie avrebbero potuto acquistare l'auto privata. 

                          La riduzione di metri dieci.
                                        (Capoverso N° 3)

La notizia dell'arresto poco nota alla cittadinanza, venne diffusa con riservatezza dall'operaio dell'impresa parrocchiale Zanon Agostino detto "Angelo" residente a Quarto d'Altino. (2) Nel momento in cui il Zanon venne a conoscenza della notizia, con la quale a breve si sarebbe interrotto la prosecuzione della Torre, invitò tutti i compagni di lavoro a porre su carta pergamena il proprio nome in memoria della loro attività. In seguito venne collocata entro un mattone dell'ultima colonna circolare. In tal modo venne garantito ai posteri, i nomi dei protagonisti incaricati ai lavori. (Esclusa la gettata in cemento sulla cella campanaria, realizzata in seguito da una ditta di rimpiazzo: il Franchin)  

(2) Collaboratore della parrocchia, oltreché operaio della medesima impresa edile, il Zanon allestiva ogni anno il presepe nella seconda sacrestia della chiesa. Molto vicino quindi al parroco che diffuse cautamente la novità al Zanon, il quale la riportò ai propri compagni di lavoro dai quali scaturì l'idea per le firme a ricordo. Non vi furono d'altra parte dichiarazioni ufficiali da parte del parroco, se non verbalmente dal pulpito, essendosi già attivato per la costruzione del futuro "pro asilo". 
Non mancarono le numerose offerte pervenute dalla popolazione che verranno diffuse nominalmente, in una puntata dedicata alla scuola Materna. Del resto i nominativi di quanti aderirono al "pro erigendo campanile" sono già stati pubblicati. (Vedi infatti al capitolo n°3) 

L'interruzione venne confermata poco dopo, dalla presenza di alcuni parapetti in marmo rimasti inutilizzati appoggiati per anni sulle mura della chiesa. Questi infatti, avrebbero protetto i visitatori sul previsto ma incompiuto proseguo, consentendo di affacciarsi senza pericolo, sulle ultime cinque aperture. 
D'atra parte il parroco non avrebbe mai acquistato cinque parapetti in più, (dal costo piuttosto rilevante) qualora avesse conosciuto a tempo debito, la sospensione dell'opera causata dalla scuola materna. (3)  La Torre quindi subì una riduzione in altezza  di circa metri 10. Il rilevamento con possibilità di errore venne effettuato in opera, dal sottoscritto.    

(3) - L'interruzione non ebbe come unica soluzione la sospensione del campanile, bensì perché il parroco, dovendo aprire la scuola materna, realizzò anche ciò che mancava alla nascente parrocchia.  E' noto d'altra parte che i paesi contermini, già beneficiavano di un proprio "asilo". La ragione del rinvio, oltre alla scarsità di danaro che già sussisteva, veniva attribuito all'erezione della scuola materna.  


Figura n° 1 - Foto d'archivio. - Alfio Giovanni Bonesso.

Descrizione immagine
Nonostante la riduzione di circa metri dieci, il campanile rimane comunque un progetto irrepetibile qualora oggi si dovesse erigerlo alle stesse condizioni di ieri. Unico nel Veneto nella sua tipologia suscita ammirazione e l'unanime consenso dei paesi limitrofi, giustificabile dal sentimento comune e di quanti lo frequentano assiduamente tramite il corridoio a chiocciola.    
Non a caso la foto mostra la Torre conclusa coll'Arcangelo Michele sulla sommità, dove si notano appoggiati sulle mura della chiesa i parapetti inutilizzati acquistati dal parroco, con i quali doveva realizzare i metri restanti. La testimonianza fotografica oltre a quella verbale del Zanon Agostino, dimostrano la realtà dell'evento. E chissà se un giorno le famiglie degli oblatori pro erigendo campanile e l'attuale popolazione delusa dall'interruzione, dovessero decidere secondo il progetto dell'architetto Angelo Scattolin, di condure l'opera finalmente a termine. D'altra parte non sarebbe materialmente impossibile, considerato la profondità delle fondamenta e la buona volontà sempre dimostrata dagli altinati. 
Le fondamenta infatti, secondo testimonianza di quanti operarono per gli scavi relativi alla fossa, vennero realizzati ad una profondità di circa metri 6. Possono quindi reggere l'aggravio del peso, pari ad un aggiunta di metri 8/10. In ogni caso la fondamenta venne predisposta per sostenere il peso originario, con o senza l'aggravante dei metri sinora irrealizzati.  
(Vedi narrazione su capitolo n° 1)

     L'Unesco e il Parco Naturale del fiume Sile 
non esteso alla Torre
 
(Capoverso n° 4)

Un comunicato ufficiale piuttosto vago.

Nonostante la riduzione in altezza, - "il campanile è tra i più elevati del Veneto nella sua tipologia." 
Questo è quanto annunciava limitandosi allo stretto essenziale, il comunicato ritenuto a nostro avviso piuttosto vago. E vagando senza una meta precisa, venne anche meno ciò che il testo intendeva  inizialmente proporre. Cosicché, lasciando libero accesso al "Parco Regionale del fiume Sile"accantonò in ordine di elenco il campanile, vale a dire, il primo soggetto citato non meno importante del Parco, peraltro in completo dissesto.   D'altra parte si deve tenere conto, anche della funzione operativa, legalmente affidata al Parco Regionale, ragione per cui il testo completo verrà  proposto il lettura a fondo pagina. Nel frattempo, procediamo tentando di sbrogliare il procedimento terminologico assunto dallo scritto.  

In luogo del campanile venne eletto per meriti particolari, il "Parco regionale del Fiume Sile". Al quale gli fu anche attribuito un'apparente superiorità, come del resto si concede frequentemente ad un "Bene Pubblico". (Inteso dello Stato) C'è da chiedersi a questo punto, se il campanile è o non è un bene collettivo. E' noto d'altra parte, la ragione per la quale qualunque persona intendesse servirsene, nessuno escluso, potrebbe utilizzarlo e valersene a proprio vantaggio. 

Praticamente il testo pare concentrato su di un interesse del tutto particolare, dove il delegato dell'informativa, sembrerebbe eludere il degrado dell'area golenale che pure notava davanti a se. 
D'altra parte la vaghezza del testo non è determinata solamente dall'atto preferenziale, bensì perché esclude la statura e il grado di rilievo del campanile a chiunque osservi dall'alto il fondo golenale in evidente stato di alterazione. Tutto sommato l'annuncio tiene conto soltanto del proprio tornaconto e tacendo sulla realtà, favorisce  il Parco Regionale del fiume Sile senza avvertire il degrado dell'area circostante, visibile peraltro dalla cella campanaria. 

 Ed è pure visibile dalla cella campanaria

Osservando dunque lo stato calamitoso dal campanile,  si sarebbe potuto evidenziare ciò che dal piano di campagna non sarebbe stato possibile. Considerato ovviamente la lunghezza dell'area e la parte frontale frastagliata, il cui inizio principia  dal Castello di Musestre, veniva ad arrestarsi dopo quasi ottocento metri sotto i due ponti, l'uno pedonale l'altro ferroviario. 
Cosicchéla dimensione dell'area già alterata dal moto ondoso, non si sarebbe potuta quantificare, valutando ovviamente i limiti originari da quelli perduti, a quelli che vanno lentamente a ridursi. 
D'altra parte la superfice utilizzata per finalità portuali, sia in antico che poco prima del tempo odierno documentati peraltro fotograficamente, già d'allora mostrava segni di arretramento, documentati peraltro fotograficamente, 
Attualmente la zona appare di prossima scomparsa, causata da una prolungata assenza di difesa dalle acque correntizie. Del resto è anche preoccupante la smitizzazione generale che non tiene conto di un periodo storico accertato, al quale dovrebbe competere agli storici odierni. ma che astenendosi, esprimono il proprio disinteresse su ciò che dovrebbe competere solamente al Demanio e alle . sprovvedutezza, determinata dallo stato calamitoso dell'area. (PS) 

(PS) Sembrerebbe un atto provocatorio valutando ovviamente la sfornata di libri a carattere storico, di fogli stampati e testi, opere e formulazioni e quant'altro, non escluse le opere fotografiche sull'area portuale di Quarto d'Altino, eppure nessuno di questi ad oggi, si è mai azzardato pubblicare, quasi che avessero sofferto di cecità ambientale, tesi proprie.
 
Un osservatorio funzionale per qualunque evento

In ogni caso il campanile, aveva portato con sé sin da quando venne aperto al pubblico, un corredo di accessori vari e un attrezzatura con funzione di accesso sulla cella campanaria, dalla quale rilevare, com'era possibile prima dell'avvento del palazzo Planet, (Ora non più) lo stato negativo del Parco del Sile. In questa situazione deleteria, se non irrecuperabile sul piano pratico, andava ad aggiungersi anche il sistema fluviale visibilmente alterato dalle imbarcazioni a motore. E per quanto il campanile avesse posseduto le qualità tipiche di un osservatorio, funzionale peraltro per qualunque evento, non venne nemmeno considerato. Eppure l'intenzione del comunicato ufficiale, il cui autore è a noi sconosciuto, tendeva nella propria confusione, lodare la panoramica. E al troppo elogiare, non si sarebbe neppure accorto, della preoccupante condizione dell'area golenale, non conforme (si spera) ai regolamenti del Parco del Sile. 

Si capisce a questo punto che il comunicato ufficiale, astenendosi dalla realtà o comunque senza imprimere rivalità tra le due componenti, (Golena e paesaggistica) ai quali da ultimo fece le spese il campanile. 
Per quanto riguarda il resto, ovvero gli elementi negativi citati e documentati in base a dati fotografici, non se né parlò né uscì nemmeno un fotogramma. Neanche una voce sensibile, più di quanto aveva dichiarato il comunicato ufficiale dove il campanile, appare "tra i più elevati del Veneto nella sua tipologia". Dal quale ripetiamo, si sarebbe potuto individuare dall'alto, i danni causati dal moto ondoso sull'intera area golenale.        

In realtà all'epoca del relativo comunicato, prevalsero gradimenti intrecciati e diversi,  dai quali ebbe seguito l'eliminazione di un opera fondamentale, efficace per la sua posizione di controllo, quale appunto manifestava la statura del Campanile. Una figura quindi di altissimo rilievo con cui si sarebbe potuto già nel 1987, verificare ciò che da anni accadeva all'area golenale e dedicarsi contemporaneamente allo studio del fenomeno,  attuando magari un piano organico e operativo. 
In suo luogo venne eletto per l'evidente funzione di controllo sulle acque fluviali, il "Parco Regionale del fiume Sile". Non è noto se l'esame di controllo ad opera del Parco venne o meno effettuato. Ciò che purtroppo rimase evidente e che galoppava a ritmi costanti, proseguiva l'azione disgregatrice sul fondo in questione.  

Un comunicato ufficiale 
diffuso tramite ipotesi prevedibili. 
Il testo già di per se accreditato al campanile, esordì, secondo criteri e retoriche di chi vorrebbe concedergli un premio di consolazione, dichiarando con segni aspetti e qualità, di proporsi come in realtà dovrebbe apparire una cima turrita, "tra i più elevati nel Veneto nella sua tipologia". E poi via via assumere un carattere opposto alla premessa, e collocarsi in seguito, in una logica non corrispondente all'introduzione preliminare.
E infatti, la direttiva ufficiale recitava integralmente: "Il campanile è tra i più elevati del Veneto nella sua tipologia". E' meta di esplorazioni notturne e diurne (4) "nell'incantevole paesaggio naturale e storico inserito nel Parco Naturale Regionale del fiume Sile". "Il capoluogo è città archeologica, patrimonio culturale e naturalistico inserito nel sito Unesco Venezia e la sua laguna, istituito nel 1987". 

(4) Al comunicato ufficiale è stata aggiunta una breve annotazione ad opera del sottoscritto. La nota è distinguibile nella sintesi non virgolettata. Mi è parso dunque cosa giusta aggiungere ciò che, secondo nostro parere, mancava all'informativa. D'altro canto non si capisce cosa centri il campanile con l'Unesco e le varie citazioni elencate dopo. Sembrano quasi ostacolare l'apertura ufficiale, dove le qualifiche aggiunte (che non centrano nulla col campanile) ne hanno all'opposto eliminato il valore e le capacità visualizzanti.   

Questo dunque è il testo ufficiale, al quale avevamo dedicato inizialmente una breve parentesi. 
D'altra parte, è oramai costume generale accennare piuttosto che narrare, eludendo ciò che talvolta esprime quanto corrisponde, non escluso l'interesse popolare. Del resto il campanile che pure suscita sentimenti di unità e ammirazione, venne tenuto nella circostanza, a debita distanza "dall'incantevole Parco Naturale del Sile". 
Già a quell'epoca infatti, anno 1987, il Parco del Sile e le sue competenze di controllo, inclusa la zona portuale di Quarto d'Altino, sembrerebbe dalle proprie attestazioni, non avesse notato coi propri occhi, ciò che già sin d'allora veniva accertato da prove inconfutabili e visibili. 
In quell'occasione infatti, procedeva a tutto campo l'inarrestabile degrado sulla golena, e in condizioni pressoché impossibili da sostenere a lungo. Al mancato adempimento per la conservazione integrale dell'area, provocò tra la cittadinanza un senso di risentimento che non venne mai raccolto. Cosicché l'area interessata dalla popolazione, che sperava in un pubblico segnale con finalità di tutela, non venne mai sottoposta alle necessarie cure di gestione. Né mai emerse la condizione possibile, con la quale si sarebbe potuto bloccare il degrado in corso, tramite un adeguata valorizzazione dell'area. 
    
La lungimiranza del Parco, la convalida dell'Unesco e 
l'impedimento del palazzo Planet sulla golena

Considerato dunque il comunicato ufficiale sgombro da ogni possibile equivoco, avvertiamo pertanto il dovere di usare un commento approfondito, unito e illustrato peraltro da foto d'epoca, con le quali si sarebbe potuto documentare le zone drammaticamente disastrate. Nonostante la segnalazione a titolo cautelare e per quanto le foto fossero orientate a toccare con mano l'evento, non vennero mai considerate tali, né sottoposte a visione al vasto pubblico. 
C'è da chiedersi infatti, quale sia stato il motivo per cui la lungimiranza del Parco e la convalida dell'Unesco, non abbiano tenuto conto della presenza del campanile che in stretta connessione col "paesaggio naturale del Sile", domina lo spazio circostante dove le acque del fiume scorrono in comunione col panorama palesemente evidente dall'alto della Torre. Nella medesima circostanza, si sarebbe potuto notare la diminuzione, o se vogliamo la probabile estinzione della vasta area causata dal moto ondoso. In alternativa al campanile, si sarebbe potuto fotografare la medesima zona dal ponte pedonale di Quarto d'Altino. Ed è ciò che fece il sottoscritto in virtù dell'impedimento, provocato dal palazzo Planet sulla golena.   

L'amarezza degli altinati di fronte alle capacità 
progettuali della provincia trevigiana.

Ritornando al comunicato ufficiale ritenuto dal nostro punto di vista piuttosto vago, praticamente non all'altezza delle risorse che potrebbe impegnare, qualora si fosse soltanto accennato ad una ricostituzione del fondo golenale a partire dal citato 1987. 
In tal caso si sarebbe potuto ottenere se non altro, la disponibilità per un futuro migliore, più di quanto non è mai accaduto in circa 40 anni di manchevole propensione logistica. Come del resto lo è al presente.  
Ma le condizioni attuali non lo avrebbero neanche consentito, se si fosse soltanto accennato al degrado ambientale e paesaggistico, esteso per di più, sull'area golenale nella sua completa bellezza. In tal caso la cittadinanza si sarebbe profondamente dispiaciuta.  
All'imbarazzo generale, appesantito dal diffuso decadimento del livello culturale locale, valutando come è ovvio il processo evolutivo del trevigiano, di fronte al quale non avremmo certo ben figurato in passato e tanto meno al presente. E infatti, ciò che si nota lungo il Sile, presso le le sedi ammnistrative della Marca, non è un risultato di breve termine, bensì uno sviluppo costante, accomunato dalla volontà del fare, con risultati eccellenti ed organici ottenuti nel tempo. 
D'altra parte, gli scali portuali aperti lungo il fiume, eretti peraltro in periodi storici a noi sconosciuti, sono tuttora conservati e tenuti con grande cura professionale. Non lo è ovviamente il degrado generale al porto antico di Quarto d'Altino, unico peraltro in provincia di Venezia.  E questo davvero dovrebbe bastare 

L'inquietudine popolare

Eppure, se a tempo debito avessimo protetto l'area golenale, incluso il porto col campanile inteso come osservatorio fluviale, avremmo ben figurato senza provare l'attuale vergogna, rispetto ai cugini trevigiani. 
Piaccia o meno costoro sono di gran lunga prevalenti sui temi portuali lungo il corso del fiume Sile, come del resto lo fu la Serenissima di Venezia che allora presidiava la città di Treviso. In ogni caso, nessuna amministrazione locale ad oggi, cui tutto spira e origina, si è mai chiesta il perché della progressiva diminuzione della superfice golenale, e se mai è stata valutata. E tanto meno pare, la capacità enorme di accogliere al proprio interno  e convergere le derrate quali erano quelle di un tempo, peraltro d'indubbio valore storico, segnalando il tutto all'intero paese, unico peraltro a possedere ripetiamo, un porto in provincia di Venezia. 
Per contro,  nessun Ente locale pubblico ha mai manifestato ad oggi, la volontà di tenerselo stretto, tanto meno per scopi portuali, industriali, culturali, turistici e di soggiorno. Quanto a servirsene lasciano molto a desiderareNé, per quanto ci riguarda, sono intenzionati a discutere, pur nell'ambito della determinata attività portuale, per la quale tuttora non capirebbero se rivolgersi o meno. Mah. 

Il capovolgimento trevigiano sull'annoso corso veneziano

Fingere non riconoscere il ribaltamento delle origini veneziane a quelle recenti del trevigiano, significa perdita totale di memoria, di cultura e anche di quanto dovrebbe comprendere quel fenomeno sentimentale pervenuto e acquisito dalle origini di Venezia. E per quanti non l'intendano tale, è pur sempre un modello conforme alle esigenze locali, quelle stesse di quel Doge della Serenissima di Venezia, che dal cassero della nave incitava i suoi, a combattere le orde musulmane. Elemento questo, probante l'incrollabile combattività veneziana.
E a questo punto non mi sembra neanche complicato, capire le ragioni del trevigiano, che in fatto di scali portuali da quei tempi ad oggi, ne hanno fatto tesoro e colto molto di più di quello che pareva utilizzare  l'entroterra veneziano. Privo peraltro  di strutture turrite paragonabili al campanile di Quarto d'Altino, eppure la Marca prevale su qualunque campo visivo e su tutte le iniziative rispondenti al caso. Venezia quindi, ha ceduto le armi al trevigiano. 

Qualunque sia la motivazione, il campanile è in ogni caso un osservatorio appropriato per ricerche scientifiche, indagini storico fluviali e fotografiche. Se usato per tali discipline, potrebbe rivelare ciò che sinora l'occhio della politica, non ha mai individuato. Ma se questa continua a tenere i piedi incollati sull'asfalto, non sarà mai in grado osservare e registrare ad uso amministrativo, ciò che già dal lontano 1956 e forse anche prima, si notava dalla cella campanaria. 
Si tratterebbe dunque, di  una stazione di controllo dalla quale noi giovani, osservavamo già a quell'epoca, fotografando gli aspetti caratteristici della vasta area portuale, senza tuttavia meditare a ciò che fu l'uso antico,  stabilito e prodotto dalla golena e del suo insieme. 
cogliendo dettagli, differenze anche le minime, in particolare sui danni provocati dalle acque correntizie e più tardi dal moto ondoso, già d'allora prendevamo coscienza da ciò che avrebbe potuto verificarsi. D'allora nulla è mutato, tutto è rimasto come avevamo previsto nonostante le accorate segnalazioni, il cui fondo fa supporre come accennato sopra, derivi dai secolari depositi fluviali. 
D'altra parte è notorio che dalla sordità intenzionale non è possibile ricavare ciò che non si vorrebbe udire. Neanche qualora si dovesse prestare attenzione al parlottio continuo della comunità, la più responsabile del caso, la quale va dichiarando da anni, che il terreno perduto non è più recuperabile. L'affermazione energica e convinta dovrebbe se non altro, far meditare. Già, a partire da quando? 

A passeggio lungo la "maresana"  

(Capoverso n° 5)
      
Malgrado l'addebito negativo attribuito al comunicato cui sopra, trattava in ogni caso di un avviso piuttosto mirato e a fin di bene. 
Un bene, o se vogliamo un concetto morale che prendeva in esame una veduta fluviale prossima al tracollo, ma che nutriva nello stesso tempo, forti speranze per una soluzione. 
Di fronte alla quale, sarebbero emerse piaccia o meno, le cause e i danni praticati all'area minacciata da anni da una prevedibile e prossima scomparsa. Si tratterebbe di un dissesto difficilmente sanabile causato dal fiume sulla vastità dell'area, la cui memoria sul carattere formativo, oltreché fotografico, conduce ad un fondo dichiaratamente portuale. 
In ogni caso il comunicato unito all'azione ricognitiva,  avrebbe potuto concludersi con esito positivo qualora fosse stata controllata e documentata la  zona mezzo foto probanti. Ritenuta irraggiungibile l'dea sul piano pratico, in quanto in quell'occasione, il 1987,  mancava il fotografo e l'apparecchio fotografico.  Perciò non se ne fece nulla. 

E così anni dopo, passeggiando lungo l'argine ripensando all'evento del 1987, ritenendomi in quella circostanza giovanissimo ragazzo degli anni cinquanta del novecento, quando transitando lungo la "maresana" (5) m'imbattevo con una certa frequenza, su alcuni residuati bellici del precedente conflitto mondiale. E raccattandoli con estrema cura, pur senza l'esperienza di chi avrebbe saputo trattali, notavo chinandomi presso l'ordigno, l'acqua trasparente e potabile come anni dopo non la vidi mai più. Né in altro modo vagando lungo il fiume in compagnia dell'abituale gruppo, avremmo potuto dissetarsi se non sorseggiando l'acqua trasparente del Sile. Sembrerebbe un analisi per così dire non funzionale o magari proibitiva rispetto al periodo attuale. Epoca in cui si potrebbe passeggiare impugnando una bottiglietta di plastica ripiena d'acqua. Attualmente, la proprietà del liquido relativo al fiume, non è potabile e berla potrebbe causare gravissime intossicazioni.

(5) L'espressione dialettale "Maresana", significa margine del fiume. Dedotta in lingua, indica un corridoio o camminamento di circa due metri legato all'argine. Praticamente un area golenale ridotta, utilizzabile per la pesca, quanto per le passeggiate. 
 
L'area golenale nei ricordi  
degli anni cinquanta del novecento. 

Distanziata dalle abituali ricerche effettuate in compagnia di amici in ordine sparso, notavamo lungo il fiume un fondo piuttosto ampio legato all'argine chiamata pure "restera", e che a tutta prima, pareva una lunga appendice a forma di cono diretta al ponte pedonale orientato ad Est. In realtà l'area interessata o il prolungamento di riferimento soggetto al nostro calpestio, segnalava un fondo del quale allora non conoscevamo il termine, e che la zona stessa doveva in qualche modo indicare . 
E udendolo da chi praticava la pesca, ne acquisimmo istantaneamente il nominativo. Dovendo dunque trattarsi di una golena o di un "area golenale", non immaginavamo a quei tempi il servizio che ci avrebbe reso, qualora lo avessimo utilizzato per i nostri giochi.  
E con grande autonomia iniziammo poco dopo, a passeggiare e a correrci sopra, escluso il periodo della crescita delle piante erbacee, regolarmente falciate da chi nella vicinanza possedeva bestiame. 

E osservando la zona con particolare interesse, constatammo dal lato opposto (Ad ovest) il progressivo assottigliarsi dell'area golenale, pressoché di fronte l'odierna Torre di Musestre. E ci sembrava pure evidente nel contesto, che quella striscia di terreno chiamata golena, continuasse sino a S Michele Vecchio e oltre
Ma sostando prevalentemente sul grande spazio golenale, peraltro ben spianato e verdeggiante, constatammo viceversa ad Est, la tendenza a ridursi nella vicinanza dei due ponti e assumere gradatamente una forma simile ad un tronco di cono.  
Ebbene quel pezzo di golena chiamata pure appendice, che pure correva parallelamente al fiume, concludeva la sua corsa sotto i due ponti, l'uno ciclabile l'altro ferroviario. 
Eppure quel sentiero golenale, per quanto limitato pari ad una strettoia, era ritenuto piuttosto interessante da quanti praticavano la pesca e da chi come noi, eravamo dediti al passeggio. D'altra parte lo avevamo già sperimentato utilizzandolo a scopo di ricerche, avvistando reperti del recente conflitto mondiale. Insomma quel sentiero di misura inferiore all'ampia golena, pur sempre tale di nome, proseguiva secondo le nostre abituali scorrerie, sino alle Tre Pallade e probabilmente anche dopo. 
 
All'epoca, l'area golenale in discussione, mostrava tutta la sua ammirevole e amichevole estensione  i cui natali, secondo alcune ipotesi formulate dai residenti, limitati in realtà, avesse avuto luogo dal ritiro dei ghiacci iniziata durante un epoca a loro ignota. Sciolti definitamente, emerse più tardi l'area golenale usata sin da quando l'uomo primitivo, ideò la prima imbarcazione.  
Dopodiché, non avremmo mai immaginato ritornando ai nostri giorni,  che le acque correntizie avessero consunto gran parte di quell'area chiamata golena. Si trattava allora di una zona ben conservata e completamente asciutta da eventuali umidità provocate dal fiume. E neanche dalle tracimazioni delle acque, rare in realtà, e neppure dall'inclemenza delle piogge autunnali e dalle torbide invernali. In quel grande prato dunque, si festeggiava pressoché tutto l'anno, in particolare durante le lunghe e assolate primavere senza inumidire peraltro, quella specie di calzature di probabile fattura autarchica, portate ininterrottamente per mesi, esclusa la Domenica di festa.  E  pure resistevano a lungo, nonostante i calci portati ai rilievi di terra procurate dalle talpe, (Tupinere in dialetto locale) le quali, spareggiate e stancate dalle nostre incursioni, pensarono di andarsene, E infatti non le vedemmo mai più.

Il molo recente

Un fondo dunque pressoché omogeneo e ben armonizzato da una leggera curva quasi a ventaglio la quale amplia la veduta, sulla limitrofa città di Musestre. Località presso cui corre il fiume Sile, come del resto a Quarto d'Altino dal quale emerse come citato, la superficie golenale i cui natali ebbero luogo, (o dovrebbe) dalla regressione dei ghiacci. D'altra parte l'estensione del fondo, che pareva già d'allora più compatibile ad un porto di scalo, al quale tuttavia mancavano le strutture necessarie per essere considerato tale. 
In ogni caso, le barche e i burchi, transitavano abitualmente carichi di granaglie, ghiaia, mattoni e sabbia, ma non è noto il motivo per il quale durante l'attività, non ebbero mai a sostare al porto di Quarto d'Altino. Probabilmente all'epoca mancavano iniziative per l'edilizia locale, se si esclude il campanile le cui fondamenta ebbero luogo durante il conflitto mondiale. Non mancava comunque l'agricoltura, semmai, esercitava il potere sovrano sull'area dell'altinate. 
Eppure già a quei tempi, si notava presso il molo recente, un rientranza a guisa di semicerchio aperta a lato della golena, la quale secondo gli anziani stanziati allora presso il vecchio paese, avrebbe favorito l'ormeggio delle zattere e imbarcazioni d'ogni genere. Non e dato a sapere da quando. 
E' certo però, che quella rientranza ritenuta di vecchio uso, se non antico, oggi emerge pressoché sulla medesima postazione, l'opera portuale di recente uso. D'altra parte la rientranza originaria a quanto si nota attualmente, appare in graduale corruzione causata senza dubbio, dal manifesto moto ondoso.   

I rinvenimenti presso Sile ad opera del De Bon.

All'epoca della mia gioventù, non esisteva come entità fissa, l'attuale banchina d'ormeggio. Eretta di recente nella totale mancanza cognitiva e storica da parte di chi l'aveva aperto, reincarnava tuttavia, quel periodo storico della dominazione veneziana, e in tempi più antichi, quella romana assunta dalla Via Claudia Augusta col suo porto. (6)
In realtà, durante la mia giovinezza, i praticanti la pesca avevano già osservato con manifesta curiosità, l'innaturale rientranza presso l'area golenale di Quarto d'Altino. (E' riconoscibile tuttora)  La quale pareva avesse per scopo, l'alloggio di un molo o di un ponte, che secondo il De Bon, abile ricercatore della Via Claudia Augusta, aveva conservato l'ormeggio, o comunque uno scalo portuale o cose del genere.
La scoperta si deve al noto ricercatore che aveva rinvenuto nel 1936 "avanzi" di un ponte o simile, (S'ipotizza di legno) dove appunto oggi si colloca il suddetto molo recente. Si veda per l'appunto, sui paragrafi n° 22-23-24-25 i rinvenimenti sul Sile del De Bon.

(6) - Il primo pontile a Quarto d'Altino, venne infatti realizzato durante gli anni 80 del novecento. All'epoca, le forze politiche locali e quelle recenti, non conoscevano e tuttora non conoscono credo, l'antichità e l'operosità del loro porto. Per quanto ci riguarda dovrebbero avvicinarsi molto di più di quanto riescono esercitare, applicandosi nella lettura dei testi antichi. A parte il fatto che, sarebbe soltanto sufficiente avessero notato e attivato le precauzioni necessarie, sul degrado e l'abbandono dell'area golenale.
In ogni caso il pontile venne realizzato, emulando il vissuto di quel porto concesso a S. Michele del Quarto al Doge di Venezia Orseolo II. E se ciò corrisponde alla realtà, avrebbero pure azzeccato l'evento di circa 1127 anni fa, pur nella totale assenza cognitiva da parte di chi o di quanti l'avevano eretto. E se anche l'avessero saputo, a cui non crediamo,  l'avremmo conosciuto anche noi, tramite il medesimo vissuto peraltro di età natale (Circa) durante l'erezione del pontile, aperto non più di quarant'anni fa. 
Frequentatore abituale presso la zona portuale, consideravo la mia presenza  un privilegio, da chi diversamente abitava lontano dal centro abitato. Cosicché noi giovani piuttosto grandicelli, sguazzavamo nel teatro dell'acqua sollevando schizzi e spruzzi in tranquillità. E pure ci sentivamo felici,  malgrado le ramanzine moralizzanti tenute dai relativi genitori.
I beni affidati al comune di Quarto d'Altino

La Golena di proprietà del Demanio e i beni connessi, sono affidati al comune di Quarto d'Altino, il quale dovrebbe secondo regolamento, riferire le condizioni strutturali, di conservazione, aspetto e funzionalità rispetto alle caratteristiche originarie del fondo. Eppure, a quanto si deduce dai restauri mai adempiuti, parrebbe non avessero mai comunicato il problema, neanche a chi spettava, della diffusa riduzione dell'area golenale. (Pari a circa un campo relativo al gioco calcio calcolato in metri quadri)  Di fronte a tanta manchevolezza, venne così a pregiudicarsi l'immagine originaria del fondo col porto antico, e forse anche quella della politica locale.   
Continuamente tormentato dalle fiumane e dal ritorno dell'onda provocata dalle imbarcazioni a motore, aggredito ininterrottamente dal sistema correntizio del fiume, venne a mutarsi nel giro di pochi anni,  quell'area per la quale un tempo, trasportava diramando lungo il fiume, primizie d'ogni genere, rare, pregiate e in successione ordinata. (Ricordiamo ancora una volta, il Vicus agricolo aperto da Roma, presso S. Michele Vecchio dal quale tramite il suddetto porto, venivano caricate le derrate) 
Sotto tiro continuo, non produce e non possiede difesa alcuna, se non tramite le risorse consentite dalla politica ambientale, quella della regione e locale. Oggi quel fondo, è purtroppo ridotto ad uno stato pietoso, se paragonato all'odierno sistema di vita economico e sociale, causato senza ombra di dubbio, dall'insipienza dell'uomo. Tardando nelle operazioni di contenimento, ha purtroppo consentito un disastro ambientale senza precedenti. Una calamità che verrà narrata nei prossimi capoversi, nei quali sono state aggiunte come testi probanti, foto dell'epoca mostrate ai lettori e a chiunque ne abbia intenzione. Tutto compreso nel testo attuale.

Conclusa momentaneamente la parentesi portuale, riprendiamo da dove  eravamo rimasti. 

(Capoverso N°6)

Già da tempo la popolazione aveva riconosciuto al porto, golena e Torre, un "decoro" superiore a quelli aperti in provincia di Treviso. Fatto di per se ritenuto un gesto per così dire patriottico, e davvero venne interpretato tale, quando anni dopo, precisamente nel 1987, si decise tramite il comunicato ufficiale citato sopra, di aggiungere un secondo. In quell'occasione venne citato a memoria il campanile, periodo in cui fu proclamato "tra i più elevati del Veneto nella sua tipologia". (ecc. ecc.) Al commento piuttosto elevato per il grado di livello e forse inimitabile, nessun altro elemento in più gli fu attribuito. Per quanto riguarda il porto e la golena vennero come accennato sopra, esclusi dalla citazione ufficiale. Una ragione avrebbe dovuto e comunque esistere.  

Dunque, il campanile era già noto ai sostenitori del comunicato ufficiale, sicuramente gradito dal punto di vista celebrativo, ma non accettato completamente dalla cittadinanza che sperava almeno, in un sinonimo di aggregazione o di riferimento. Perciò, venne considerato meno di quanto meritava, per quanto beneficiato nel testo ufficiale. E coll'andare del tempo si verificò ciò che la popolazione aveva previsto. 
Poco dopo infatti, i promotori del testo, ignorando la presenza del campanile che pareva a quel punto non fosse più tenuto in considerazione, o comunque ritenuto lontano dalla zona geografica da dove scorreva il fiume, venne di fatto eliminato dal disegno paesaggistico dedicato "all'incantevole paesaggio naturale del fiume Sile". Cosicché la Torre, caduta inconsapevolmente in disgrazia, si trovò tutto d'un tratto emarginata dal "patrimonio culturale e naturalistico inserito nel sito Unesco". (Vedi il testo ufficiale presentato sopra)

D'altra parte la Torre aveva già calcolato tramite operazioni matematiche assunte dalla popolazione, la frequenza e graduatoria dei tanti ammiratori pervenuti da lontano, a quelli stanziati nel vicinato.  Così pure nei vari settori del paese e in misura maggiore tra le popolazioni del Veneto occidentale. E proprio questi, i più lontani per dire, quando diretti per le spiagge dell'Adriatico, incuriositi dalla singolarità del campanile, dalle finestre sincronizzate quanto dalla rotondità massiccia, affascinati inoltre dalle diffuse bianche unità marmoree poggiate su mattoni rosso scarlatto, decisero sostarvi e vi sostarono a lungo, visitandolo. 
 
Quanto ai rispettivi uffici, quelli che avevano accreditato al campanile una quotazione del tutto irrilevante, rimasero profondamente delusi quando veniva loro suggerito, collegarlo al circuito della golena e del porto formando un unica entità di rispetto. 
D'altra parte l'inserimento non sarebbe stato certo considerate le qualità diverse, dalle quali peraltro, non fosse emersa caso mai, una prospettiva unitaria. In senso globale ovviamente.

Ma se considerata l'immagine unitaria dal verso opposto, avrebbe anche potuto materializzarsi quel già pronosticato "patrimonio culturale e artistico" da inserire Golena Porto e campanile tutti compresi nel sito Unesco

Purtroppo a causa dei diversi valori e apprezzamenti non avrebbe soddisfatto la vista, ai promotori del comunicato che alla fine autorizzarono il comunicato.  Un testo ritenuto dalla cittadinanza incompiuto, qualora si consideri l'esclusione del campanile. 
Per farla in breve la Torre venne trattata pari ad un opera di disturbo, piuttosto per quello che all'epoca rappresentava e che rappresenta tuttora.    

E com'era evidente dal comunicato, si capì  anche l'atteggiamento passivo degli autori, i quali, si sarebbero liberati di quel peso valutativo al quale pareva non fossero nemmeno interessati. A seguito del negativo provvedimento, vennero anche sospesi i colloqui, con i quali  la Torre avrebbe per lo meno meritato, un ampia discussione. Uno scambio di vedute capace e aperto da valutarne le caratteristiche, i requisiti e le peculiarità emerse, e inserire qualora questi siano di valore e rilievo nel sito Unesco. Del resto, la prima e unica occasione in merito, si svolse positivamente quando si trattò di affidare all'Unesco il parco naturale del Sile alla città archeologica rappresentata da Quarto d'Altino. Della Torre ovviamente neppure si parlò. E tanto bastò ai colloquianti, che avevano già escluso il campanile dal "Patrimonio culturale del fiume Sile".



Figura n° 2 - Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Avviso culturale destinato a suscitare attenzioni su fattori d'interesse popolare riguardante il parco presso il fiume Sile. A lato della notifica emerge lo stemma della Regione per il Veneto. 


Le prime notizie  sulla confluenza  della Via Claudia Augusta presso la Golena al Porto di Quarto d'Altino

(Capoverso n° 7)

Non è poi da escludere il movente non conosciuto peraltro, e per il quale l'Unesco, non avrebbe mai ricevuto appropriate notizie sul contributo del campanile, che pure da anni offriva gratuitamente al paese. A tale mansione giustificata dalla natura silenziosa degli altinati, aumentava anche le virtù morali sostenute  a suo tempo, dagli esecutori dell'opera, ascritti in seguito, sui blocchi di marmo visibili a chiunque. 
Si rendeva infatti l'avvertibile necessità d'interpellare quell'automatica e spontanea formazione dell'epoca, che aveva attribuito  al campanile il titolo di "Torre" (5). Ma purtroppo quella grande famiglia, non esisteva più.  
Si trattava evidentemente di un grado valutativo e anche di prestigio basandosi su quanto avrebbero testificato durante la ventennale opera di lavoro, rappresentato peraltro, nel corso dell'ampia gettata in cemento visibile durante la funzione della "Prima pietra". (Durante gli scavi la fossa era rigorosamente recintata) 
Una qualifica dunque che avrebbe garantito un solido e tacito accordo, nonché di rispetto, col giovanissimo abitato e le generazioni venute immediatamente dopo. A seguito dell'enunciata e utilizzata espressione che aveva mutato il giudizio della popolazione, si accompagnava anche quella dei forestieri e dei fotografi dilettanti che dopo l'apertura, scalpitavano per ascendervi. 

Tra cui ci piace ricordare, le prime riprese fotografiche effettuate dalla cella campanaria. Punto dal quale  la zona portuale di Quarto e lo sfocio della Claudia Augusta sulla Golena, divennero scatti da collezione. Alla raccolta fotografica, non mancava il paesaggio circostante e il transito sul Sile dei numerosi navicelli da trasporto. Un ruolo per farla in breve, suggerito dall'elevatezza del campanile sin da quando venne aperto durante gli anni cinquanta del novecento. Si trattava dunque di una formidabile iniziativa e di una collezione di foto da mostra fotografica.

(5) In virtù della circonferenza per le fondamenta di base, venne così attribuito al campanile un titolo diverso da quelli eretti a forma quadrangolare. La fondamenta circolare infatti, non avendo niente a che fare con le basi dei campanili eretti nel circondario, peraltro di modeste proporzioni, venne così a prodursi per tale causa, il titolo Torre.  

L'interesse dei fotografi dilettanti si proietta sul porto e sull'area golenale di Quarto d'Altino 

(Capoverso n°8)

Va ricordato ai più giovani e a quanti non hanno mai conosciuto la zona interessata ai fotografi di pratica amatoriale, i quali coltivando l'arte promossa dal campanile come attività marginale, riprendevano con maggiore interesse la zona in cui ieri come oggi, si nota l'area portuale. 
All'epoca, il porto e la superficie golenale dove a lato transita il fiume Sile, si mostravano dal punto di vista fotografico più inquadrabili durante il periodo della mia gioventù, di quanto lo sono oggi. 
L'intera visualizzazione dipendeva dal fatto che, l'estensione da riprendere non era ancora occupata dalla presenza del Consorzio Comunale cui venne abbattuto in seguito. Al quale vi successe anni dopo, il palazzo eretto lungo il Sile dalla ditta Planet. 
E prima della suddetta opera architettoniche non esisteva neppure l'edificio di proprietà  D'Este, oggi, collocato presso la curva che porta al ponte tra Quarto e Musestre. E se non erro, non c'era neppure il panificio Romano eretto nei primi anni sessanta.  
Praticamente, non c'era nulla che avesse potuto limitare l'opera fotografica sulla vasta veduta. 

Si capisce a questo punto, con quanta facilità di scatto, si riusciva a riprendere lo spazio relativo al fiume e derivati. A semplificare l'attività,  ci veniva incontro anche il loggiato del campanile che per quanto fosse vincolato da una serie di colonne ingombranti, si riusciva comunque a trasferirsi da una balconata a l'altra e riprendere il fiume coll'obbiettivo grandangolare, e quanto in esso vi transitava. E malgrado l'iniziale esperienza fotografica come la difficoltà operativa fosse maggiore delle recenti fotocamere, si riusciva ugualmente ritrarre barche a vela, burchi a fondo piatto e imbarcazioni di un certo tonnellaggio trainati dai cavalli coi loro "cavallanti".

In seguito giunsero le attività remiere, quelle sportive, turistiche, la paesaggistica locale e montana. 
Stessa routine, si manifesta tuttora nel corso dell'annuale carnevale, durante il quale di sera, decine di carri mascherati transitando per le strade illuminate da luci pubbliche, si riusciva più facilmente fotografare il lento passaggio immortalato dagli amatori. 
Eppure tali e prevedibili pregi, ritenuti peraltro d'indubbio valore storico, non furono mai considerati alla stregua di utilità generale. Né vennero mai menzionati dalle relative amministrazioni, né vi furono richieste o inviti per mostre fotografiche, con le quali si sarebbe potuto valorizzare il paese coi suoi mutamenti. E tanto meno le immagini d'epoca, vennero mai comunicate all'Unesco, che per l'occasione del già noto comunicato paesaggistico, avrebbe potuto conoscere in alternativa al nulla, la creatività fotografica prodotta dal campanile.   
E nonostante l'uso fotografico fosse praticato assiduamente e le prestazioni dal campanile fossero gratuite a chiunque, nessuno mai spese parola gratificante dedicandola alla prestigiosa collocazione della Torre, eretta presso "l'incantevole paesaggio naturale e storico del fiume Sile". E con la quale manifestazione tipicamente poetica, disarmante secondo quanti non videro integrata la Torre al panorama a cui si è pure evitato menzionare come sarebbe di norma, la presenza della maestosa golena, col porto di scalo col campanile che langue.  

Tutto sommato, non è poco per una torre campanaria dalla cui frequentazione popolare sorse pure una relazione affettiva. Eppure le sue prestazioni, non vennero mai promosse né discusse e, com'era destinata la vicenda finì per oscurare l'opera e contare meno di nulla.  
Grazie infatti all'inefficienza imposta da quale necessità a noi ignota, contro cui peraltro non era neanche possibile appellarsi alle campagne pubblicitarie richieste dalla cittadinanza e che non vennero mai promosse. Neanche quando si fossero verificate circostanze importanti, più di quelle citate innanzi.   
A causa dunque delle tacite e molteplici esclusioni, contrarie peraltro agli ideali popolari e alle condizioni sociali e storiche del paese, non venne mai riconosciuta alla Torre l'energia divulgativa capace ad ispirare nell'animo dell'Unesco, l'attività culturale e artistica che possiede.

La norma fondante dell'epoca rifiutava reclamizzare ciò che apparteneva al paese. 

(Capoverso n° 9)

A questo punto, c'è da chiedersi perché mai il Parco del Sile, gli organi principali del paese, associazioni comprese e altre componenti più o meno statuarie, non si siano mai scomodati comunicando all'Unesco a titolo informativo, l'imponente opera ritenuta unica nella provincia. 
Ma l'abituale riservatezza degli organi locali, non avrebbe prevalso su ciò che rispondeva al privato, la visione di un sistema coalizzante, rispondente e necessaria per il conseguimento comune
E supponendo fossero anche contrari, avrebbero potuto comunque e con maggiore libertà, partecipare alle visitazioni senza condizionamenti. 
Praticamente, non ne sarebbero stati esclusi, malgrado il risaputo disinteresse e l'implicito silenzio. E' noto d'altra parte che il libero ingresso venne autorizzato a tutta la comunità, forestieri compresi, gitanti, turisti occasionali e curiosi. Insomma chi lo chiedeva aveva l'autorizzazione. Allo spiegamento turistico si allineavano segretamente (ma non tanto) anche i deputati comunali, qualche notabile fuori corso e forse anche un sindaco, quando liberi dagli obblighi, s'incamminavano privatamente sino a raggiungere il loggiato. Non è noto se utilizzassero a titolo personale anche la fotocamera. 

Il 70esimo anniversario dell'Arcangelo Michele 
posto sulla sommità del campanile

Considerate dunque le visite pressoché furtive degli illustri personaggi, ma palesi all'occhio della cittadinanza, non sarebbe stata un impresa troppo affaticante, se l'opera fosse stata estesa, oltre al trevigiano, anche presso ripartizioni territoriali diverse, una per esempio, la zona montana del Veneto. Non è esclusa come a noi pare ovvio, la prossima commemorazione da farsi durante l'anno 2026, per il 70esimo anniversario dell'Arcangelo Michele posto sulla sommità del campanile.  Lo scopo evidente della parrocchia non era certo quello di aumentare le visitazioni a scopo economico, bensì per gratificare quanti all'epoca operarono al raggiungimento dell'opera e per farla conoscere alle entità regionali più prossime.  Per quanto riguarda le relative comunicazioni, con finalità prettamente conoscitive, pur non spettando al principale organo del paese, non sarebbe tuttavia costato nulla, se non la buona volontà. 
Probabilmente mancava allora e forse manca tuttora, l'idea di utilizzare a fin di bene, ciò che sino a prova contraria appartiene all'intera collettività. Alla mancata diffusione, (verbale e cartacea) con con finalità prettamente informativa, avrebbe aumentato l'indubbia moralità di un paese, che con tanto sacrificio e spirito di adesione eresse la Torre. E avrebbe pure mosso con maggiore sollecito, con riferimento ai dibattiti in corso per l'apprendimento dell'opera, anche le comunità dei paesi circostanti non sempre all'ordine del giorno.  
Molto di più qualora dalle discussioni di norma privato, fossero emersi riferimenti da utilizzare per L'Unesco. 

E infatti, l'effetto delle conversazioni con i testimoni dell'epoca, avrebbe favorito l'Ente privato, (L'Unesco ovviamente) che avrebbe valutato la richiesta. E qualora la Torre dopo attente indagini e precisazioni, avesse ottenuto un certo favore,  avrebbe avuto luogo anche un dibattito, nella speranza di ottenere il titolo di Patrimonio dell'Umanità (Il riferimento è ovviamente diretto alla popolazione dell'epoca)  D'altra parte in seno all'Unesco, gravitavano numerose personalità giuridiche, istruite e colte, dai quali dopo le necessarie riflessioni e approfondimenti, avrebbero comunicato le loro intenzioni. Non è noto per quanto ci riguarda, se le richieste fossero state avanzate all'Ente sopra citato. L'idea popolare comunque c'era e abitualmente se ne parlava.

E per quel poco che a noi ci compete, umilissimi protagonisti e pure taciturni nella più alta confusione locale,  ma anche fonte di verità sulle condizioni del nostro patrimonio culturale, a fronte del quale mi sono posto come obbiettivo principale la realizzazione del campanile, necessaria e storicamente valida per capire a fondo le varie problematicità dell'epoca.  E concretando il testo sulle basi delle mie conoscenze, attingendo sulle documentali, contavo di aver raggiunto la possibile certezza di aver narrato qualcosa di utile e interessante. 

L'intera realizzazione dunque, venne narrata a titolo personale, non suggerita e tanto meno raccomandata. E questo a mio avviso ha davvero assunto un giudizio morale sul piano individuale, sia sulla popolazione distintasi per le oblazioni, che a quanti s'impegnarono manualmente dopo l'attività privata, aderendo in seguito all'erezione del campanile. A cui vi aggiunsi poco dopo, anche uno studio sul vissuto straordinariamente sopportato dalla popolazione. Il testo venne narrato in breve per insufficienza di spazio e purtroppo, ledendo le aspettative della cittadinanza.  (Vedi edizione su fascicolo parrocchiale del 2001) 


Ecco come si presentava la pagina esterna relativa al fascicolo settembre 2001 dedicato alla realizzazione del campanile. 
Il testo aveva per titolo "Una grande Storia in Breve" e consegnato gratuitamente a tutta la cittadinanza di Quarto d'Altino. Impossibile oggi recuperarlo.  Chi lo possiede, detiene un piccolo tesoro su cui sono riportate immagini fotografiche dell'epoca. 
La prima narrazione divenuta oramai storica curata dal sottoscritto, unica peraltro nella regione del Veneto e dell'alta Italia, apparve sul fascicolo parrocchiale del 2001. Venne narrata in breve considerando la ristrettezza causata dal numero delle pagine e delle ovvie pubblicità che avevano consentito la pubblicazione. Il realtà il testo  venne steso privatamente e più ampio tra il 1997 e il 98 e in seguito pubblicato. Rare le aggiunte. 
Nello stesso periodo venne anche narrata la situazione ambientale dedicata all'area golenale col porto in Quarto d'Altino dove la situazione ambientale era già nota da tempo. Più conosciute sono le ambiguità di alcuni storici che hanno sempre evitato per ragioni a noi sconosciute, la pubblicazione di ciò che in realtà esiste dall'anno 996 d.C. peraltro fornita di prove probanti. Oggi invece la narrazione del campanile, del porto con l'area golenale disastrata, è qui pubblicata con le relative foto. Il tutto è a disposizione di chi o quanti intendono ampliare le loro competenze.  
 

Dalla prima e unica narrazione pubblicata in ambito locale, per quanto sia più ragionevole precisare per la regione del Veneto, vennero esclusi purtroppo, tutti quei personaggi che hanno avuto libero accesso al campanile fotografando il fiume e d'intorni. Tranne poi accorgersi che quanto avevano ritratto, aveva acquisito col tempo, documenti storici d'importanza notevole, mai resi noti pubblicamente. Cosicché mi sono reso conto convincendo me stesso anni dopo, di avere scoperto e anche rinvenuta la difficoltà di un epoca, nella quale mi sono improvvisamente trovato di fronte ad un sostanziale dilettantismo istituzionale. Motivato a mio avviso, da una dolorosissima impreparazione storica, più che a fattori d'insensibilità. 
Un pressapochismo insomma, tutto in seno agli organi principali del paese. E su questo pare sia d'accordo anche l'attempata, ma non del tutto fuori uso comunità. L'inquadratura personale riguarda ovviamente il disinteresse avvertito sulle tante esperienze e prospettive sui luoghi in cui ho avuto i natali e frequentato e che narreremo in questo contesto.   Ed ora passiamo a tutt'altre realtà, più significative.  

Il porto di origine antica, abbandonato  
nell'indifferenza di chi gode prestigi politici 

(Capoverso n° (10)

Sembrerebbe dunque, dovesse trattarsi di una pratica culturale molto distratta, considerata l'insensibilità corrente con particolare riferimento all'andamento giovanile, il cui insegnamento dedicato alla cultura del paese, pare piuttosto scadente.  
E lo sarebbe molto di più qualora non avessi diffuso il vissuto dei protagonisti per l'erezione del campanile, ponendo in primo piano la gioventù, nella condizione di capire il servizio e l'impiego di energie della popolazione, e non solo.

E sulla base del programma trattato, emerse contemporaneamente il problema dello Scalo portuale in Quarto d'Altino (6) e il servizio che il Parco del Sile presta tuttora all'area golenale col suo porto.(7) Al quale Ente eletto, mi sono chiesto perché mai dopo tanti anni di stabile residenza a Treviso, città accreditata per la conservazione dell'ambiente, non avesse ancora avvertito che a pochi passi dal campanile emerge l'area golenale col suo porto, peraltro di origine antica, dove da tempo immemorabile appaiono entrambi palesemente abbandonati. Al fortuito destino, non escluso la misura professionale del campanile, ovviamente non crediamo, se non l'indecorosa immobilità dell'uomo, unico responsabile. 
 
E pure avvertendo il declino generale, visibile a chi intende vedere cogli occhi, e certo conforme ai principi del Parco garante dei servizi fluviali, impegnati a segnalare e provvedere alle operazioni manutentive dei degli argini e dei fondi portuali, provocato dal moto ondoso, eppure, non vi si trova ombra di responsabilità. E in questo caso che non è una bazzecola, ci troviamo di fronte ad un disastro ambientale di notevole proporzioni su cui regna il silenzio.
Né sinora, nessuno si è mai chiesto e tanto meno proposto all'Azienda Comunale di Quarto d'Altino, di risolvere la questione ponendo almeno a riparo, quello che è rimasto della golena originaria. 
Tutto sommato si sarebbe trattato di una doverosa ricostituzione golenale nella forma originaria. Il tutto a beneficio del paese e dell'area golenale col porto e quindi inserire come meritano, "nell' incantevole paesaggio naturale e storico del fiume Sile". Ma la solennità dei termini per così dire accomodanti  non sono bastati. Il porto e l'area golenale pretendono molto di più.
Qualora compiuto il provvedimento, anche il Parco del Sile potrebbe aumentare le proprie competenze, orientandosi professionalmente nel campo relativo al moto ondoso. E questa ci sembra una buona occasione per farlo, dimenticando ovviamente la rivalità tra le due provincie. (TV-VE) Un ostacolo a nostro avviso, addirittura inconcepibile

(6) l'Architecture Routiere et de Chemen de Fer italienne attribuisce al porto altinate il titolo di "Scalo in S. Michele del Quarto". Nell'immagine fotografica di primo novecento, si nota l'accatastamento di migliaia di tronchi tolti ad opera dei lavoranti, dalle imbarcazioni riconoscibili in zattere, navicelli e quant'altro. Anzitutto si nota l'ampia golena, (maggiore dell'attuale) dove il legname posizionato a catasta, si mischia con la natura pianeggiante del terreno compreso tra il fiume e l'argine.

(idem 6) Nel nostro caso si tratta di uno "Scalo fluviale". Luogo attrezzato secondo il vocabolario "Nuovo Devoto Oli", per l'approdo di navi collegate alle attività commerciali. 
Non sbagliava dunque, l'Architecture Routiere et de Chemen de Fer italienne quando citando "Scalo" merci il porto di Quarto d'Altino, ne potenziava anche le attività d'import ed export, conosciute peraltro dall'Imperatore Ottone III, già nell'anno 996 d.C.

Vedi sotto in nota 7, 
Il significato di un Habitat dichiarato protetto su cui 
 s'ipotizza un prossimo disastro ambientale... 
se già non lo è. 


  (7) Parco del Sile significa occuparsi assiduamente e diligentemente su di una zona dichiarata protetta. In particolare per la conservazione del suolo, dell'ambiente, del valore culturale, ecologico e naturalistico. Niente di tutto questo è stato realizzato sull'area golenale di Quarto d'Altino.  

(idem 7) In realtà, stando ai rilevamenti attuali a quelli di circa mezzo secolo fa, l'area golenale di Quarto d'Altino dichiarata sin d'allora protetta, appare viceversa da circa 50 anni e più, abbandonata e priva di qualunque ragionevole giustificazione. Ci si sarebbe aspettato almeno una motivazione mai pervenuta, e comunque non vaga, poco chiara o sfuggente, per capire le ragioni e le cause del mancato risanamento. 

(idem 7) La causa si deve anzitutto all'incuria dell'uomo e di quanti a parole si dichiararono a tutela e dedicarsi il giorno dopo ai fatti propri. Ebbene questi, non hanno mai avvertito  concepito il bisogno di risanare le piaghe derivate dal moto ondoso provocato in gran parte dai natanti. Da tempo oramai l'onda di ritorno produce sui crinali della golena col suo porto, delle fenditure enormi dalle quali il terreno circostante sprofonda puntualmente nel segreto del fiume. 

(idem 7) Dal mancato interessamento, si deduce il fatto che nessuno dei gruppi cosiddetti responsabili, intende tuttora riportare la zona allo stato originario. Un habitat dunque, al quale la dissestata golena di Quarto d'Altino non ha mai avuto nessun aiuto autorizzato, sia dalle strutture interessate quanto sulle responsabilità delle acque iniziato durante il millenario governo della Serenissima Repubblica e in seguito caduto nel dimenticatoio memoriale. E' noto infatti l'aspetto particolare e caratteristico di Venezia e della sua gente nel preservare l'ambiente. 
D'altra parte tali personalità detti anche responsabili, non si sono mai istruiti sui testi per la storia sul fiume Sile, dove da oltre cent'anni il dott. Pavanello (Valente storico affermato) ha riconosciuto al porto in S. Michele del Quarto, una funzione antichissima preesistente all'anno 996. 

(idem 7) E procedendo su alcuni particolari notoriamente diffusi ma ignoti a quanti non intendono conoscere la realtà, dai quali non ci si può certo aspettare proposte o possibili soluzioni utili per un risanamento di lungo termine. 
Si tratterebbe ovviamente driportare il porto e l'area golenale nelle pregevoli condizioni di un tempo. Le tracce, qualora s'intenda realizzare qualcosa di utile, sono tuttora rilevabiliPurtroppo quella zona di rispetto, presso cui oggi si stanzia la golena di Quarto d'Altino, situata peraltro accanto al centro cittadino, lascia davvero molto a desiderare. La popolazione avverte infatti il distacco della politica per l'ambiente locale, dovuta al risanamento del porto e di quanto non è mai stato realizzato durante gli ultimi 70 anni di vita in comune. 

La rivoluzione portuale in provincia di Treviso

(idem 7) Né, l'insieme dirigenziale si è mai reso conto sia pure per amnesia o per casualità pregressa, che dal 1948 ad oggi (Anno della venuta Repubblica democratica) ciò che ha realizzato la provincia di Treviso a suo vanto, sui tratti di fiume di loro competenza. 
Da quei litorali infatti, emergono porti ben strutturati, pavimentati e posti al riparo dal moto ondoso. Non è un caso dunque, se l'ingegnosa attività trevigiana praticata a casa propria, trovi origine oramai da tempo immemorabile. L'epoca della mobilitazione si sarebbe iniziata in  un periodo di sviluppo durante il quale le imbarcazioni di qualunque portata, possono tuttora accedere e sostare con sicurezza, sia per attività di carico e scarico, di manutenzione e dedicarsi anche al turismo su fiume. 

(idem 7) Tali forme di attività, non sono mai state attuate al porto di Quarto d'Altino dove è tuttora rilevabile a chiunque possiede occhi per vedere, le disparità portuali da quelle trevigiane. L'unico scalo giacente e spoglio situato in provincia di Venezia farebbe senza alcun dubbio, una magra figura rispetto a quelli della Marca. Non è noto d'altra parte, se i vertici del comune di Quarto d'Altino in particolare quelli di lungo corso, se si sono mai interessati chiedendo provvedimenti sostanziali affinché la Regione del Veneto si renda conto del carattere involutivo registrato nell'unico porto in provincia di Venezia.  
E dal risultato, sembrerebbe non avessero mai evidenziato le richieste utili al porto, e nel silenzio fragrante, non sono mai apparsi da quel che si nota dalle opere manutentive, riscontri compatibili al caso. 
Cosicché ci troveremmo fra qualche anno privi di un'area portuale laddove in un epoca non propriamente remota, sostavano navicelli da sbarco attraccati al molo.
Si profila pertanto un disastro ambientale oltre che storico, che rivela vergogna e sdegno su di un comportamento mai annunciato, a probità  del proprio ambiente.



Figura n° 2. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia.

Descrizione immagine.
Secondo il Pavanello, il porto S. Michele del Quarto era uno dei grandi sbocchi del movimento commerciale di Venezia. Ora, come si nota nella foto, appare ridotto in una condizione assai precaria privo di qualunque controllo istituzionale. La golena, durante i primi anni 50 del novecento, periodo della mia giovinezza, giungeva sino al palo piantumato e oltre, la cui utilità valeva a reggere qualunque imbarcazione, come l'odierna chiatta visibile nella foto. L'arretramento del crinale è dunque visibile a chiunque.   
Di pari passo la sponda del Sile scendeva in decremento sino a sfiorare il pelo dell'acqua. Un bagnasciuga per farla in breve, dove le donne dell'epoca piegate in ginocchio sul "Lampor", strofinavano i panni per le loro famiglie. E noi ragazzi sostandovi accanto, c'impregnavamo le piante dei piedi con l'acqua corrente del fiume e, ben lontani, dall'incombente precipizio sul quale oggi emergono pericolose sporgenze appuntite di roccia.
Oggi la sponda si è fatta verticalmente insidiosa causata del moto di ritorno dell'onda. E' particolarmente malsicura per bambini e giovani impegnati ad osservare i mezzi a motore e i volatili sull'acqua.
Inoltre il porto è costantemente minacciata dalle acque del fiume, le cui risacche, colmate e piene, hanno ridotto in neanche mezzo secolo, l'area golenale di circa metri 4. Rilevabile dal punto suddetto
La prova probante della riduzione del suolo è determinata dal palo piantumato sulla golena travolta dall'acqua invadente. (E' visibile sopra, nella foto allegata n°2) 
Ebbene quel palo non starebbe in piedi altrimenti, qualora fosse stato conficcato al margine golenale. Punto estremo nel quale, non avrebbe trovato sostegno a lato del fiume, dove appunto non è retto dall'appoggio esterno. (Cioè dal pieno di terra golenale sommerso) E tanto più che l'ondeggio provocato dai natanti e il peso della chiatta oscillante lo avrebbe capovolto al centro del fiume. Ciò significa che il palo è interamente piantumato sull'esistente piano golenale, e la foto n° 2 ne è testimone. C'è da chiedersi a questo punto, quanto durerà la golena sepolta dall'acqua, prima che precipiti nel vorticoso profondo del fiume. 



Figura n° 3. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia

Descrizione immagine.
Zona golenale relativa al porto antico S. Michele del Quarto, oggi Quarto d'Altino. La foto mostra l'evidente riduzione di suolo relativo  alla golena e dell'intera zona pianeggiante compresa tra il fiume e l'argine del Sile. 
Il danno di circa 4 metri è causato dal moto ondoso provocato dai natanti a cui vanno aggiunte responsabilità di origine strettamente politica. Si nota inoltre sul fondo sinistrato dalle risacche, una sorta indecorosa desumibile a materiale di rifiuto, dove in primo piano emerge una colata di cemento. (Roba da non credere)

Dopo la caduta della Serenissima repubblica, cadde anche la memoria del Porto altinate.

(Capoverso n° 11)

(Il proseguo del capoverso n°10 inizia da qui)

E se in seguito gli altinati, dovessero usare un contradditorio coerente e meditato, non dovrebbe in ogni caso aumentare l'ipotizzata rivalità tra le due provincie, (TV-VE vedi capoverso N° 8) e neanche avversare la rappresentatività del Parco del Sile, che a giudicare lo stato d'insolvenza sull'area portuale di Quarto d'Altino dovesse caso mai scuotersi dalla temporalità del torpore, pur coi propri talenti organizzativi, riportando il fondo golenale in provincia di Venezia allo stato originario. Purché che non sia un rattoppo. 
  
Vigilante e custode dei servizi fluviali, garante dell'ambiente e dei fattori che determinano l'impoverimento dell'area golenale di Quarto d'Altino, non esclusa la zona portuale continuamente alla mercé delle acque e dagli effetti negativi prodotti dall'incalzare dei tempi, dovrebbe il Parco col titolo "del Sile", farsi carico delle incongruenze e dei  disordini generali. Ma finché mancherà la volontà, continueranno gli effetti negativi dell'onda di ritorno e ferire il prestigio dei veneti altinati. 

Il Parco inoltre, dovrebbe conoscere obbligatoriamente, il testo (già citato) in cui appare la dichiarazione del celebre studioso Giuseppe Pavanello. E caso mai non ne avesse avuto neanche sentore, glielo proporremmo qui, nel testo che segue. E non sarebbe neanche malfatto in rapporto alla norma, se il Parco avesse  osservare e meditato, quanto è stato documentato fotograficamente dal sottoscritto e reso pubblico sull'area interessataStanziato nel trevigiano, non molto lontano quindi da Quarto d'Altino, dotato pure di mezzi utili per il transito lungo il Sile, e ci si augura anche di buona vista, per valutare ciò che non è funzionale sul luogo interessato. E infine dichiarare pubblicamente  che le acque prodotte dal moto ondoso, sono la rovina dell'area golenale di Quarto d'Altino. L'impegnativa dichiarazione, potrebbe finalmente risvegliare l'interesse rappresentato in primo luogo dall'esercizio pubblico, e non di meno dalla Regione per il Veneto. I quali a ragion di logica, dovrebbero attivarsi per una seria e profonda sistemazione del fondo in questione.  

D'altra parte un disordine del genere non sarebbe mai accaduto durante l'epoca della Roma antica, dove il porto di Quarto d'Altino di origine antichissima, cui peraltro transitava la Claudia Augusta, e per quanto allora come del resto oggi, l'area fosse sottoposta alle alluvioni del Sile, ebbene Roma, avrebbe comunque secondo costume e tradizione, protetto e risollevato le sorti dell'intera area.  
Né i romani stanziati coi loro lavoranti al "Vicus" dell'odierno S. Michele Vecchio, si sarebbero mai allontanati dalla zona, avendo loro stessi fondato sin dalla prima venuta, i primi elementi di base per una attività agricola e viticola. Il preposto competente in materia alle attività produttive e finanziarie in loco, veniva chiamato "Vilicus". (Il sostituto del padrone)

Caduta Roma e le sue leggi, seguì poco dopo  la Serenissima Repubblica di Venezia, che godendo del porto in S. Michele del Quarto affidato in concessione dall'Ottone Imperatore, realizzò uno scalo moderno tipico della civiltà e della cultura veneziana. 
Dagli interventi veneziani, venne anche a formarsi un attività portuale di larga portata, dalla quale prenderà avvio un punto attrezzato per l'approdo e l'imbarco di qualunque derrata. Una area dunque adatta per le qualità dello scopo previsto.

I requisiti dunque, proporzionati all'attività fluviale, si mostravano già a quei tempi, progrediti, maturi e di profitto secondo un piano economico previsto istituito nell'agricoltura e nel trasporto, ritenuti essenziali per la sopravvivenza di Venezia. All'utile, si univa anche la rapidità delle acque al mare, puntando come è ovvio supporre, scendere a valle senza la  pratica dei remi. (L'acqua correntizia del fiume non prevedeva tale pratica) 
Su tali iniziative si resero responsabili entrambi i colonizzatori, in particolare quelli venuti da Roma, i quali aprendo il Vico agricolo a S. Michele Vecchio, (8) (Quartum all'epoca) le derrate prodotte  venivano trasferite al porto, su ordine del citato e competente "Vilicus", e distribuite lungo gli approdi romani dell'Adriatico.  

(8) S. Michele Vecchio dista tuttora 600 metri circa dal porto odierno. Il trasporto delle derrate quindi, avveniva piuttosto celermente. Oggi l'antica località è frazione del nuovo Quarto d'Altino)

Ripeto per quanti non conoscono il territorio del vecchio S. Michele del Quarto dove il piazzale più remoto, unico peraltro, è attualmente distanziato dal recente capoluogo di due Km circa
E a partire dal 1905, data della consacrazione e apertura della nuova chiesa parrocchiale, non escluso l'integrazione del vecchio titolo al recente paese, su cui orbitava il porto e la golena comunque da sorvegliare. Ebbene nessuno dei direttivi comunali dell'epoca, si è mai rivolto alla Regione, o chi per essa, per avere un ritorno di risorse economiche, opportune per la rinascita di un fondo abbandonato. Il quale aveva già iniziato sul piano dell'integrità al deterioramento, non ufficialmente segnalato, seppure visibile e paradossalmente discusso dalla cittadinanza.  

Quarto d'Altino: una modestissima espressione geografica.

D'altra parte, non ci si poteva certo aspettare tali potenzialità, all'indomani di un desiderio mai manifestato. E caso mai si dovessero un giorno richiedere, verrebbe dimostrato finalmente la volontà di ottenere quanto non è stato mai reclamato in anni di silenzio. 
Ma la debolezza e la povertà generale delle proprie richieste, non avrebbero in ogni caso raggiunto nulla di concreto poiché Quarto d'Altino rappresentava e rappresenta tuttora, una modestissima espressione geografica limitrofa al trevigiano. 

E se dal 1948 ad oggi gli esperti comunali qualora si fossero davvero interessati al problema irrisolto, (Tanto quanto i comuni del trevigiano) sarebbe finalmente terminato quel disagio paesaggistico di estrema povertà civile e ambientale, su cui l'intera cittadinanza dovrà sopportare sgradevolmente un disgusto generale. Piaccia o meno, questa è la dura realtà. 

E tutto sommato dovremmo anche domandarci, se la Regione del Veneto, avesse mai ricevuto richieste adeguate a risolvere il problema relativo all'area portuale di Quarto d'Altino. Ma da quanto si deduce dall'attività latente, nessuna richiesta e mai stata formulata. 
In conclusione mi è tornato alla mente quel vecchio proverbio che ripete universalmente: "Chi e causa del suo mal, pianga se stesso". 
E per quanto la popolazione versi continuamente lacrime, causate dalla mancata riconversione di un'area a vocazione turistico-industriale, non saranno certo quelle a colmare la rinuncia di una battaglia politica, perduta prima ancora di averla iniziata.  
  


Figura n° 4. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Scatto fotografico eseguito dal ponte automobilistico compiuto tre anni prima della prossima foto n° 5. Non si nota nessuna palificata a sostegno dell'area golenale oramai fuori controllo e comunque, in avanzato stato di scollamento dalla fascia costiera originaria. 
La porzione del fondo tinto bruciato la cui estensione non è meno di un campo di calcio, si è fatto come si nota nella foto, una area fangosa e impraticabile per l'uomo. 
La restante tinta verde, pur legata all'argine ma priva di qualunque barriera frenante, appare penetrata dalle acque invadenti. Anche questo inciso, mette in evidenza la propensione a non occuparsi per tempo sulla parte meno sinistrata. 
Il risultato è sotto gli occhi della sconcertata popolazione che si chiede come mai sia potuto accadere una leggerezza di tale entità. Facilitata peraltro da un processo di desertificazione su di una zona portuale dichiarata protetta, ora  paludosa e irrecuperabile. 
Non a caso, l'area percossa dall'erosione del fiume, si è trasformata come si nota sopra, in un ambiente fangoso, colmo di materiale alluvionale formato dai depositi fluviali su cui inaridisce persino l'erba. 
Nella prossima foto di tre anni dopo, si nota quel che è rimasto del fondo travolto e irrecuperabile dalla corrente del fiume. Eppure con una modica spesa, si sarebbe potuto provvedere mediante palificate o cassoni di pietre, i quali oltre al caso specifico, sono utili al rialzo delle sponde a difesa dell'area. (P.S)

(P.S) I cassoni di pietre a forma rettangolare sono dotati di strutture pesanti e uniformi, non sono rimuovibili dalle mani dell'uomo se non meccanicamente. Né sono soggetti a spostamenti provocati dal ritorno dell'onda, dalle acque correntizie, alluvioni e da ingrossamenti del fiume. Perciò non hanno nulla a che fare con le rocce buttate a spaglio senza carattere d'uniformità quanto di tenuta. Ed essendo libere da qualunque legame resistente, se non appoggiate a se stesse, vengono travolte dalle correnti d'acqua, dalle colmate alluvionali e quindi scagliate sul fondo dei fiumi.  

                     L'arrivo del Bonaparte

(Capoverso n° 12)

Palesemente  antica l'area golenale di Quarto d'Altino col suo porto, e davvero lo sono più di quanto ipotizzava il Pavanello, consentendo al noto studioso di restituire ad entrambi oltre i limiti della prudenza, la caratteristica i diritti e pregi che avevano perduto. In realtà,  qualora dovessimo ritornare sull'attività fluviale di Roma e delle opere realizzate, dalle quali sortì l'attraversamento sul Sile della via Claudia Augusta e la concretizzazione dell'esercizio agricolo chiamato "Vicus" fondato al "Quartum", (L'odierno S. Michele Vecchio) dovremmo senza dubbio alcuno, renderci conto della concretezza basata sui fatti. Ovviamente ci scusiamo per la ripetizione, spesso riportata ogni qualvolta si accenna a fatti dimenticati dai tanti depositari della storia. 

Caduta Roma, poco dopo entrarono nei possedimenti della nascente Repubblica di Venezia (Anno 996-Doge Orseolo) la quale, operando gradualmente su di una flotta mercantile già ben avviata, dirigendosi inizialmente sui fiumi del Veneto, dell'alto Friuli e dell'Istria e sull'area Adriatica, sino al tracollo sofferto e mal tollerato ad opera  del Bonaparte
Com'è noto Venezia cadde nel 1797 e da quell'anno, capitolò anche il porto situato nel recente Quarto d'Altino. D'altra parte, la popolazione del vecchio S. Michele del Quarto considerata allora pressoché illetterata, e per quanto poco o nulla sapesse di Roma e della Claudia chiamata allora "Lagozzo", non possedendo per altro alcun straccio di carta utile per documentare quando percepivano i loro occhi, eppure trasmettevano ugualmente le proprie memorie alla prole. (9) 

(9) La popolazione illetterata dell'epoca non aveva nessuna possibilità  occasione di scrivere documentando anche casualmente quello che vedeva e toccava con mano giornalmente. Tranne poi narrarlo ai propri eredi. L'eredità memoriale in una località come S. Michele Quarto dove allora risiedeva un numero limitato di famiglie, avveniva più facilmente rispetto ai paesi di maggiore dimensione consentendo ai familiari la distribuzione memoriale da padre in figlio ai nipoti. 

Ma le memorie si sa, non sono legalmente riconosciute dalla storia, particolarmente quelle di lungo termine, eppure qualcosa di verosimile è filtrato dalle memorie , sfidando la caligine dei tempi. 
Mantenuti nello scrigno dei ricordi dalla popolazione locali e contermini,  emerse, secondo ricerche attuate durante gli anni 50 del novecento, la ragione per la quale il porto di Quarto d'Altino, smarrì la memoria durante l'anno famigerato 1797. Ma durante l'albeggiare del secolo 1800, era ben difficile dimenticare la realtà veneziana dei secoli precedenti.
 
In seguito, i ricordi tanto cari andarono lentamente a lenirsi ma non a perdersi del tutto.  E se tanto era ancora rimasto nelle memorie della popolazione, si deve alla gente comune che non aveva ancora dimenticato la chiusura del porto, legati com'erano all'attività del traffico veneziano.  La causa dello scoramento del porto si deve alla mancata serietà, esercitata principalmente dalla strafottente indifferenza dei nuovi pretendenti stranieri, quali erano allora l'Austria e la Francia.  
Ragione per cui il porto e la sua golena, non vennero più trattati alla stregua di uno scalo merci, né considerato tale sino ai giorni attuali. Cosicché da quell'anno 1797, il porto, non venne più menzionato secondo metodica antica, ciò anche dovuto al menefreghismo degli occupanti che nulla avevano esternato sulle glorie del passato veneziano. E qui sorge un sospetto, qualora non fosse stato premeditato dal Bonaparte. 

Ritornando al generale dei francesi, ideatore ed esecutore delle Municipalità veneziane che il medesimo esercizio venne pure assegnato alla città di Venezia. La quale, in fatto di registrazioni documentali, non ebbe com'è noto dalle relazioni con S. Michele del Quarto, privo peraltro di un distretto comunale, alcuna possibilità catastale, su cui inventariare fatti e vicende dell'epoca in corso, né di quella scorsa. 
E infatti Venezia, giacendo in una condizione di subalternità francese, non avrebbe potuto riferire l'attività portuale di proprietà della caduta Serenissima Repubblica
Né si suppone che la Municipalità assegnata alla città Mestre, con funzione d'aiuto delle Portegrandi sul Sile, avessero avuto dopo il crollo della Serenissima, contatti ufficiali con S. Michele del Quarto. S'intende contatti utili per accertare il già citato scalo merci. Sottoposti entrambi alla subalternità francese, dovevano pertanto occuparsi dei disegni politici programmati dall'occupante. Per quanto riguarda il piccolo Borgo delle Portegrandi, subordinato gerarchicamente alla città di Mestre, non avrebbe avuto a nostro parere, possibilità alcuna nel confermare agli effetti legali, la presenza del porto guarnito di quanto serviva prima del crollo veneziano. Né durante tale contesto sono emersi atti documentali a provare relazioni ufficiali con la zona portuale di Quarto d'Altino. (Continua al capoverso n° 12) 


Figura n° 5. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia. Scatto fotografico eseguito dal ponte automobilistico. 

Descrizione immagine.
Vedi dettaglio sulla golena sommersa e distrutta dalle acque del fiume, fotografata tre anni dopo la precedente n° 4. Ciò che ieri è andato  perduto, oggi non è più recuperabile se non con mezzi costosi, speciali e moderni. Un calcolo approssimativo sull'area golenale scomparsa, misurava come estensione d'impiego, pressoché ad un campo di calcio. E non sarebbe di poco conto, qualora la cittadinanza avesse potuto servirsene mediante passeggi socialmente utili. 
Alla deplorevole scomparsa, pare non abbia destato alcun stupore a quanti dovevano rispondere del proprio operato. E infatti, sono tuttora all'oscuro della ragione per la quale, sulla zona scomparsa, gravitavano all'epoca della Serenissima Repubblica, navicelli di medie proporzioni e ogni specie d'imbarcazione utile al trasporto, del carico e scarico.   

Peraltro, non risulta come si nota nella foto, alcuna forma di protezione su di un'area di fatto perduta per la quale durante gli anni 50 del novecento, misurava in larghezza (In direzione centrale del fiume) metri 10 e più dell'attuale posizione. Per quanto riguarda l'estensione della golena orientata verso Est, (Levante) misurava circa metri duecento sino a superare i due ponti, l'uno pedonabile l'altro ferroviario. E le foto qui pubblicate dichiarano l'autenticità della versione fedele ai fatti, come la scomparsa della striscia golenale estesa sotto i viadotti.  

La prova concreta di quanto oggi è rimasto, si nota dalla pericolosità del fondo fangoso, pari alle sabbie mobili dei depositi alluvionali. Non lo era circa 50 anni fa, quando i ragazzi dell'epoca, io stesso compreso, dopo il ritiro delle acque, ponevamo i piedi su di un fondo asciutto tirando la lenza a pescare. L'area golenale di proprietà demaniale è gestita per quanti non ne sono al corrente, da chi dovrebbe gestire la politica locale. Ragione per cui l'inefficienza registrata nelle foto n° 4 e 5, è fin troppo evidente.  

Da un secondo scatto fotografico relativo agli anni venti circa, proiettato sul medesimo punto delle figure n° 4 e 5 , si nota la medesima invasione delle acque i cui margini della golena appaiono più estesi di quanto si nota nella figura n° 4. Sono visibili dal fondo scuro proiettato a pelo dell'acqua, più chiara del fondo stesso. 
L'erosione dunque, danneggiava il versante del porto già dall'epoca del "ventennio" e chissà quanto prima. La foto è peraltro arricchita da una Stradella o sentiero in discesa al porto (L'attuale?) su cui si nota la linea retta più chiara del fondo erboso. S'intravede anche un lembo di strada comunale diretta al Ponte pedonale. La foto privata non è utilizzabile su internet, è comunque visualizzabile a richiesta. 





Figura n° 6. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia

Descrizione immagine.
Foto scattata dall'argine del fiume in cui si nota il continuo sgretolamento a danno della Golena. Poco più in là, verso il centro del fiume, appare distintamente sotto le acque, il proseguo della golena inondata. E' visibile quando le acque sono trasparenti. Misura in lunghezza circa metri 1,30/50. Inoltre, il deterioramento sul nudo terreno provocato dalla risacca, misura altrettanti metri perduti. Dunque tre metri in totale, calcolabili ovviamente dal punto più alto indicato dalla foto. 
Il porto, come già accennato, venne concesso dall'Imperatore Ottone III al grande doge di Venezia Orseolo II. E tale rimase di proprietà veneziana sino alla caduta della Serenissima Repubblica. Da quell'anno in poi, le memorie storiche sul porto, vennero lentamente a smarrirsi sino a sconfinare nel nulla. E non a caso ledendo irreparabilmente, anche le memorie delle popolazioni precedenti, gli interessi della comunità e dell'odierno Quarto d'Altino. 


La nascita delle Municipalità veneziane vede una folta schiera di proprietari fondiari italiani, di stampo filofrancese e austriacante. 

(Capoverso n° 13) 

Dopo la caduta della Serenissima Repubblica venne dunque istituito dal Bonaparte, (come citato al paragrafo n°10) la Municipalità di Venezia con attività amministrative e giudiziarie sul territorio Veneto. In seguito la regione venne divisa in provincie, distribuite in cantoni amministrati da molteplici Municipalità. A quella di Mestre vennero riservate due località, S. Michele del Quarto e Trepalade. 

La funzione ebbe luogo  nel 1807. A partire da tale data, il vecchio S. Michele del Quarto privo di qualunque personale a carattere impiegatizio o di esperti sulle attività del proprio Comune (che neppure esisteva) (10) non avrebbe potuto rappresentare e tanto meno enumerare, gli esercizi produttivi realizzati in loco dalla Serenissima Repubblica. E neanche con l'intervento delle suddette  Municipalità. 
Nell'ambito infatti, venivano eletti in maggioranza i rappresentanti fondiari del territorio, i quali com'è noto miravano ai propri interessi, molto meno ai residenti amministrati da loro stessi. Ansiosi di mettersi in luce, manifestavano il proprio gradimento all'occupante piuttosto che ai dipendenti italiani. Fiduciosi di ottenere dallo Stato Maggiore straniero, un titolo aulico, nobiliare, accademico o favori di altro genere, adulavano senza esitazione ma con compassionevole esistenza, gli aggressori del proprio paese. Le medesime manifestazioni adulatorie accadevano anche durante il primo e secondo dominio austriaco. Da ricordare quel "De" iniziale che fa capo al cognome assegnato alla nobiltà italiana.    

(10) L'unico sindaco rilevato in comune S. Michele del Quarto, risale al 1315. Tale sindaco meglio noto come Meriga si chiamava, Dulardo del fu Pietro. Dopo di lui, pare non vi sia successo nessun altro, se non a partire dal secolo novecento.

Le soppressioni al simbolo di S. Marco e le osservazioni del Bonaparte sui veneti

(Capoverso n° 14)

Le suddette Municipalità elette da una commissione francese ma composte da proprietari fondiari italiani, soggetti quindi alla volontà degli occupanti, non avrebbero potuto, neanche se lo avessero preteso, certificare le attività della sciolta Repubblica di Venezia, su cui il Bonaparte non aveva nessuna vocazione di rispetto ne indice di gradimento. 
Più volte infatti il Generale, ripeteva con riferimento a Venezia, che "non c'è governo più traditore e più vile di questo".  E dopo la caduta della Serenissima per sua volontà,  ribadì  che l'ammasso veneziano "è un popolo inetto e vile e che non è fatto per la libertà". E il due novembre 1797 scrivendo al diplomatico Villetard, gli ricordò che "la nazione veneta non esiste".  
Non c'è alcun dubbio a questo punto, che il Bonaparte nutriva un forte pregiudizio culturale su Venezia e i veneziani. E a proposito di viltà e inettitudini, non si è mai compresa per bene, la viltà dell'aggressione francese sulla Repubblica di Venezia. Quando loro stessi avevano attentato alla costituzione di uno Stato Sovrano e ad un  territorio dichiarato neutrale e autonomo. L'atto violento sconvolse il complesso  industriale militare veneziano, intasandone i canali. Del Bucintoro incendiato ne fecero ceneri, la nave carcere per i condannati al remo seguì la stessa sorte. Per non parlare poi della distruzione di cose, simboli e violenze, attuate sui beni dei sudditi veneziani. E se questa non è viltà, è senza dubbio la codardia del più forte. 

Tutto sommato secondo il Generale dei francesi, la città di Venezia doveva scomparire nei simboli come nella storia. E i vari tentativi si mostrarono evidenti quando eliminarono dalla città il simbolo rappresentato dal Leone di S. Marco. In seguito vennero praticate sottrazioni di proprietà e di oggetti personali, sino all'insopprimibile inclinazione al furto di opere d'arte, sia veneziane, dello Stato italiano e della chiesa. Per non parlare poi, della realizzazione architettonica, sostituita a quella originaria di Piazza S. Marco. 
Per quanti desiderino accertarsi della sostituzione, sono ancora visibili i vecchi tracciati sul pavimento. 
 
In questo contesto, le deplorevoli disposizioni attuate dal generale dei francesi, si riversarono anche su S. Michele del Quarto dove non era possibile catalogare le attività veneziane e le energie produttive costituite al porto e al paese. Praticamente tutto divenne inattuabile.  
A tali inadempienze andava ad aggiungersi anche la scarsità scolastica negata dagli austriaci alle popolazioni, cui troppo spesso ci andavano di mezzo i coloni, impegnati dall'attività agricola legata alla produttività. Sta di fatto che gli agricoltori non avrebbero potuto, quando anche lo avessero voluto, comunicare per iscritto riportando alcune preziose notizie sulle merci destinate al porto di Quarto d'Altino. (11)

(11) Alcune indagini a carattere privato, sulle merci destinate al porto di Quarto d'Altino, vennero praticate presso le famiglie più antiche del paese durante gli anni 50 del novecento. L'esito non fu del tutto negativo

Di fronte ai numerosi eventi, i pubblici esercizi ideati dal Bonaparte, tra cui la municipalità di Mestre che dovendo comunicare con S. Michele del Quarto notevolmente distanziato dalla città, priva peraltro di viabilità adeguate se non quella fuori mano per Altino, ebbene tale lontananza non ne garantiva la diretta comunicazione e tanto meno la visibilità del porto. Si ritiene perciò che tale Municipalità, sia stata completamente all'oscuro sulla presenza dello scalo portuale di Quarto. 

All'incompetenza veniva ad aggiungersi anche lo stato di obbedienza  per la quale la stessa Municipalità, sottostando alle direttive francesi e in seguito a quelle austriache, non aveva nessuna possibilità materiale d'individuare le attività veneziane sul territorio. Sta di fatto che, durante il corso di occupazione francese del 1797, non esclusa quella del Regno Italico del 1806/1814, andò perduta la memoria storica del porto altinate con tutti gli sviluppi, vicende e tradizioni. (12)

(12) Lo scalo merci in S. Michele del Quarto venne dato in concessione ricordiamo ancora una volta, al doge di Venezia Orseolo dall'Imperatore Ottone III e tale rimase nella gestione veneziana sino al 1797. Anno della caduta Repubblica di Venezia.

Il dipartimento dell'Adriatico

(Capoverso n° 15)

Dalle relative occupazioni, nacque il Comune di Portegrandi, con sede a Campalto subordinato al Dipartimento dell'Adriatico di S. Donà di Piave. Alla già difficile situazione, non era praticamente possibile segnalare ai relativi comuni le attività operanti nei loro territori. Per quanto riguarda lo stato economico e vita sociale di Quarto d'Altino, al quale in questa parentesi ci occupiamo soltanto del porto in S. Michele del Quarto e relativa sospensione.
All'impossibilità, si aggiungeva anche la rilevante distanza dello stesso Comune stanziato a Campalto, causa per la quale, non sarebbe stato  neppure al corrente sull'esistenza del porto. Va da sé quindi capire la difficoltà dei rilevamenti, come del resto il numero degli elementi citati innanzi, sulle unità produttive veneziane. Considerando tra l'altro, le operazioni belliche sostenute tra i due guerreggianti (Austria e Francia) e i numerosi saccheggi a danno dei residenti.   


Figura n° 7. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
La foto in veduta di fronte si collega alle precedenti n° 4 e 5. 
La linea orizzontale tinta bruciato, collocata a fronte dell'area golenale del porto di Quarto, mostra la globalità del fondo sommerso, distrutto dall'invasione delle acque. Il danno è più visibile sulla figura n° 5. Non vi sono palificate in legno castagno o degne di questo nome, utili per la conservazione del suolo. 
La difesa del fondo avrebbe potuto tra l'altro, favorire lo sviluppo di piante erbacee fiorenti, le quali avrebbero anche abbellito con una adeguata e modesta alberatura, il valore estetico della golena. Il tutto arricchendo le forme e i colori delle fioriture spontanee. Il verde alberato, avrebbe anche favorito il passeggio lungo il fiume da utilizzare per la cittadinanza e non solo per la sosta automobilistica dei praticanti motoscafisti. E qui, un po' di vergogna dovremmo sicuramente provare.



Figura n° 8. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright  di proprietà ed ad uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Vedi in primo piano lo stato in essere dell'area golenale in Quarto d'Altino. 
Passeggiando accanto al visibile disastro ambientale, appare sotto gli occhi dell'impreparato profano passeggero, un ruvido e inaccettabile scenario. Una realizzazione scenica talmente suggestiva da far credere a tutta prima, che accanto al porto fossero state allestite alcune riprese cinematografiche, perpetuando in tal modo, l'opera di conquista di Attila l'Unno diretto ad Altino. E durante il transito guerreggiato, non sarebbe più cresciuta secondo dicerie popolari, neppure l'erba. 
Cosicché il nostro profano passeggero, visualizzando attentamente l'ambiente, si sarebbe persuaso che la popolazione dell'epoca avesse avuto più di qualche ragione, per farsi convinta del passaggio di Attila L'Unno. 
A parte la battuta spiritosa che spero mi sia condonata, mi premeva far conoscere ai lettori più che le scorrerie attillane, quanto le odierne risacche, rapportabili al transito del flagello di Dio, avessero peggiorato l'ambiente più di quanto si nota nella foto. 
Ma da lì a breve il citato passeggero, ravvedendosi dall'abbaglio causato dall'improbabile transito degli Unni, non usuale per l'epoca in corso, inorridiva davanti ad un degrado del genere. E avviandosi lentamente verso casa, pensava ad un futuro migliore da quello presente. Anni dopo dovette constatare suo malgrado, che nulla d'allora era mutato, anzi peggiorato.   


Il grave silenzio degli storici odierni sull'attribuzione del porto sollevata dal Pavanello. 

(Capoverso n° 16)

E oggi finalmente, dopo i numerosi fraintendimenti di carattere locale, al consolidato disinteresse di alcuni storici occupati a fare dell'altro, i quali non essendosi mai impegnati seriamente sulla narrazione portuale in S. Michele del Quarto e tanto meno la necessità di realizzarla, hanno causato alla storia locale una negativa premessa rispetto agli studi del Pavanello. 
E com'era prevedibile, hanno pure provocato un serio interrogativo tra chi è rimasto volutamente nel silenzio e chi al contrario, aveva  dichiarato circa cento anni fa, che il Porto e Mercato in S. Michele del Quarto preesistevano entrambi molto prima dell'anno 996 d.C. 
Ebbene quel porto cui si accenna, è quello stesso situato oggi nel recente Quarto d'Altino. Da allora nulla è mutato, se non la disgregazione dell'area golenale, provocata dalla cecità dei garanti per il fondo cosiddetto protetto. Quanto al mercato, si stanziava secondo memoria locale, presso la strada che porta al centro di S. Michele Vecchio. Sulla quale sono stati attivati a proposito, studi e indagini appropriate.

La flotta mercantile del Veneto antico e le attività di commercio 

(Capoverso n° 17)

E così evitando i processi storici evolutivi, in un contesto ambientale nel quale la golena, pur avendo avuto i natali ai primi albori del fiume Sile, (fatto di per se ineluttabile) dal quale i nostri famosi ed illustri storici dal comportamento profondamente evasivo, hanno materialmente rinunciato ad uno studio che aveva come conseguenza, la richiesta d'impegno, serietà e consapevolezza. Ma purtroppo queste richieste avrebbero sollecitato un impiego non indifferente di energie e di tempo, e come tali favorirono il silenzio. Un silenzio che denota carenza di volontà e di trasparenza per la  storia antica e quella  successiva. S'intende ovviamente quella legata all'odierna area golenale e al porto di scalo di Quarto d'Altino.

Ma per risalire a tanta antichità dovremmo ripercorrere il sacco di Roma attuato da Brenno nel 387 d.C. quando l'intervento dei Veneti, (20.000 di numero come c'informa Strabone) sarà determinante per risollevare le sorti di Roma. Non è quindi difficile capire come il sistema dei romani, in continua evoluzione sui territori da saccheggiare, e chiedersi il perché non avesse ancora occupato un area interessante come il Veneto. 
All'epoca infatti, il Veneto era provvisto di ampi territori bonificati e coltivati e una flotta mercantile da fare invidia persino alla stessa Roma. Ma il pronto aiuto guerreggiato del Veneto per la restituzione della libertà di Roma, aveva raggiunto lo scopo dell'intoccabilità. (13)

(13) - Va ricordato che in alcune località presso Altino e d'intorni, viveva durante il V sec. a. C un numeroso nucleo detto Proto Veneto e,  probabilmente in tutto il suo territorio equivalente all'odierno. Quel popolo era fornito di propria lingua e una serie ordinata di segni alfabetici indicati al proprio sistema di scrittura. 
Inoltre il territorio Veneto attiguo al mare Adriatico era  attraversato e tuttora lo è, da numerosi corsi d'acqua sui quali venivano istituite strutture viarie di notevole importanza. Ciò consentendo la navigazione dalla zona di Altino sino a raggiungere Adria e Spina e in tutte le località in cui si snodavano fiumi. Queste circostanze portano a considerare un intensa attività idroviaria legata anche al fiume Sile. Dall'antichità purtroppo, non sono emersi prove fondanti al caso, per quanto le tracce storiche siano ancora evidenti.

Il Veneto quindi venne rispettato dalla furia romana e nono solo perché ne aveva bisogno industrialmente, bensì perché Roma mirava anche ad un'alleanza. Una storia quindi, ricca di eventi, ragionata secondo lo sviluppo storico degli odierni studiosi.  E anche vissuta idealmente da quanti nacquero presso l'ex Quarto Miglio romano da Altino, divenuto in seguito S. Michele del Quarto. Un paese quindi d'importanza non comune, se raffrontato ai centri abitati segnalati dai rispettivi e silenziosi storici, i quali temendo un opinione negativa rispetto alle proprie località, si sono prudentemente disinteressati. 
E nell'indifferenza hanno pure evitato qualunque trattazione sul Quarto miglio romano da Altino, e su tutto il resto qui ampiamente narrato.

Si tratterebbe quindi di un paese lontano dalla notorietà dei citati storici, eppure una località legata ad una situazione oggettivamente secolare. Dalla quale subentrerà un modestissimo fiumiciattolo inizialmente utile per quanto occorreva all'epoca, cui ebbe seguito un corso fluente d'acqua a quello che secoli dopo, assumerà il titolo di fiume Sile. Con sbocco evidente al mare Adriatico. Fiume nel quale verrà costituito poco dopo lo scalo portuale relativo a S. Michele del Quarto, collegato in seguito, al "Vicus" agricolo fondato da Roma e centro di maggiore prestigio rispetto alle località circostanti. 
E da qui, venne a costituirsi una comunità prodotta dal bisogno dello stare insieme, iniziando ovviamente dalle prime istanze necessarie per vivere concordemente. 

         L'estro anomalo 
dei legionari di Roma

(Capoverso n° 18)

Né questi storici, caduti oramai in uno stato di fissità distratta e quindi rimasti all'oscuro della storia più banale vissuta da Roma al "Quartum", è dunque comprensibile intuire, la ragione per la quale non si sono mai sprecati, né consumati intellettualmente per diffondere uno dei tanti eventi peraltro di portata storica. 
E diciamolo pure francamente, che quell'ambiente chiamato "Quartum" era una zona amministrata da un preposto per le attività produttive dove Roma e i legionari di Altino aprirono nelle vicinanze quel porto non certo per estro anomalo, bensì perché dovevano caricare e spedire i prodotti agricoli coltivati al "Quartum" Miglio da Altino. (Al Vicus in S. Michele vecchio) (14) E contemporaneamente inviare le derrate ad Altino e in altre  località dove esistevano centri romani. 

Com'è noto il Vico si collocava a circa 600 metri dalla zona portuale dove i lavoranti transitando su di un tragitto perpetuato a costa del Sile (privo degli attuali argini) raggiungevano più facilmente e con meno fatica la zona del porto. Area nella quale venivano caricate le merci sui navicelli. E' noto d'altra parte che il Vico aperto nelle vicinanze del fiume Sile, utilizzava le acque rivierasche irrigando i prodotti agricoli.  Dall'irrigazione ne traevano beneficio anche gli animali da allevamento, da cortile e i bovini custoditi nelle stalle usati per le arature.  

(14) Con tutte le ovvie analisi e accertamenti che il tempo riserva a chiunque effettui indagini sulla zona agricola di S. Michele Vecchio. Tale attività ebbe inizio dall'occupazione di Roma dalla quale nacque il Vico agricolo presso la "Quarta Lapide". Si trattava di un azienda agricola romana di notevole rilevanza produttiva, praticata da lavoranti autonomi e talvolta anche di schiavi.  
Ad assoggettarsi pacificamente a Roma furono le famiglie autonome di stirpe veneta, le quali probabilmente in seguito, si fusero con l'etnia romana e greco bizantina.



Figura n° 9. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Sul totem affisso dal Parco Regionale del Sile, non si nota alcun aggiornamento sulla fondazione relativa al porto di Quarto d'Altino, né si registrano collegamenti  storici sulle ricerche del dott. Pavanello. 
Ci si sarebbe aspettato almeno una breve nota sulla concessione dell'Imperatore Ottone III al Doge di Venezia sull'area portuale in S. Michele del Quarto. E non tanto per sottolineare l'antichità del porto che parla da sé, bensì per il compito affidato al Doge prima che i rimanenti porti lungo il Sile fossero istituiti. 

E non è un caso, se alcuni secoli dopo lo scalo portuale di Quarto d'Altino venne sottoposto alle indagini del Pavanello. Eppure il totem affisso dal Parco regionale, pare non sia al corrente, anzi non lo è affatto sugli studi effettuati a livello storico-ambientale, dal citato storico. D'altra parte sembrerebbe che lo stesso totem, o meglio la struttura pubblicitaria di marca trevigiana, sia soltanto interessata al "Gira Sile" e al tema del percorso ciclo pedonale in vigore da anni. 

Ciò che invece stabilisce in forza alla propria autorità, è quella di porre all'attenzione pubblica, il limite di velocità massima dei natanti sorvegliata dai ranger del Parco addetti al controllo. Per quanto questi dall'epoca dell'istituzione, non si sono mai scorti  incrociati lungo il corso del Sile. In ogni caso, la tavola rettangolare sulla quale vengono trascritte notizie per così dire importanti, contiene un elenco di prescrizioni ricordando com'è giusto che sia, il rispetto dell'ecosistema fluviale, delle tradizioni locali e le memorie trasmesse da una generazione all'altra. Ma non fa nessun commento sull'area golenale di Quarto d'Altino, nonostante la devastazione provocata dal ritorno dell'onda sia percepibile a chiunque si degni aprire gli occhi. 

Dalla parte opposta dello stesso tabulato emergono tre foto, l'una dedicata all'ottocentesco passo a barche, la seconda al ponte ferroviario in costruzione. Sulla terza emerge una battello intento a solcare  le acque in direzione di Treviso. Ma nessuna di queste tocca la sensibilità della popolazione indigena, eccetto il ponte eretto sul Sile dal quale prendeva corso la nuova linea ferroviaria. La medesima sensibilità della cittadinanza venne però preceduta dalla centenaria ricerca storica del Pavanello che aveva diffuso per gli interessati della storia, la realtà dello scalo merci e mercato in S. Michele del Quarto, e che il Parco puntualmente ignora. 
Praticamente il totem trevigiano, non diffonde nessuna notizia, tanto meno riflessioni in merito, sia sulla Claudia Augusta che sull'attività del porto antico.

Di fronte ad un silenzio tanto mortificante, mi è sembrato il sistema più adeguato, col quale far conoscere le origini del primo porto eretto lungo il Sile. Originato peraltro dal transito della Via Claudia Augusta aperta da Druso nell'anno 15 a.C. Tale data ci offre la possibilità di esprimere a tutto campo, la notizia per la quale i rimanenti porti, vennero fondati e aperti secoli dopo.   

Il silenzio degli storici attuali

(Capoverso n° 19)

Il documento diffuso dall'imperatore Ottone III nel citato anno 996, tratta  della concessione del porto non sancito per legge e non soggetto a qualunque monopolio esterno, situato in S. Michele del Quarto. La richiesta venne effettuata dal Doge di Venezia Orseolo II. Inizialmente l'area portuale di proprietà dell'Ottone, venne in seguito concessa al Doge coi diritti accessori.
Secondo gli studi del Pavanello, quel porto preesisteva da tempo cronologicamente remoto, quanto non è possibile stabilire, se non rapportandosi all'anno in cui venne concesso al magistrato della repubblica Veneziana e scendere quindi agli antipodi della storia. 
Un periodo dunque non molto lontano valutando il ciclo della Serenissima che non è per niente anacronistico, neanche se dovessimo risalire a quello più tardo, durante il quale vi troveremmo tracce e conferme dell'età romana.  
Rileggendo infatti i testi degli storici latini e i risultati prodotti dalla destrezza di Roma, vi scopriremmo tra le tante vestigia quel vico agricolo stanziato presso S. Michele Vecchio, dalla cui feracità del suolo, maturavano sostanze alimentari, caricate in seguito al porto del recente Quarto d'Altino. E che dire di quel ponte stanziato sul Sile dove transitava la Via Claudia Augusta con gli eserciti di Roma. L'impronta lasciata è dunque palese.  
Ma per saperne di più, dovremmo ricorrere alle datazioni antiche rimontando il periodo più remoto di quello svolto da Roma. E forse allora emergeranno anche le orme delineate dall'espansione dei Paleoveneti nella valle padana. Un popolo viaggiatore dedito al commercio per mare e per fiumi non escluso il corso del Sile.  
 
Per contro, alcuni storici per la storia dello scalo portuale altinate, sembrerebbe si fossero completamente disinteressati, o eventualmente deciso per una comune astensione di convenienza, senza peraltro motivarla. Addebitarne la manchevolezza non è a nostro avviso un fattore opinabile, bensì addirittura consenziente. 
E non si potrebbe affermare neanche il contrario, se non avessero escluso quel porto dalle loro pubblicazioni, dalle quali sarebbe emersa la rilevanza storica e ambientale del luogo stesso. E con la stessa metodica, attuata secondo un preciso e fondato criterio d'ordine, hanno dichiarato il proprio livello di prestigio, non all'altezza del rilievo per il quale sono stati promossi al rango di storici.     

Mi è sembrato quindi opportuno, chiedere anzitutto a me stesso, quali siano state le loro reali intenzioni, quando le occasioni per replicare al dott. Pavanello le avevano avute tra le pagine dei loro rispettivi testi, numerosi peraltro. Reticenza? Omertà? Timore? 
Di qualunque forma si tratti, si potrebbero ricorrere a molte risposte. Ma tralasciamo. 

Il porto in S. Michele del Quarto assegnato al Doge Orseolo.
              
Di fronte a tanta reticenza non è mancata la relazione ufficiale e particolareggiata dell'Imperatore Ottone che, discutendo col Doge di Venezia, assentiva ad un porto già funzionale. E  trattandosi di un porto efficiente e non di un fondo su cui erigere uno scalo qualunque, al quale il supremo magistrato di Venezia, non era per niente interessato. Ragione per cui l'Ottone a fronte della siffatta richiesta non avrebbe mai deliberato un porto inesistente o comunque da costituire altrove, se non il medesimo richiesto lungo il Sile, situato in S. Michele del Quarto.
non sapendo quali fossero i veri progetti dell'Orseolo, ne propose per gradirlo tre di numero e a scelta. E da qui nasce l'ingannevole ingarbuglio storico, peraltro senza precedenti, dove i rispettivi fiumi Sile e Piave, secondo alcuni storici di provata esperienza, avrebbero transitato sullo stesso alveo. 

C'era comunque ben poco da  scegliere se non del tutto inutile, poiché quei porti citati dall'Ottone, già si stanziavano nel medesimo corso del Sile, che se pure chiamato anche Piave, correva presso la località interessata al Doge, cioè in Sancti Michaeli qui diciturs Quartus. (San Michele detto il Quarto) 
Di conseguenza l'Orseolo, non sarebbe stato indotto da nessun'altra scelta, tranne l'unica visibile e palpabile relativa allo scalo portuale lungo il corso del Sile. Nulla centrano dunque i vari titoli assegnati al medesimo fiume, quando questi pur essendo in relazione tra loro, non erano collegati in un moto costante d'acqua transitante per S. Michele del Quarto. E basterebbe soltanto citare questa località per risolvere il problema sollevato da alcuni studiosi, i quali sono tuttora dubbiosi, se assegnare il tragitto al Piave oppure al Sile. 

L'inutile, conveniente sciocchezza  

E a questo punto vorremmo confermare un dato fondante verificato dal fatto che, non esistono al mondo conosciuto, due titoli di paese uguali attribuibili a S. Michele del Quarto. Se ne facciano dunque ragione chi crede palesare il contrario, in contraddizione peraltro coll'unico corso d'acqua chiamato Sile, che se pure chiamato Piave, transita in prossimità di Quarto d'Altino e non altrove.  

Né, quanti hanno descritto e motivato che i due fiumi sono in relazione costante, sostenendo peraltro che il porto si stanziava nientemeno a Musestre, si sono addossati una grave responsabilità, riuscendo a stravolgere persino la storia, ma non a mutarne la direzione e le condizioni per le quali il Sile si chiama solamente Sile. 
Di fronte ad una dichiarazione del genere, si capisce la predilezione di quanti intendono promuovere e difendere il proprio territorio. Ma questi purtroppo non hanno tenuto conto, che i due regnanti trattavano di un area golenale talmente vasta, fornita di particolari esigenze e funzionalità, per gli scopi previsti dal Doge Orseolo. 

D'atra parte l'area interessata al Doge era regolarmente posizionata sulla destra del fiume Sile delimitata peraltro dall'enorme spazio visibile a chiunque, nonostante la riduzione odierna causata dal moto ondoso.  Nulla centra dunque il porto di Musestre, che se pure esisteva non avrebbe in ogni caso colpito la sensibilità del Doge, la cui genialità l'aveva spinto ad acquisire il porto sulla riva opposta, cioè a S Michele del Quarto. E come non bastasse, gli venne attribuita come zona di commercio più idonea per la Venezia nascente, il territorio dell'Ottone orientato a sinistra del Sile. Non a caso verso Musestre, sull'odierno trevigiano. 
Ma il Doge frattanto, che aveva avvertito i primi sintomi di una Venezia finalmente autonoma, dedita oramai da anni al commercio marittimo e su fiume, non si fece attrarre dalla proposta, e non rispose.

Cosicché la Venezia d'allora, quasi a dispetto dell'annoso e deludente circuito preferenziale, già commerciava navigando sui mari e sui fiumi del nord e senza implorare il territorio dell'Ottone. 
L'attività economica del Doge per la Venezia nascente si svolgeva inizialmente col proprio vicinato di etnia veneta, con l'alpino padana, adriatica, istriana, fiumana e dalmatica. Prevalentemente insomma, lungo il mare Adriatico. 
Fatto sta che l'Orseolo rifiutando i due porti inesistenti allegati al primo, formalizzò il terzo e unico, situato lungo il Sile, in "Sancti Michaeli qui diciturs Quartus".
(In San Michele detto il Quarto unico porto già funzionale in ogni ripartizione e attività.

Gli accordi tra i due sovrani. 

Ed ecco come si svolse idealmente la trattativa tra i due regnanti.  
L'attività preparatoria mediante scambio di proposte segnalata sopra e offerte in lettura, corrisponde a nostro avviso alla realtà dei fatti. 
In primo luogo perché non esiste nessuna presenza antica né contemporanea, legata a due corsi d'acqua conosciuti col nome Sile. E infatti non ve ne sono due, se non segnalati da qualche maldestra suggestione storica, e da quanti valendosi di un lessico pseudo reale, si servono di un antico tracciato collegato al Piave, impossibile peraltro in età romana. E con tali asserzioni hanno persino disorientato il lettore da una citazione inverificabile, avanzata a suo tempo da Plinio il Vecchio. E più avanti spiegheremo il perché. 

La tesi di Plinio il Vecchio, impossibile in età romana

In ogni caso, la trattativa tra i due sovrani basandosi su di una interpretazione di Plinio sul "Fluvis Silis ex montibus tarvisianis, oppidium Altinum", fa pensare dapprima, che la città di Altino secondo il termine "oppidium" estendesse il suo territorio sin alle sorgenti del Sile. E se Plinio alludeva a tale eventualità aveva delle fondate ragioni. E tuttavia il Sile principiava secondo il noto fautore, dai monti trevisani con sbocco in pianura e quindi al mare. In realtà il Sile scaturisce sin da quando vide il primo albore di vita, dalle polle risorgive di Casacorba e non altrimenti. 

La tesi di Plinio,  si fonda probabilmente su di un ragionamento ritenuto valido ma non confermato dal contatto visivo, né da dati pratici e tanto meno da un esperienza diretta. E questo avvalora la nostra tesi per la quale Plinio, non riferisce il punto nel quale sussisteva l'ipotizzata connessione.  
Abbinare quindi i due fiumi in un unico sistema di conduzione, appare secondo il Palmieri  "Impossibile in età romana" (Cioè all'epoca di Plinio) "e poco probabile sui due precedenti millenni". (cit. Palmieri  Paolillo) Appare dunque poco probabile se non inconsistente la tesi per la quale il Piave fosse ai tempi di Plinio, innestato al corso del Sile. E se davvero lo era, si manifestava su di una spaccatura di superfice in direzione del Sile, provocata forse da qualche scossa di natura tettonica. Sulla quale col tempo intervennero dei prevedibili rigagnoli d'acqua divenuti nei secoli canalizzazioni, ma non certo equivalenti ad una vera e propria conduzione d'acqua costante. 

Dunque Plinio il Vecchio, equivocava oppure ipotizzava un unico sistema di conduzione Sile Piave. D'altra parte, non è mai stato costituito un collegamento e un moto costante d'acqua, se pure in certi casi poteva accadere in circostanze di fenomeni alluvionali e di straripamento del Piave. Si da quindi per scontato che  le ghiaie emerse a Casier sul Sile provenivano dal Piave causate dalle tracimazioni delle masse d'acqua. 
E' noto che il Sile essendo un fiume di risorgiva non può contenere ghiaie e tanto meno trascinarle a valle, e come tale è di continua portata d'acqua perciò navigabile. Non lo è invece il Piave, che a causa delle continue secche concatenate una all'altra, o comunque di scarsità d'acqua, non è neppure navigabile. In tal caso lo sarebbe anche il Sile, il cui corso però, si è sempre mostrato a ricordo umano, colmo d'acqua corrente. Si capisce a questo punto che il Sile non ha niente a che fare col Piave, in quanto fornito da un flusso d'acqua continuo, pertanto percorso come si è specificato, da mezzi di navigazione. 

E citando il diluvio ricordato dal Diacono nella Venezia dell'anno 589 d. C. (pressoché in epoca medioevale) potrebbe in tal caso aversi chiuso definitivamente, lo squarcio sito nel Piave causato dalle fanghiglie le cui acque si riversavano inizialmente sul Sile. "Furono distrutte strade e cancellati sentieri, i terreni e fattorie divennero laghi, e ci fu grande strage di uomini che di animali." Un disastro ambientale "Quale non si crede" prosegue il Diacono, "ci sia più  stato dal tempo di Noè." 

La facilità con cui si chiuse la falla prodotta dall'ipotizzata scossa tettonica, fa credere che lo squarcio fosse di modeste proporzioni cui  in seguito, non avrebbe mai più alimentato neanche in tono ridotto il corso del fiume, procurando con ciò dimagrimenti se non il prosciugamento stesso dell'alveo. Fatto che non si è mai verificato. E pertanto, il comune senso della realtà ci spinge a manifestare in termini espliciti, che il Sile è un corso d'acqua autonomo e continuo la cui propulsione avviene tuttora tramite le risorgive citate.

Ma la realtà fondante, quella che vincola chi studia la storia per il corso del Sile, non conosce accomodamenti, né interpretazioni di comodo, né tiene conto di certi professoroni che vorrebbero far credere ciò che la storia non intende.
E questo dovrebbe tacitare finalmente quanti sinora hanno proclamato troppo affrettatamente, che il porto e mercato "in S. Michele del Quarto" siano stati attivati altrove, magari lungo il Piave, o addirittura al lato opposto dell'attuale Quarto d'Altino. Cioè a Musestre. 

Un osservazione elementare

A colmare il recipiente interpretativo di alcuni scrittori alieni dal proprio dovere, hanno dato l'impressione di non essersi mai chiesti, perché mai il Sile, per quanto fosse connesso al Piave da una probabile e irrilevante fenditura, la cui entità è tuttora sconosciuta, scorre da tempo immemorabile, costeggiando gli argini di S. Michele del Quarto. 
E per farlo capire agli illustri studiosi, ho dovuto loro suggerire, questa semplice ed elementare osservazione. E magari lo sapeva anche il Duca di Venezia. Il Doge Orseolo II. 

L'incontestabile e unica prova probante

Non è quindi possibile, considerato il breve riassunto pur sempre ampliabile e porlo a confronto con quanti si sono pronunciati vagamente, senza indicare nulla di concreto. E infatti, non tenendo conto degli straripamenti del Piave, né preso coscienza delle tracimazioni sulla possibile incrinatura, ecc. ecc. si sono pertanto impantanati da soli tra le fanghiglie citate dal Diacono Paolo. E dunque, le teorie riferite dagli encomiabili storici, appaiono a nostro avviso, incoerenti e suggestive.

E' noto d'altra parte, che i dualismi o sinonimi interpretativi spesso, s'incrociano quando anche a fatica e talvolta, non trovano pure corrispondenza. E infatti il titolo Sile rimane sempre tale, e il Piave diciamolo pure con franchezza, era ed è tuttora un concentrato di fiume di portata maggiore rispetto al Sile. E quindi non assimilabile. 
E lo era senza dubbio anche all'epoca dell'Ottone il quale, osservando il corso d'acqua nelle sue proprietà, ne constatava già d'allora la portata e la magnificenza, un appellativo quindi di tutto rispetto. Una deferenza che fa ben sperare non si possa più scivolare nella confusione, mescolando un fiume per l'altro. 
Per quanto riguarda la nota di Plinio, che altro si potrebbe dire se non quella di aver procurato alla storia una gran confusione. Senza ovviamente limitare la cultura e sapienza dell'uomo saggio. E quanti si assunsero il compito d'interpretare il corso del Sile basandosi unicamente sul suo commento, lo attinsero con l'appagamento delle proprie aspirazioni, diffondendolo poi in campo letterario.  

Nessuna incertezza sulle indagini del Pavanello

D'altro canto, non vi è alcuna incertezza per quanto riguarda la ricerca del Pavanello, il quale conferma il porto quanto il mercato collocato presso l'odierna piazzetta di S. Michele Vecchio, oggi comune di Quarto d'Altino. I due argomenti in relazione tra loro, sono ricordati dai vetusti residenti, ora purtroppo trapassati. Eppure, bastava soltanto aprirsi alla realtà del paese chiedendo informazioni e ragguagli, considerando in particolare le ricerche dello studioso di Meolo. Purtroppo hanno prevalso notizie prive di fondamento, a quelle reali del dott. Pavanello.   

Su tale contesto si trovano utili spiegazioni sul capitolo nono (9) relativo all'anno di stesura 1997. Vedi il titolo: "Il millenario porto e mercato in S. Michele del Quarto e...."  Vi è inoltre, la traduzione in lingua italiana, del diploma nel quale l'imperatore Ottone III concedeva al duca di Venezia il diritto di scalo e mercato in S. Michele del Quarto.   

La reticenza storica

(Capoverso n° 20)

E' comunque ipotizzabile, e in ogni caso con scarsa probabilità di errore, che il porto altinate fosse funzionale con regolare transito sul Sile, già dall'anno in cui venne aperta la Via Claudia Augusta. E poco dopo, nacque com'è noto il citato Vico agricolo in località S. Michele Vecchio. D'altro canto, sulla qualificazione del porto e mercato riportata dallo storico di Meolo, pesa oramai dalla sua scomparsa un secolo di silenzio. Una grave e significativa omertà per la quale gli storici attuali, a quanto si evince dalle loro narrazioni e preferenze letterarie, anziché replicare al Pavanello, per quanto siano ben remunerati dalle relative fondazioni e dalle proposte delle aziende Comunali, sono esclusi completamente. Notiamo pertanto, una pesante ambiguità e premedita reticenza storica. (15)

(15) Non mi si venga dire come soluzione che non hanno mai studiato o quanto meno letto i testi del Pavanello. Dovrei impallidire dinanzi ad una scusante del genere.  Però, quando si tratta la diffusione di ciò che a loro interessa, come per esempio, portare al vertice le cronache del loro paese, non arretrano a nulla. Evitando ben s'intende ciò che compete alle località a loro circostanti. 

L'indubitabile certezza

(Capoverso n° 21)

Dall'epoca di Roma al 1797, anno della capitolazione della Serenissima Repubblica non era possibile alle suddette Municipaltà citate innanzi, elencare durante la fase iniziale di occupazione straniera, le proprietà di origine veneziana. E tanto meno porre per iscritto, circostanze e vicende legate agli eventi nei territori della Repubblica. 
Nulla toglie però che simili fatti possano essere accaduti anche durante la millenaria attività veneziana, causati per forza maggiore, da una serie di battaglie tenute per terra e per mare. Dalle quali sortì l'esigenza di escludere dalla storia il porto altinate e di qualunque altra attività in seno al paese. (16)    
E fra le tante battaglie, ricordiamo le sette guerre turco veneziane, gli scontri coi mussulmani, la Lega Santa, la battaglia di Lepanto, le Crociate, i domini di mare, ecc. ecc. 
Alla breve somma, si dovrebbero aggiungere anche i conflitti interni e le lunghe procedure per risolverli. Non è dunque possibile data la quantità enorme di scontri sostenuti durante il millennio retto dalla Serenissima, e affidare contemporaneamente alla storia, quel ruolo importante o meno che avesse avuto, il porto dell'odierno Quarto d'Altino. (Ex, S. Michele del Quarto)

(16) Va tuttavia ricordato, che dall'anno 1797 al 1948,  epoca della venuta democratica in Italia, trascorsero esattamente 151 anni dalla caduta di  Venezia. Quanto basta per decapitare i ricordi del porto e del punto in cui transitava la Via Claudia Augusta. Se poi vi aggiungessimo anche il ventennio del raggiunto terzo millennio, ne sommerebbero 199. (Quasi due secoli)  E se non fossero neppure emerse quelle tracce coi resti appena palpabili ritrovati dal De Bon, ne saremmo rimasti del tutto privi. E non solo sull'ubicazione tuttora ignota, presso cui transitava la la Claudia, bensì di tutto il  resto. 

(L'attuale capoverso n°19 con la nota n° 16, prosegue sul n° 20, dopo le descrizioni fotografiche e commenti pubblicati qui sotto)




Figura n° 10 da abbinare nello stesso contesto n° 4- 5 e 7. 
Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Si nota sul piano inferiore della foto n° 10 affiorare dall'acqua alcuni spuntoni in legno, piantumati  a nostro avviso, per rafforzare il punto estremo della golena allora legata al porto. I pali sono indicati dalla cerchiatura tinta rosso.  Le foto ravvicinate, evidenziano una serie di tronchi erosi e consunti dal movimento dell'acqua.   
La linea continua disegnata manualmente a curva, evidenzia circa, il terreno perduto sottratto all'originaria golena dal moto ondoso. Il grave danno è segnalato dal punto in cui inizia la traiettoria (ovvero dal fondo fangoso citato innanzi) diretto circa sui pali di contenimento visibili nella foto. Punto nel quale l'area golenale procedeva ampia e diritta oltre il ponte automobilistico dove peraltro transitavano i cavallanti coi loro animali. L'attività dedicata all'attiraglio ci perviene dalla testimonianza di alcuni cavallanti della zona, convalidata peraltro da una foto in bianco nero anni cinquanta, la quale riporta il varco golenale per il passaggio degli animali. (Vedi la foto seguente n° 12) Sono segni evidenti e comunque da studiare attentamente. Dall'alto del ponte automobilistico, si nota l'erosione delle acque sul porto e golena dell'attuale Quarto d'Altino.  (Continua)

Lo spazio enorme del fondo in questione qualora dovessimo porlo a confronto con quanto rappresentava il minuscolo porto di Musestre, collocato secondo il Pavanello "a sinistra", (Spalle a monte) destava una certa condizione d'ingombrante curiosità, su quella più imponente in S. Michele del Quarto. Sul quale emergeva diversamente, la spaziosità dello scalo portuale, mentre quello a sinistra, segnalava soltanto pochezza di superficie. E infatti, quel porto al quale il Pavanello indicava a destra, coglieva anzitutto l'importanza dell'enorme spazio disponibile non paragonabile al porticciolo di Musestre. Eppure.... (Continua)  

..... eppure allo stato presente, quel porto ubicato presso la Marca trevigiana e secondo la propaganda interna di alcuni sostenitori locali, i quali si dilettano tuttora a frasi canzonatorie indicando e legittimando il proprio. E non a caso  evitando inutilmente la segnalazione di quel porto che gli sta di fronte. D'altra parte costoro, e bisogna pur dirlo, sono condizionati da un sentimento fazioso piuttosto imbarazzante, ed ecco perché ricorrono solamente a quello di casa propria. Senza citare ovviamente il secondo situato "a destra". (Continua) 

Insomma, non è questo il sistema corretto secondo il quale il sottoscritto, preferisce dedicare ai porti di scalo lungo il Sile, uno studio scientifico anziché divulgare sciocchezze da gente per così dire omertosaE certo, farebbero bene ricorre alle conclusioni del Pavanello, augurandosi che la loro indisponibilità, non sia dovuta al mancato confronto, bensì per problemi personali.
Si tratterebbe comunque di questioni infruttuose su di un decorso storico già consolidato, dove tutti i valori storici convergono sullo sbocco della Claudia al porto di scalo e sull'area golenale di Quarto d'Altino.



Figura n°  11. Foto da abbinare al medesimo contesto della n° 4- 5 -7 e 10. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia

Descrizione immagine.
Vedi nella foto n° 5, l'area golenale pressoché sommersa quasi scomparsa dalle colmate, in particolare dalle risacche prodotte dalle imbarcazioni irrispettose del limite di velocità. 
L'intervento dei vigilantes addetti al Parco del Sile, si rende del tutto necessario, ora più che maiMa ciò che prevale e si nota senza equivoci, è la scomparsa dell'originaria area golenale valutabile ad un campo di calcio di circa 500 metri quadrati, sottratti peraltro alla popolazione 
Attualmente sono piuttosto numerose quelle persone che dell'area perduta, esprimono senza tanto discutere atteggiamenti negativi. Tendenti quindi al pessimismo, ne colgono anche gli effetti peggiori e visibili e, li riversano sulle amministrazioni. 

D'altra parte non esistono, né sono mai esistite come si nota nella foto, reti ecologiche che prevedano protezioni organiche sul reticolo golenale di Quarto d'Altino. Qualora si dovesse utilizzare qualcosa di simile su ciò che rimane, andrebbe allestito generando un "valore collettivo" aperto alla cittadinanza. 
E se verrà realizzato all'interno dei pur ampi spazi rimasti, si confida nella possibilità, vengano utilizzati per le passeggiate dei residenti, con panchine di riposo tra alberi ombreggianti. Il decoro e la dignità dell'intero paese sono molto importanti più di quanto si creda. Indicano infatti un comportamento e un senso al dovere, fattibili a qualunque  amministrazione pubblica.

Dignità e decoro vanno comunque di pari passo, e si potrebbero riottenere   quando la popolazione unita lo pretenderà, ma non potrà rinunciare al porto e all'area golenale cadenti in tutti i loro limiti massimi ma non interamente perdute. Si potrebbe tuttavia porvi riparo mediante sbarramenti in acciaio. Misurano in larghezza circa 40 cm e di lunghezza metri 6/7, giusto per piantumarli oltre il fondale del fiume. Sono funzionali, appropriati al caso, di facile impiego, anche di collocazione e resistenti ai secoli. 
E' anche possibile orientarli esattamente nel punto in cui esisteva l'originaria golena visualizzabile tuttora, sotto il piano dell'acqua invadente. Si può fare soltanto se c'è la volontà di proporli concretizzando l'opera. Si spendono infatti molti quattrini per futili realizzazioni, mentre per quanto è utile al decoro dell'ambiente e alla dignità del paese, viene di fatto abbandonato. E se questa non è totale mancanza di valori e d'impegno, mi si spieghi cos'è. 



Figura 12. Da abbinare alle precedenti.
Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso, anni 50 del novecento. Copyright di proprietà, uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Ecco come si presentava il proseguo  golenale di Quarto d'Altino su cui transitavano i "cavallanti" accanto agli animali addetti all'attiraglio dei burchi. Non vi sono dubbi, infatti, osservando l'ampiezza della striscia di terreno di circa 70 anni fa, quando transitava il cavallo da tiro sotto controllo del "cavallante". Il margine di terreno mostrato nella foto, bastava e avanzava per adempire al compito. 
La striscia golenale lungo il corso del fiume Sile correva ovunque a lato dell'argine, determinando dei veri e propri camminamenti in piena sicurezza. Abitualmente vi soggiornavano anche i pescatori a lenza. 
L'immagine fotografica descrive esattamente la vitalità dell'area golenale di Quarto, al servizio del transito navale dedicato ai burchi. Sul fondo si nota Musestre col suo campanile. Fa da cornice all'ambiente dell'epoca, il transito lento del carro ripieno di fieno. 

Al Doge Orseolo ne successero altri 95, ai quali  seguì la conferma del Pavanello.  

(Capoverso n° 22)

(Inizia da qui, il seguito del capoverso n° 21)

In realtà, ciò che oggi si può affermare con estrema certezza, è la concessione dell'Imperatore Ottone III al Doge Orseolo II, al quale vi successe una serie di Dogi sino a contarne 95. Bene o male questi supremi magistrati della Repubblica, la ressero sino all'arrivo del Bonaparte. L'ultimo dei quali fu il Doge Lodovico Manin  destituito il 12 maggio 1797.  Sulla reggenza della repubblica oramai disgregata, vi sono inclusi una lunga serie di servizi portuali di mare e di fiumi tra cui, come citato sopra, il porto in S. Michele del Quarto assegnato al 26iesimo Doge di Venezia Pietro Orseolo II, e su tale assegnazione non vi sono dubbi. 
Da allora al tempo attuale, lo scalo fluviale posto al "Quartum" non venne più nominato né registrato se non la concessione alla dignità politica del Doge. In seguito lo scalo divenne proprietà veneziana a partire dall'inizio della Repubblica.  
D'altra parte lo scalo portuale in questione non ebbe i natali come potrebbe far credere il disimpegno intellettuale degli storici. Bensì nacque a seguito degli antefatti maturati e narrati precedentemente, in particolare dallo sfocio della Claudia al porto di Quarto. Non a caso il Pavanello lo dichiarava preesistente allo stesso Doge Orseolo durante l'anno 996. 

 Dallo sfocio viario Claudino, emersero 
 residuati di origine antica

(Capoverso n° 23)

Diversamente il transito navale al porto, venne in seguito incrementato e potenziato dallo sbocco della Claudia Augusta sulla vasta golena presso il fiume. Molto prima quindi dei porti di scalo aperti e conosciuti lungo il Sile situati in provincia di Treviso.  
Il transito della via romana sul fiume, venne in seguito confermato dall'emersione "di avanzi del ponte romano sul Sile" scoperti nel 1936 dal De Bon. Secondo alcuni moderni ricercatori, il ponte venne diversamente eretto presso il castello di Musestre, la cui scoperta si deve ad un recente rilevamento aereo. In seguito venne anche dimostrato dai Sub di Mestre, i quali, scandagliando il fondo del fiume, notarono le fondamenta del ponte. Ritornando al De Bon, nessun altro elemento del ponte romano, o comunque residuati simili secondo recenti sopraluoghi, venne mai individuato e raccolto sullo stesso luogo in cui il De Bon aveva inizialmente scoperto.  
Vi sono quindi attribuzioni discordi, in particolare sugli "avanzi del ponte romano sul Sile" resi pubblici dal noto ricercatore.  

Gli "avanzi" emersi del ponte sul Sile, 
secondo il De Bon

(Capoverso n° 24)

Ma che significa "avanzi"Di quale tipologia sono? Di materiale consistente? Riutilizzabile? O appena avvertibile? Non si capisce! 
Perché allora attribuire il titolo di "avanzi" a delle sostanze cui s'ignora le proprietà. 
Purtroppo il De Bon grande ricercatore del sec. primo novecento, non ne specifica la qualità, dimensioni e quantità. Potrebbe trattarsi a nostro avviso di materiale di vari impieghi, forse di falegnameria, ma anche di mattoni, di pietre e roccia o cos'altro? Rimane comunque tutto nel vago. 
Già, ma quegli "avanzi" potrebbero pure segnalare un progetto preesistente e realizzato prima dell'ipotizzato ponte, dove l'erezione di una banchina per l'accostamento dei navicelli al porto e perché no, anche al ponte in questione, avrebbero potuto risolvere il caso tuttora irrisolto. (17) E infatti, lo spazio enorme dell'area golenale avrebbe consentito a Roma, la realizzazione di entrambe le opere.  Purché dall'emersione dei citati "avanzi", si fosse potuto studiare le composizioni, dai quali trarre i vari periodi. 

(17) Molti studiosi per la storia antica, in particolare prima della venuta di Roma, sono concordi nell'attribuire ai veneti l'attività nei terminali marittimi e dei traffici fluviali lungo il Po con tutte le sue diramazioni. Tra cui l'Adige, il Brenta, il Sile, Piave, Tagliamento e Livenza. (Formigaro L.) Non ci sarebbe dunque nulla di strano, se quegli "avanzi" scoperti dal De Bon appartenessero ad un epoca diversa da quella presunta del 1932.

Inoltre il De Bon scrive di suo pugno che la Claudia "traversava diagonalmente il fiume rasentando". Rasentando cosa? Quale altro oggetto avrebbe potuto rasentare o lambire la Via col ponte eretto? Non vi è chiarezza. Coglierne il significato non è facile, anzi diventa un ardua impresa qualora il De Bon si fosse riferito ad un ponte "rasente" a fior dell'acqua. Non ci crediamo, anzi, non è possibile. Le colmate del fiume infatti, avrebbero sepolto il viadotto, bloccato la navigazione, il transito civile e quello dei legionari da Altino al Norico e viceversa.

D'altra parte, non risulta niente che possa oggettivamente individuare qualcosa che rasenti il transito lungo il ponte. A meno che il De Bon, non si fosse riferito agli argini del fiume, vistosamente eretti durante le indagini degli anni trenta del novecento. Ma non lo erano affatto al tempo di Roma. (18) Potrebbe quindi trattarsi di una momentanea svista, credendo che la via avesse rasentato il vertice degli argini non ancora eretti. E questo ci porta ad ipotizzare che il ponte, fosse stato aperto in una posizione diversa da quella creduta dal De Bon. Ma quale? 
  
(18) E infatti le arginature al tempo di Roma, non esistevano,  vennero mai erette. S'ipotizza per motivi di costo, per i lunghi periodi di realizzazione, per l'asporto della terra necessaria e portarla nei vari punti dell'impero.

Ma c'è ancora un dettaglio da segnalare. 
Un particolare che potrebbe determinare il punto in cui il Ponte venne realizzato. 

(Capoverso n° 25)

Dal lato opposto (Lato Musestre) scrive ancora il De Bon: "emerge un grande manufatto a pianta Quadrata, forse una torre costituita in parte con materiale di riporto, i cui resti si scorgevano a livello dell'acqua ancora qualche anno fa". Al rilevamento e mancata purtroppo la relativa misurazione da farsi sulla base quadrata e che il De Bon individua come Torre. D'altra partenon avrebbe avuto alcun senso a nostro parere, erigere una torre (di controllo?) proprio nel punto in cui doveva transitare la Claudia Augusta. E se di "controllo" si potrebbe anche supporre, dovremmo risalire all'anno 1935 quando emersero dagli scavi per le fondamenta delle scuole elementari, una quantità notevole di anfore. (Presso l'attuale edificio comunale) L'emersione ci spinge ad ipotizzare che nella zona accennata, risiedesse una stazione di controllo sull'attigua Claudia Augusta collegata alla strada diretta per Treviso. In tal caso, si sarebbe potuto controllare il transito di due vie, e non soltanto la principale in veduta dall'alto. 

Ma ritornando al basamento quadrato scoperto dal De Bon, cui si prevede non abbia potuto misurare la pianta, con la quale si sarebbe potuto individuare, o quanto meno dibattere, se la fonda considerata da noi come ipotesi, vi ci fossero piazzate sopra alcune "presunte" colonne, su entrambi i lati del fiume, utilizzate per reggere il viadotto. In tal caso, si sarebbe potuto calcolarne anche la larghezza. 
Al di la delle nostre considerazioni e tali sono, non conosciamo, se le colonne, ognuna col proprio basamento fossero utilizzate per reggere  il suddetto ponte. Tanto più che il De Bon, lo descrive costruito con "materiale da riporto". Non è questo a nostro avviso, il metodo e i mezzi in base alle quali i romani, non avrebbero mai eretto un basamento con materiale da riporto. Probabilmente la realizzazione in veduta stativa e per quanto coperta d'acqua, (S'immagina trasparente) non aveva niente a che fare con tale progetto. Dal lato opposto (Quarto d'Altino) non è mai emerso a livello dell'acqua, né sui fondali in prossimità della riva, un manufatto a pianta quadrata tale, da sostenere il ponte in discussione. Ci si deve pertanto rivolgere ad un seconda opportunità. 

L'inalberamento della Claudia

E tale opportunità considerata di tutt'altro assetto, si sarebbe potuto  evidenziare dalla posizione inalberata che la Claudia avrebbe assunto durante l'attraversamento del fiume Sile.
L'inizio della presunta attivazione avrebbe avuto consistenza presso l'attuale casa D'Este, dove durante scavi per le fondamenta, emerse un blocco di marmo ritenuto inamovibile. E' quindi possibile che le colonna verticale di stazza robusta sia stata appositamente sistemata a sostegno del ponte presso l'alloggio dell'odierna famiglia
Diversamente a Musestre, non è mai emerso nessun blocco di marmo, col quale a ragion di logica, avrebbe dovuto collegare quello emerso dalla località opposta. Per quanto riguarda l'altezza del ponte sulle acque del fiume, s'ipotizza fosse stato previsto il transito dei navicelli a vela, ad una quota quindi di notevole rispetto. 

Stando quindi ai rilevamenti del De Bon, il ponte "traversava diagonalmente il fiume" sino a raggiungere l'odierna chiesa di Musestre, "eretta", aggiunge il ricercatore,  "sull'aggere stesso della Claudia". In tal caso la colonna emersa a Quarto d'Altino  si sarebbe trovata secondo nostri rilevamenti, partendo ovviamente dall'attuale margine del Fiume a casa D'Este, a circa metri 30 di distanza. Misurando ovviamente la traiettoria in diagonale come intende il De Bon.
Ma neanche questa interpretazione sarebbe possibile in quanto la retta trasversale avrebbe sommato 90 metri in totale. Contando ovviamente anche la larghezza del fiume. Un viadotto dunque, molto sviluppato in estensione e praticamente quasi impossibile da realizzare.
Ma questi elementi ipotizzati, si possono soltanto chiarire mediante uno studio archeologico diretto sapientemente. Pare però, che i maggiorenti dell'ambiente archeologico, quelli che godono di maggiore prestigio, non siano disponibili per una ricerca avanzata. Neanche per sondare il fondo del fiume indicato dal De Bon. E se davvero il ponte fosse stato eretto e aperto in tale direzione, dovrebbero emergere i resti.  

Un secondo controllo effettuato sul posizionamento del suddetto alloggio D'Este, eretto circa durante gli anni 50/60 del novecento,  indica esattamente il punto in cui secoli dopo, venne aperto il ponte "diagonalmente al fiume" col relativo transito della Claudia.
E infatti direzionando l'occhio verso la chiesa di Musestre, si nota senza temere smentita, la traiettoria obliqua ma in linea retta tra i due manufatti.(19) (Cioè la chiesa e casa D'Este)

(19) Secondo dunque il De Bon, la Claudia "traversava diagonalmente il fiume sino a raggiungere l'odierna chiesa di Musestre". Un controllo sulla medesima diagonale, ha dimostrato rispetto alla chiesa e casa D'Este una visibile, precisa e adeguata corrispondenza. Punto nel quale secoli dopo veniva eretta l'abitazione della suddetta famiglia. Dagli scavi per le fondamenta emerse un basamento di roccia non rimuovibile. Venne perciò bitumato con la struttura portante della stessa abitazione. 

Dalla Magra del Sile emergono 
i resti della Claudia

(Capoverso n° 26)

Dalle indagini del De Bon sembrerebbe dunque impossibile sia potuto cadere in errore, se oggi dovessimo valutare il posizionamento del ponte aperto sul fiume Musestre. Salvo che i romani non ne avrebbero eretto inutilmente due, l'uno sul Sile, l'altro come indica la cartina dell'illustre ricercatore, sul medesimo fiume detto Musestre, formato come lo è tuttora, da due alvei retti ma separati l'uno dall'altro. Il transito della Claudia avrebbe così superato due fiumi (Il Sile e il Musestre) coi relativi attraversamenti. Ed ecco perché si dubita, secondo diversi studiosi, che il ponte eretto sul fiume Musestre in direzione obliqua come cita il De Bon, non sarebbe mai stato costituito. 
Una ragione comunque esiste peraltro plausibile, resa certa dal fatto che qualora si fosse spostato la Claudia di un centinaio di metri in direzione di ovest, (Verso la Torre di Musestre a lato del recente Quarto d'Altino) si sarebbe così risolto l'attraversamento di due fiumi con un solo ponte. E così pare sia stato fatto. 
In ogni caso lo stesso De Bon, sembrerebbe avesse avuto dei dubbi sul primo assetto stradale proiettato diagonalmente sul Sile, in quanto su due foto scattate presso il castello di Musestre, dove le rovine della Claudia si mostrano evidenti quanto sul fondo del fiume in "Magra", dalle quali il De Bon annota a piè delle immagini "resti antichi sul Sile lungo la direttrice della Claudia". (S'intende sulla via Claudia) E dunque? 

Il ponte di Bronzo

(Capoverso n° 27)

Ringraziamo comunque il De Bon per le sue preziose ricerche. E se caso mai non fosse riuscito ad individuare il punto esatto, cosa non grave peraltro, ha potuto consegnare alla storia locale la possibilità di sognare quel ponte che secondo tradizioni popolari, venne realizzato in materiale di Bronzo. Sarà forse questa la causa per la quale il ponte rovinò sotto le spinte e le rapine popolari?
Quel che appare certo sono le realizzazioni degli industriosi architetti romani, i quali durante l'epoca in corso non conoscevano limiti progettuali di bellezza, per una strada diretta nella Germania tutta da conquistare. Caso mai, viene da chiedersi perché mai un ponte di bronzo.  
Scandagliando i fondali potrebbe comunque emergere dei residuati, per quanto sino a prova contraria, non si conosce se mai si farà. Frattanto quel ponte scomparso, porterà con se l'inebriante profumo unico nel suo genere, di un mistero profondo. 
D'altra parte il mio intervento sui rilevamenti del De Bon, è stato dettato solamente dall'eventualità riguardante un esame critico locale e quindi da approfondire. In ogni caso, si confida visto la prova da superare,  un possibile intervento archeologico che coinvolga l'intero paese e i politici di Quarto d'Altino. Un esame dunque e una ricerca utile per la provincia veneziana, mai apparsa peraltro sui testi degli odierni  storici. (20)

(20) I dettagli qui diffusi sul ponte presunto, e che in ogni caso esisteva, non sono mai apparsi sui testi dei nostri esaustivi storici. I quali secondo indice universale, parrebbe fossero dotati di tutti quegli elementi necessari, per garantire una ricerca minuziosa e credibile. Eppure a riguardo, nulla scrivono e manco ne parlano. 

Presso il fiume Sile emersero di recente, alcuni
reperti attestanti la Via Claudia Augusta  

Fermo restando, quando nel1935 durante gli scavi per le fondamenta delle scuole elementari, vennero alla luce decine di anfore romane

(Capoverso n° 28) 

L'episodio che andiamo a narrare, non ha nulla a vedere coi ritrovamenti dell'illustre ricercatore, (De Bon) e neanche con i preziosi rilevamenti dei Sub di Mestre e meno ancora, con le anfore emerse durante  l'erezione per le scuole elementari. 
Si tratta bensì, del rinvenimento di alcuni reperti di marmo tra cui uno di enorme portata, collocati a circa 30 metri dal greto del fiume Sile. A nostro avviso erano riconducibili, al rettilineo della via Claudia Augusta con sfocio al porto di Quarto d'Altino. E spiego perché.

Dopo l'emersione, vennero fatte delle indagini dai proprietari del fondo, senza capire in realtà di cosa si trattasse. In seguito ad un consulto richiesto alla famiglia D'Este, avanzai la probabilità che i blocchi fossero i resti del fondo stradale della Via Claudia Augusta, meglio nota allora come Lagozzo. Mi venne così il sospetto più o meno motivato, che da quel punto la strada iniziasse lentamente a sollevarsi dal piano di campagna,  da permettere anzitutto, il transito ai battelli guarniti di alberatura a vela e attraversare il fiume presso l'odierna località di Musestre. Al momento però mi parve soltanto un'estrema presunzione basata su pochi indizi. 

In seguito mi rivolsi al più anziano della famiglia, dal quale appresi alcune notizie sull'alloggio colonico dove abitavano prima dell'odierno stanziamento. Per quanto riguarda invece la presenza dei blocchi di marmo emersi dagli scavi della recente abitazione, non avevano per il capofamiglia nessun significato. 
Non lo aveva neanche per il più giovane, al quale chiedendo le caratteristiche strutturali della pietra, la più rilevante s'intende, diceva trattarsi di un blocco enorme e inamovibile. 
E così, iniziando le indagini in qualità di appassionato per la storia di Roma, mi sentivo in un primo momento piuttosto incerto se proseguire o meno, altrettanto determinato però nel risolvere la questione. E quando mi applicai privatamente e in modo ragionato sui rilevamenti del De Bon, i dubbi divennero certezze. 

commentandole, pensai di annotare il tutto per iscritto, ma non trovando soluzioni possibili né appoggi idonei per un evento cartaceo, mi affidai pubblicando il caso su Internet. (all'epoca infatti, avevo abbandonato i testi e la divulgazione sugli opuscoli parrocchiali) 
Un sistema in realtà, scarsamente utilizzato dal sottoscritto, ma che tuttavia, farà del suo meglio per rendere comprensibili i concetti con i quali l'autore sa meglio esprimersi. (Vedi più avanti)  

Frattanto, emersero alcune foto d'epoca risalenti al primo novecento, laddove il porto in S. Michele del Quarto si mostrava attrezzato per l'approdo di zattere e galleggianti a vela, collegato alle attività commerciali  locali e quelle dirette sull'Adriatico. Un mare che allora Venezia aveva reso tranquillo ai naviganti diretti sulle coste dalmate, al porto di Ravenna e oltre. (21)   

(21 - segui sotto su idem) - La storia sino a qui sviluppata, tratta di una narrazione ritenuta più che verosimile, da garantire ai lettori e agli storici disinteressati, una somma di elementi emersi nonostante l'assenza di documenti probanti. In realtà non lo sono completamente, se si esclude come avevo annunciato, la proprietà veneziana sul porto di Quarto d'Altino e la ricerca storica svolta dal Pavanello. Del resto lo sono anche le azioni omertose praticate dai comandi francesi e austriaci sulla servitù del medesimo porto, che peraltro non hanno mai dibattuto.

(21 idem - E non ci sembra neanche tanto azzardato includervi l'esistenza presso l'odierno S. Michele Vecchio, di un vico agricolo ritenuto per l'ampia stensione produttivamente importante per Roma e che nel corso delle puntate ripeterò ogni qualvolta tratteremo sull'argomento.. Ebbene in quella zona, i prodotti raccolti venivano trasportati al porto in S. Michele del Quarto e destinati nelle varie località lungo il Sile, sino a Treviso e in seguito sulle coste dell'Adriatico. Dunque lo scalo portuale esisteva.   
Vi sono pure incluse alcune foto probanti la presenza del porto presso l'area golenale di Quarto d'Altino e inoltre, i blocchi di marmo emersi dagli scavi per le fondamenta dichiarati dalla famiglia D'Este. ecc. ecc. infatti, senza la mia ricerca, nessuno avrebbe mai sospettato il motivo per il quale il porto di Quarto d'Altino preesisteva per dirla alla Pavanello, già dall'anno di grazia 996 d.C.... e chissà quanto prima. 

(21 idem - Non e conosciuto peraltro, il motivo per cui il porto non venne mai ristrutturato alla stregua di quelli stanziati nel trevigiano, per quanto è possibile oggi ipotizzare quali fossero le cause. La prima si collega a nostro avviso, per motivi d'opportunità ambientali il cui scrittore o storico di turno, attribuiva più importanza ai luoghi di sua frequentazione che ai fatti storici accaduti presso il porto di Quarto d'Altino. La seconda ipotesi, sembrerebbe provocata da una strategia negazionista, finalizzata a confutare l'esistenza del porto altinate. Non si capisce però, a beneficio di chissà quale causa se non la propria a cui va aggiunta la supponenza dello scrittore di turno. Un termine questo che rivela un'inqualificabile condotta di presunzione, credendo che i ricercatori dilettanti non avessero mai raggiunto ciò che effettivamente esisteva durante quell'epoca. 

(21 idem) - E per di più, ci mancherebbe che la storia sugli eventi di un lontano passato, avesse pure riportato l'intera e compiuta narrazione relativa al porto. E ne saremmo davvero stupiti quando per lunghi anni venne persino evitata dagli occupanti austriaci e francesi. Per quanto riguarda invece l'attivismo della politica locale, indispensabile per gli accertamenti, qualcosa avrebbe potuto apprendere qualora i nostri eroici e silenti storici, glielo avessero fatto notare. 
Va in ogni caso rilevato, che qualunque politico succeduto a quelli del 1948, possedevano occhi per cogliere la tragedia avanzata che tuttora sta dissipando il fondo del porto altinate. Una catastrofe che ancora oggi, spreca e dilapida coscientemente l'area golenale di Quarto d'Altino. Ma più tragico ancora è la mancata segnalazione ai vertici della Regione del Veneto, che potrebbe finalmente porre a termine, l'inaudito dispregio del fondo.
   
(21 idem) - Citeremo in più, ciò che sinora non è mai stato registrato per uso storico amministrativo, quel macigno di grosse proporzioni emerso presso casa D'Este. Né a quanto si conosce, venne mai  osservato, studiato e valutato dagli archeologi, i quali loro malgrado, sembrerebbe non ne sapessero niente. E se pure quel masso avesse avuto le premure e i giudizi archeologici risultava comunque evidente la direttrice della Claudia diretta al porto. 
Punto nel quale la Via già mostrava da anni la propria immissione al fiume, in particolare sin dagli anni in cui, visualizzando l'area dall'alto del campanile, veniva ripreso fotograficamente la conclusione al fiume. Il sospetto dunque c'era già a quei tempi, ora però con l'avvento dei reperti è divenuta certezza. 

(21 idem) - Ma la  ragione per la quale il transito della Claudia, avesse superato il fiume iniziando proprio da quel punto, lo si deve comunque ai reperti emersi. Dai quali come si suppone da indizi verosimili, iniziava un viadotto sospeso nell'aria (aereo) transitando al di sopra del fiume Sile. E oggi appare più chiaro di quanto già lo fosse, la presenza di un porto guarnito di carico e scarico per le derrate e merci provenienti dal vico agricolo in S. Michele del Quarto. Uno scalo portuale insomma  aperto da Roma tramite il corso della Claudia, che provvedeva in larga parte all'imbarco dei prodotti coltivati al Vicus presso l'attuale S. Michele Vecchio. 
 
(21 idem) L'orgoglio di non appartenere ad una comunità politica congelata nei valori 

(21 idem) - Non è esclusa dai mancati provvedimenti istituzionali, nessuna rappresentanza politica eletta in loco sino ai nostri giorni e che a nostro avviso, avrebbero già dovuto per decoro, orgoglio e dignità personali quanto per rispetto al paese, riportare il porto e l'area golenale di Quarto d'Altino ai livelli originari. Uno scalo portuale dunque, che non ha uguali né precedenti per spazio, comodità e antichità lungo il Sile, dove l'attività regionale dell'epoca non esclusa quella locale, badarono unicamente a quelli del trevigiano.
Oramai da anni il fondo in questione tende a regredire e a ridursi in fanghiglia scomparendo lentamente tra i fondali del fiume. Non a caso i prodotti fotografici pubblicati qui dal sottoscritto, provano la gravità del caso, unico nel sistema del Sile, a tutti coloro i quali vivono tuttora nell'incredulità. 

(21 idem) L'inizio dell'inefficienza sui principi fondamentali del proprio ambiente condotto ad effetto sull'area in discussione, ebbe luogo a partire dall'epoca democratica istituita il 1° Gennaio 1948, e d'allora non si è mai interrotta.
Sono quindi 74 anni e più, con i quali la golena e porto aspettano restauri di fondo, in conformità a quanto appare chiaro a chiunque possiede occhi per vedere, rapportandoli alle are portuali  della Marca. D'altra parte, si tratterebbe anche di qualità e di prestigio personale qualora si osservino quelli eretti per l'appunto nel trevigiano. 
Lo scalo portuale di Quarto d'Altino, antico per carattere in quanto preesistente all'anno 996 d.C. non è infatti secondo a nessuno, neanche per tradizione a quelli aperti dopo il transito della Claudia sul fiume Sile coll'evidente porto di scalo. 

(21 idem) Si rammenta perciò ai politici, tutti compresi indistintamente, che il silenzio, l'omertà e l'ignoranza (in senso informativo) sono la peggiore malattia dell'uomo ritenuto responsabile del proprio ambiente, ma che a causa della politica travalica irresponsabilmente ciò che dovrebbe assumere la propria coscienza. Dignità, orgoglio, giusti provvedimenti e attenzione scrupolosa sono le componenti necessarie per il conferimento e la cura adatta, per la riqualificazione dello scalo portuale quanto la golena in Quarto d'Altino.
Anche in senso culturale qualora sia progettata di concerto coll'attività turistica, che già le aree portuali del trevigiano posseggono da anni.  Vorrei a questo punto citare, non per innata predisposizione o per malanimo, che il paese di Quarto d'Altino è per davvero bloccato all'antipode della storia, diametralmente opposto a ciò che dovrebbe riservare il terzo millennio.   

I reperti emersi presso l'alloggio della famiglia D'Este e, l'utilità di un osservatorio dal quale individuare le vestigia delle strade romane. 

(Capoverso n° 29)

Un arco di tempo durante il quale oggi, i reperti apparsi non da ieri nei pressi del fiume Sile, vennero segnalati dai proprietari del fondo dove la famiglia D'Este eresse il proprio alloggio. Ciascuno degli elementi recuperati veniva individuato come la componente di qualcosa di utile, ma non s'immaginava quale. L'evidente posizione però, come del resto l'orientamento dei marmi mischiati ad un  terreno piuttosto ciottoloso,  presupponeva una strada volta al fiume che avesse indicato la conclusione presso l'ampia zona portuale in S. Michele del Quarto. 

Oltre ai reperti, la via veniva anche notata (in veduta parziale) dal campanile di Quarto d'Altino, dove per mezzo dell'elemento fotografico, ci si rendeva conto già durante gli  anni cinquanta del novecento, del tracciato finale oltre a quello iniziale pervenuto dai dossi, della via romana. Motivo per cui l'industriosa componente del campanile, si rivelò di grande rilievo, al fine di svolgere un lungo metraggio visualizzante, con funzione fotografica di gruppo. Eppure tutto quello che noi avevamo osservato e dichiarato pubblicamente, pare sia sfuggito al sistema archeologico come alle stesse amministrazioni locali dell'epoca. 

Si dirà, ma che c'entra la politica con l'attività fotografica orientata a riprodurre le caratteristiche planimetriche dei fondi? Centra eccome qualora vi sia volontà comune di studiare, identificare e valorizzare il proprio ambiente. E se in seguito l'ambiente andasse a mutare le proprie caratteristiche originarie, verrebbe a questo punto riproposte le foto, esibendo i fondi nelle condizioni quali erano il costituirsi iniziale. (Per esempio, il dissesto idrogeologico dell'odierna area golenale) E questo ci sembra, l'unico metodo possibile qualora vi sia volontà di porre a riparo ciò che già sussisteva, a cui non si è mai approdato a nulla.   

Il tracciato stradale più chiaro, su di un fondo scuro

Ma se l'osservatorio fosse stato elevato tanto quanto quei dieci metri interrotti e citati sopra, si sarebbe potuto individuare molti elementi in più, di quanto già si notava dalla generosa elevatezza del campanile. Sicuramente più di quanto all'epoca si notavano i tracciati viari andati distrutti dalle arature dei fondi di Altino, dai quali scaturiva sui colli più alti, una striscia chiara lunga  circa 30 passi e larga tre, su di un fondo laterale più scuro
Si presumeva allora, secondo alcuni cultori dilettanti interessati alle vie romane che là, dove appariva la traccia, transitasse la cosiddetta via dell'Annia. Qualora questa ovviamente, non fosse stata scambiata per una delle tante vie minori interne alla città. Ma quando giungemmo sul luogo, individuato peraltro coi binocoli della seconda guerra mondiale, non notammo traccia alcuna né diversità di tinta per quanto il terreno ci fosse apparso compatto e ben lisciato per delle probabili semine. Si trattava evidentemente di un abbaglio derivato dal sole. 

Ma quando giorni dopo ritornammo sul loggiato, riscontrammo la medesima scia (A tratti in realtà) e la vedemmo tanto bene da non sussistervi dubbi. E tanto più che in quella giornata mancava pure il sole dal quale giorni prima avevamo sofferto l'abbaglio. 
Un'immediata e seconda escursione, registrò nuovamente l'inesistenza di quanto avevamo notato dal campanile, per quanto ottenuta da una distanza chilometrica non accertabile. Perciò il dubbio combatteva alterando la ragione di noi stessi. 
Poco dopo però, il fenomeno veniva alla luce non in senso sgargiante e  malgrado la difficoltà di veduta fosse notevole, la scia creduta inizialmente "ciottolosa," non appariva ai nostri occhi chiaramente fondata, bensì decomposta dai secoli in granuli bianchi, accreditati in seguito a qualunque tracciato viario. Secondo i controlli effettuati dai cultori, i ciottoli più rilevanti che mai riscontrammo sul luogo stesso, sarebbero ruzzolati a valle dalle secolari turbolenze e assimilati al canale collocato ai piedi delle alture.
Perciò, quella scia notata dall'alto del campanile, altro non era che un lievissimo strato di polvere mista a pietrisco di roccia rimasto impregnato sul terreno. Erano forse queste le bianche tracce suggerite dal transito della ipotizzata strada? 

Anni dopo udimmo dagli agricoltori che avevano il compito delle arature sui dossi Altino, una notizia decisamente sconcertante. Assicuravano  al gruppo che per l'occasione si era riunito per ulteriori accertamenti, che gli strati più alti dei rilievi erano stati abbassati per ordine superiore, evitando con ciò lo slittamento delle arature durante il periodo di riposo dei fondi. E con l'abbassamento andò perduto anche quella specie di ciottolata mista a polveri biancastre, che secondo gli estimatori aveva l'aspetto di un asse stradale. Avevamo dunque individuato qualcosa d'importante? Non lo sappiamo. Caso mai, restiamo in attesa di un responso archeologico.    

L'ampio e utile servizio fotografico, potrebbe rivelarsi un reportage di valore storico.  

(Capoverso n° 30)

Ora quei monticcioli in rilievo, (I dossi di Altino) appaiono coltivati a prato, coperto di erbe spontanee riservate all'allevamento delle mucche da latte dell'agenzia di Altino. L'alberatura si è fatta invasiva e quei colli biancheggianti visibili pressoché all'apice dei rilievi, ora non si notano più. 
Molti anni dopo vennero rialzati gli argini del fiume Zero, (metri due) dal quale una ditta assunta con l'onere di scandagliare il fondo, emerse dalla fanghiglia un mucchio di mitili. E avvicinandomi mi accorsi che non era un pescato istantaneo, bensì si trattava mediante l'apposita fenditura aperta, l'evidente nutrimento umano già consumato dai pescatori di chissà quale epoca. A prima vista il cumulo di cozze, sembrava una sorta di ostricaio buttato affrettatamente nel fiume a guisa di grumo, segno probabile di un abitazione, si suppone romana, collocata presso il corso d'acqua. 
E chi altri avrebbe aperto i mitili dopo averne ingerito il contenuto, se non gli abitanti dell'antica città? Non lo avrebbe certamente effettuato l'odierno pescatore il quale, dopo aver recato a casa la prelibatezza, le avrebbe senza ombra di dubbio, disperse nell'immondezzaio di casa.  E non certo riportate dopo chilometri di cammino sul luogo stesso dove mi apparvero. Scrutandole alla luce del giorno, mi parvero peraltro ben conservate.

L'ampio servizio fotografico  di valore storico.

L'ostricaio emerso e portato alla luce da una benna montata su zattera, veniva scaricato sopra l'argine le cui acque fangose precipitando tra le fughe del terrapieno, mettevano allo scoperto il grumo di mitili. Poco dopo venne puntualmente fotografato dal sottoscritto senza immaginare di cosa si trattasse storicamente. E dopo aver studiato il caso, convenni sul fatto che fossero di stanzia antica, e oggi mi rendo disponibile per chi o quanti intendessero esaminare le foto, favorendo anzitutto l'archeologia locale, impegnata per lo studio di ricerca su l'antica città di Altino. Sarò a loro completa disposizione, se richiesta. 

Alla quantità dei mitili riuniti in ammasso, si notava come già accennato, anche il rialzo degli argini mezzo la fanghiglia del fiume Zero, sul quale si era già prodotta la deviazione delle acque mezzo due grossi manufatti. La diversione programmata era costituita da due ponti con altrettanti sbarramenti per l'acqua salmastra, affinché questa non avesse potuto durante il periodico innalzamento delle maree, invadere a monte il proseguo del fiume. Dell'intera opera fotografica, il sottoscritto detiene un ampio servizio  e che a Dio piacendo, potrebbe costituire una riguardevole testimonianza di valore storico. Al tanto, si dovrebbe pure aggiungere l'emersione dell'ostricaio con tutti i ragguagli prospettati nella relazione cui sopra. Un secondo dettaglio ritenuto più o meno importante va comunque rilevato, quando durante il periodo delle escavazioni, emerse secondo voci pervenute dal museo di Altino, frammenti murali relativi ad abitazioni d'epoca romana, occupate però dagli altinati prima della fuga nelle isole lagunari. E ciò lascia intendere, che anche l'ostricaio emerso risalisse proprio a quell'epoca.          

Ritornando al campanile, veniva notarsi a stento il cosiddetto fossato chiamato "dei Battelli", e per quanto avessimo in dotazione i binocoli militari, si percepiva soltanto il movimento serpeggiante tinto scuro, determinato dal vuoto erbaceo tra le due coste del fiumiciattolo. 
Ma prima di questo, dovevamo accertarsi dall'alto della Torre, se la linea del tracciato viario diretto per Oderzo corrispondesse ai comunicati dei miei predecessori. Ma l'elevato seminato a granaglie obbligava portarsi sul luogo stesso indicato dal fossato. E seguendo con l'occhio di chi da ragazzo aveva udito tramite il nonno Florindo (Classe 1870) il tracciato della via, dove di lato correva più o meno il canale dei Battelli (Il citato fossato) l'individuai in direzione del Sile presso l'attuale Cà delle Anfore. Si trattava allora di una mezzadria di origine seicentesca laddove tra il 1847 e il 1937, abitò la famiglia Bonesso detto "Grande"  (Mia diretta capostipite generosa di  ricordi) 

Sull'ampio spazio appositamente conservato tra la casa colonica e il rettifilo diretto per Oderzo, non soggetto attualmente da ogni sconvolgimento edilizio(P.S) emersero molti reperti di origine romana. Poco dopo vennero alienati dal nonno al mercato di Treviso, dal quale si convenne per opinione comune, che là transitasse la via per l'antica Opitergium. Queste insomma le scoperte dell'epoca e tutto sommato, col taciturno e socievole intervento del campanile.
 
P.S Il citato rettifilo per Oderzo iniziava secondo il nonno, dall'odierna strada comunale diretta per Quarto d'Altino. E proseguendo per mezzo di un ponte sul Sile, transitava nel trevigiano.

La Torre utilizzata a scopo archeologico

(Capoverso n° 31)

Cosicché l'utilità del campanile giudicato alla stregua di un osservatorio militare non comune per l'epoca in corso, si sarebbe reso utile se non indispensabile a qualunque rilevamento, purché in zone non troppo lontane. E non a caso la Torre si rivelò a tal fine utile se non unica nella circostanza. Dai riscontri non è ovviamente escluso la visualizzazione del rettilineo e lo sfocio della Claudia al porto di Quarto d'Altino, dove come citato innanzi, emersero i reperti dei quali più avanti, daremo spiegazioni più dettagliate. 
Il campanile dunque, nonostante l'irremovibile indolenza degli influenti personaggi locali, si rivelò di una importanza a dir poco notevole. Insomma questi, nell'udire le ricerche effettuate del gruppo locale, il trattamento a danno della Torre iniziò lentamente a mutare. Ma non tanto poiché poco dopo, venne escluso, "dal patrimonio culturale e naturalistico inserito nel sito Unesco, Venezia e la sua laguna". 


La recente emersione archeologica riguarda in particolare, il centro di Quarto d'Altino.

(Capoverso n° 32)

I reperti di portata minore emersi dagli scavi per le fondamenta di casa D'Este, rimasero sepolti e utilizzati ad uso basamento, tranne il più pesante ritenuto a quei tempi inamovibile. Impossibile quindi da togliere o separare dalla struttura che stava per nascere, perciò venne lasciato come peraltro era previsto, nella sua predisposizione originaria. 
In seguito venne collegato alla fondamenta di base (al nucleo portante) e quindi ricoperto col calcestruzzo, irrobustendo la struttura del nuovo fabbricato. 
Non prima, come del resto sembrava ovvio alla famiglia, di darne notizia alle autorità comunali per l'edilizia locale. E' dunque possibile che i rilievi emersi siano stati segnalati o compilati per iscritto dal personale del Comune dell'epoca.


Figura n° 13. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso, Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Foto eseguita sotto il ponte automobilistico di Quarto d'Altino dove si nota l'ombreggiatura trasversale del viadotto. 
L'attiraglio durante gli anni 50 del novecento consisteva nell'utilizzare il traino dei Burchi mezzo cavalli o buoi e talvolta, anche mediante l'attivazione umana. 
Cosicché, a fronte di un corridoio golenale che andava frattanto a restringersi, i "cavàlanti" preoccupati dal moto ondoso, riattivarono il transito a loro spese piantumando piccoli tronchi di contenimento.  I resti sono ancora evidenti. Tradizionalmente, si aggiungevano, anche alcune persone praticanti la pesca. I resti fotografati durante gli anni /80/90/ del novecento, oggi non si notano più.



Figura n°14. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Foto eseguita sotto il ponte ferroviario di Quarto d'Altino. Vedi un lontananza il ponte automobilistico tra Quarto e Musestre. Il riferimento fotografico è perfettamente uguale alla dissertazione riferita nella precedente foto n° 13. 
Una nota in più fa capire quanto importante fosse la golena per la Serenissima Repubblica di Venezia, la quale dovendo transitare sul fiume, da e per il porto di Quarto d'Altino, utilizzavano in mancanza dell'areazione a vela, la spinta a remi oppure l'attiraglio a noi conosciuto durante gli anni 50 del novecento. (Continua)

Sui contermini laterali della golena ritenuti di stretta misura, transitabili comunque per l'animale, veniva ovviamente accompagnato dal "cavalante". Il quale per far fronte alla situazione preferiva, procedere sotto i ponti senza disfare la legatura al basto degli animali legati al burchio. Usualmente però transitavano sopra l'argine, finché gli ingombranti e ritardatari viadotti non si fossero opposti al loro cammino. In tal caso il "cavalante" doveva obbligatoriamente togliere la legatura all'animale, rimettendola dopo il ponte..... oppure transitarvi sotto, senza l'obbligo di legature e successive allacciature. (Continua)

Lungo il fiume si provvedeva anche allo sfalcio di qualunque forma alberata o di piante in crescita ritenute ingombranti per il corso degli animali. Non disturbavano invece gli alti canneti che a contatto con la fune tesa, flettevano per poi rialzarsi
Le tracce delle palificate evidenti nella foto, scomparvero durante gli anni 80 del novecento. I ponti menzionati non esistevano durante l'epoca veneziana.    


Figura n° 15. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia 

Descrizione immagine.
Si noti bene il proseguo della maltrattata golena di Quarto d'Altino dove appaiono resti di ogni genere. L'area pressoché impresentabile in senso ambientale paesaggistico, potrebbe mostrarsi deleteria ai giovani e ragazzi, in quanto sulla zona non investita dall'acqua, alloggiano spuntoni acuti di legno e di materiale reticolato. Evitare dunque per quanto possibile, il calpestio della zona.



Figura n° 16. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso.
Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia.

Descrizione immagine.
Vedi il fiume "Musestre" in località Musestre di Treviso protetto da una palificata di sbarramento. L'attività tradizionale volta alla conservazione del suolo, procede senza sosta nel territorio trevigiano.

La magra del Sile e le tracce del ponte crollato rilevate da foto private.

(Capoverso n° 33)

Quel pezzo di marmo enorme, pesante e immobile piantato sul terreno di casa D'Este, indicava come segnalato sopra, il tracciato della via Consolare diretta al fiume Sile. I residuati infatti trovandosi a breve distanza dalla golena, fanno potenzialmente confluire l'antica strada presso il porto sul Sile.  Partiva da Sud-Est di Altino e superando l'ultimo e odierno fabbricato di proprietà della famiglia D'Este, si lanciava secondo il De Bon, senza mutare la propria andatura rettilinea, nessuna direzione di svolta neanche di fronte all'ampiezza del fiume Sile. (22)

Uno sbocco dunque pressoché diretto sull'odierno scalo portuale, dove il terreno pianeggiante della golena più vasto in antichità dei margini attuali, veniva  sommerso nei periodi di piena. (22 idem)  Ma  grazie al rilievo in altezza della Claudia, più o meno come l'attuale arginatura del fiume Sile, riprendeva il suo corso nella direzione segnalata dal De Bon. Ma secondo ulteriori accertamenti aerei e in opposizione a quanto asseriva il noto ricercatore De Bon, voltava a sinistra in direzione di Ovest. E dopo circa 200 metri, deviava a nord su di un ponte presso il castello di Musestre dove oggi qualcuno ripete, trovarsi le tracce.

D'altra parte, le testimonianze del ponte crollato sono anche accertabili tramite una vecchia foto anni venti, dove il fiume durante un'importante magra, mostra sulle fanghiglie del fondo, le rovine del ponte. 
In più, si nota la linea continua marcata dalle acque lungo l'argine durante il corso normale del fiume. Nei pressi appare un probabile abbeveratoio per animali, realizzato a nostro avviso coi resti della Claudia. (La foto citata relativa agli anni venti circa, non è pubblicabile per motivi di ordine personale se non richiesta in visione. Non è di origine pubblica bensì privata)   

Da quei tempi ad oggi,  non si è mai provveduto nel nostro paese, a diffondere la già diffusa notizia su casa D'Este. Laddove in vista di un possibile annuncio di taratura storica, causata a nostro modo d'interpretare il fatto, dall'emersione di residuati marmorei attribuibili al corso oramai certo, della Via Claudia Augusta. Né l'evento divenne oggetto d'interesse mediatico, neanche col probabile incontro al porto di transito, rilevato dal Pavanello preesistente all'anno 996.  
Tutto sommato, la certezza che prima non c'era, se non l'ipotetico rettilineo della Claudia, ora c'è, e deriva ovviamente, dall'emersione dei resti marmorei. E su questo non vi sono dubbi. 

Del resto si sono perdute,  anche le tracce dei residuati di marmo emersi durante gli scavi, compreso quello sul fondo della fondamenta rimasto a reggere  l'alloggio della famiglia D'Este. 
Vestigia e prove palpabili quindi non ve ne sono, se non la testimonianza diretta della suddetta famiglia. A meno che, qualcuno non sia dell'avviso di ribaltarne sossopra l'alloggio. 
Per tali cause la Claudia col suo porto, non escluso i resti emersi da casa D'Este, non vennero mai sottoposti agli accertamenti archeologici e non solo locali, né mai furono resi fisicamente conosciuti all'Unesco, quando pure nel 1997 si discuteva sul "patrimonio culturale e naturalistico del Sile da inserire nel sito Unesco e la sua Laguna". 
E tanto meno in quell'occasione venne discussa l'emersione di portata storica, (22 idem come sopra) mai venne riferita al Parco del Sile, che ignaro del fatto, risiedeva e tuttora soggiorna in provincia di Treviso. 

(Vedi nota n° 22) Vedi al capitolo N° 8, su paragrafo pagina interna dal titolo "L'emersione dei blocchi di marmo" in cui si narra la vicenda durante la quale venne eretto l'alloggio della famiglia D'Este sulla diretta traiettoria della Via Claudia Augusta. Vi è inoltre una cartina disegnata a mano dove si distingue il punto in cui si stanziava l'ottocentesca mezzadria D'Este di proprietà Giulay. 

(Vedi nota n° 22) Vedi al capitolo N° 9, su paragrafo pagina interna dal titolo: "Il preesistente porto di Quarto d'Altino enunciato dal Pavanello". 
Noto studioso per la storia locale nacque a Meolo nel 1871 (VE). Durante alcuni studi su S. Michele del Quarto col suo porto, oggi situato nel recente Quarto d'Altino, lo collocava già preesistente all'anno 996. Periodo in cui Ottone III concedeva al grande Orseolo un porto (preesistente) e un mercato com'è noto, aperto nel vecchio S. Michele del Quarto. Con tale assegnazione il Pavanello, elimina tutte quelle voci tendenti ad assegnare la presenza del Porto alla propria Provincia, se non addirittura al Comune stesso dove alcuni storici di nome, vi soggiornano. 
E se dunque il porto di Quarto preesisteva già all'anno 996, come del resto asserisce il Pavanello è anche attendibile la costituzione di un porto ad uso commerciale sui prodotti agricoli e derivati provenienti dal "Vicus" agricolo in S. Michele Vecchio. Ma i narratori odierni ritenuti pari ai mercenari di un tempo, in possesso peraltro di arbitrari poteri in quanto titolati, non ammetteranno mai l'attività agricola fondata a S. Michele Vecchio, reso noto del resto, durante l'occupazione di Roma. In seguito le derrate agricole venivano dirette per Treviso, per lo stesso Altino, al mare Adriatico con sosta al porto di Ravenna.   

(Vedi nota n° 22 idem) La golena del porto di Quarto d'Altino si mostrava già dagli anni cinquanta del novecento, (epoca della mia giovinezza) più ampia di quanto si nota oggi. La differenza si nota anche nell'immagine fotografica della "Chemen de Fer italienne. (La foto non viene pubblicata come già annunciato, per motivi personali se non richiesta in visione)
Figuriamoci in antichità laddove il Sile, non avendo la stessa ampiezza del corso attuale, veniva di conseguenza ad ampliarsi anche il terreno della già spaziosa ed estesa golena. Attualmente, la zona pianeggiante situata tra il corso d'acqua e l'argine, appare oggi in netta riduzione. 
E' comunque rilevabile da immagini d'epoca che, qualora comparate a quelle recenti con finalità di restauro, si potrebbero demandare alle relative amministrazioni locali, al Demanio proprietario dell'area golenale e alla Regione del Veneto. Sarebbe curioso sapere cosa ne pensano.     

(Vedi nota n° 22 idem) La riduzione riguarda in larga parte anche la misura in lunghezza dove sino a poco tempo fa, la golena raggiungeva il ponte pedonale superando quello ferroviario, zona in cui stazionavano i battelli dell'epoca. Anche in questo caso, l'estensione del fondo coi navicelli in ormeggio è documentata da ampie realizzazioni fotografiche. La riduzione del suolo ripetiamo, è determinata dalla progressiva erosione prevalentemente causato dal moto ondoso prodotto dalle imbarcazioni a motore.
Per quanto riguarda lo stazionamento dei navicelli citati sopra, sono testificati da foto dell'epoca, cui va esclusa la pubblicazione se non richiesta in visione.


Figura n° 17. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Non vi sono termini adatti per giustificare la determinazione dell'azienda comunale di Casale sul Sile, nel difendere il proprio porto dalle alluvioni e del ritorno dell'onda provocato dai motoscafi. Conserva e protegge il proprio suolo, piantumando come si nota nella foto, centinaia di metri di palificata. Ed è ciò che raramente si è verificato presso il comune di Quarto d'Altino, considerato a quanto risulta dalle realizzazioni inferiori al minimo indispensabile, un sobborgo di terza categoria.
L'attivazione dei tronchi di sbarramento prevalentemente attuata sul territorio della Marca, fa sorgere il ragionevole dubbio di trovarsi di fronte a dei favoreggiamenti a danno di terzi. Non è dato a conoscere da quale fonte siano pervenuti tanti e tali finanziamenti, anche se non è difficile prevederli. L'operazione con cui si finanzia qualunque attività a beneficio del proprio territorio, è un fattore di utilità necessario che prevede un capitale di spese per l'esercizio. E per il quale, Quarto d'Altino non ha mai richiesto, né ritenuto di farlo, o saputo provvedere per la propria area golenale col porto di scalo.



Figura n° 18. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia.

Descrizione immagine.
Si noti la povertà ambientale di quella che un tempo fu uno scalo portuale divenuto in seguito molto importante per opera del doge di Venezia Orseolo II. Il supremo magistrato di Venezia lo rese inappuntabilmente funzionante e perfetto sotto tutti i punti di vista. Diversamente oggi si possono trovare numerosi reperti di origine antica rilevabili come si nota nella foto, da traverse di legno provenienti dai burchi abbandonati in comune di Silea sul Sile. In più, emergono dal nudo terreno pericolose sporgenze di pietra, oltre all'annosa e regolare sporcizia, provocata probabilmente dall'assenza di un appropriato servizio di ordine pubblico e di pulizia. Un fondo come del resto si nota, abbandonato da qualunque sistema civico e moderno. Non avviene altrimenti nei suddetti porti del trevigiano laddove appaiono pavimentati o bitumati ovunque.

Aspettiamo fiduciosamente un comunicato sui resti emersi presso la golena di Quarto. 

(Capoverso n° 34)

Tutto sommato, con riferimento ai resti archeologici, non sono certo di poco conto, se si considera il pregio della recente scoperta. 
Anzi è una novità in senso assoluto che segna, rileva e prova  il transito della via romana presso il porto. 
D'altra parte bastava soltanto seguire la direttrice dall'alto del campanile, per capire il punto in cui la Via avrebbe avuto sbocco. Vi sono invece delle ragioni per così dire ingiustificate, per le quali i reperti non sono mai stati resi noti in ambito locale e tanto meno avviati per lo studio archeologico. Né mai sono state diffuse notizie giornalistiche in senso locale, figuriamoci poi dalla  provincia o dalla stessa Regione impegnata a problemi di lungo corso.

Dispiace caso mai, non si sia provveduto, se si considera le pur tante parti in causa, a rendere vantaggioso il conseguimento del ritrovato che a nostro avviso, avrebbe portato lustro e implicito rilievo storico alla nostra località. E tanto più perché di recente il paese, ha anche assunto il titolo di "Città Archeologica".   
D'altra parte la prova più convincente dei ritrovamenti e di quanto ho potuto rilevare, non è dovuto al sottoscritto che riporta soltanto gli eventi dettati dallo studio di ricerca, bensì perché parte di questi, si devono a quanto rese noto a suo tempo, la famiglia D'Este residente oramai da tempo immemorabile a Quarto d'Altino. Se poi si considera anche il prelievo delle merci agricole dal Vico in S. Michele Vecchio e in seguito trasportate al porto, ecco dunque come veniva a chiudersi il panorama dei trasporti romani, nell'attuale Comune di Quarto d'Altino.

Un altro dato di fatto è il punto d'incontro tra la Claudia e il porto situato nell'ampia golena, dove la presenza dei blocchi emersi, fa concludere il transito a livello terra, non escluso quello aereo e la stessa conclusione del rettifilo iniziato da Altino. D'altra parte la strada sino al punto d'arrivo non reca alcun dubbio e se ve ne sono, riguarda soltanto la zona in cui, doveva secondo alcuni ricercatori, riprendere corso.
Un secondo controllo, si potrebbe attivare dall'alto del campanile, dal quale emergerebbe il limite pressoché esatto, dove l'antica traiettoria principiando da Altino, terminava presso l'odierna casa D'Este limitata al porto.
Da quel punto riprendeva corso il terrapieno della Claudia, (Alto quanto circa l'odierno argine del Sile) laddove l'ampia e spaziosa area golenale, permetteva alla Claudia di girare su se stessa e proiettarsi secondo ricerche svolte da diversi storici, in direzione di Ovest. E dopo alcune centinaia di metri, mutava direzione proseguendo a nord. 
Come si nota dalle tante ricerche ricavate individualmente, crescono altrettanti dubbi sull'esattezza del transito assegnato alla Claudia. I due punti essenziali rimangono comunque sempre gli stessi. 

Un incontro collettivo e chiarificatore determinerà l'episodio relativo ai reperti. 

(Capoverso n° 35)

Ma finché non si provvederà all'acquisizione dei rilevi emersi quanto dalla testimonianza dichiarata dai proprietari dell'immobile, (la famiglia D'Este) non sarà possibile rilasciare ufficialmente comunicazioni precise, eque e responsabili. E questo potrà accadere quando finalmente emergerà la consapevolezza pubblica quanto quella archeologica, per quanto il tempo da spendere sia loro prezioso, che unite dovranno dedicarsi  contemporaneamente su quanto è emerso presso il porto di Quarto d'Altino. Frattanto, attendiamo fiduciosi l'interesse dell'azienda comunale e di quanti si propongono per un incontro collettivo e chiarificatore. 


Figura n° 19. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
Idem come su foto n° 14. Si noti il voluminoso peso in acciaio col quale s'inseriscono nella profondità del fiume le palificate al porto di Casale sul Sile in provincia di Treviso. Tale provvedimento non è mai stato richiesto per il porto in S. Michele del Quarto, che di fatto viene eliminato dalla memoria storica causata dagli eventi citati sopra. Ma anche da fattori e situazioni a noi purtroppo ignoti, per quanto siano conosciute dalle rispettive e succedute amministrazioni locali. Ed ecco dunque come si profila la causa, per la quale la golena di Quarto d'Altino, oggi è travolta dal moto ondoso, con le conseguenze visibili nelle foto qui pubblicate. 

La deludente carenza promozionale 
volta al Porto, Golena e Campanile 

(Capoverso n° 36)

L'abbondanza di titoli per così dire adulatori assegnati in gran parte al capoluogo, ora Città archeologica, contrastano col solitario campanile che in fatto di meriti, patrimoni e culture ne avrebbe da vendere. E lo è senza ombra di dubbio, da supporre che la moltitudine di titoli assegnati alla cosiddetta "Città", impedisca al porto, golena, cittadinanza compresa, di rivivere la romanità vissuta presso il Quartum, a cui più tardi successe quella veneziana. Il tutto comunque appartiene, alla storia locale cui oggi fa capo l'odierno Quarto d'Altino, e questo mi sembra l'elemento più importante. Per quanto oggi, secondo la scarsa praticabilità e gli interessi della comunità riferiti alla golena col suo porto, è in netta riduzione. In ogni caso, non è possibile ignorare la storia anche se appartiene ad un lontano passato.  

 Una piccola frazione dell'allora S. Michele del Quarto cui si accenna in questo capoverso, è documentata durante il XIX secolo (1800) col titolo di "Campagnole".  

E come del resto si è già accennato, il porto, l'area golenale e il campanile, avvertono com'è logico supporre dalla temporanea mancanza di memoria, l'esclusione del loro stato in vita causato dalla mancanza organizzativa della politica e dagli obblighi di ricerca. 
Fatto di per se imperdonabile, se si considera l'assedio morale del Bonaparte dopo la caduta della Repubblica veneziana. E in seguito condotta più violentemente dal regime opprimente degli Asburgo. Non a caso i libri di storia ne parlano ampiamente e non sarebbe pertanto elegante e neanche opportuno eluderli dai ricordi dei nostri nonni e di quanti ci hanno preceduto, quando proprio questi usurpatori pur servendosi del porto in S. Michele del Quarto, non posero mai una riga d'inchiostro, utile per tramandarci le loro attività. Del resto, si sono pure dimenticati e non dobbiamo sorprenderci più di tanto,  di quel villaggio posto alla destra del Sile chiamato "Campagnole". (Frazione di S. Michele del Quarto)  

Quella piccola frazione cui oggi si notano ancora i resti, è documentata col titolo di "Campagnole". Apparve durante il XIX secolo, (1800) tra le carte del Lombardo Veneto compilate per cura dello Stato Maggiore Austriaco, e non dai medesimi occupanti siti in loco, cui l'odierna Azienda Comunale e quelle scorse, neppure conoscono né mai udito parlare. (S'intende dai rilievi storici) 
Eppure la conoscevano molto bene coloro i quali vissero quel contesto, quando recandosi al mercato istituito non si sa da chi, acquistavano prodotti caseari e vino dagli agricoltori della zona. Un sito ritenuto peraltro "conveniente", scrive il documento, "pel gettamento di un ponte". (Di probabile ideazione austriaca considerato l'occupazione in corso

Questo piccolo villaggio si trova tuttora a circa 1000 metri a valle del recente Quarto d'Altino, laddove il giorno di mercato si stanziava un nucleo militare austriaco. (Presso il C.E.R.D dove tra l'altro si nota l'ultima ex casa colonica su quelle abbattute, di proprietà dell'allora conte Giulay)  Questo per far capire la frequentazione austriaca nel territorio e quanto poco interessava al Comando  documentare il mercato (abusivo?) come la stessa zona portuale in S. Michele del Quarto, cui peraltro, si serviva la stessa frazione militare austriaca. 
In ogni caso, dal documento si capisce l'dea progetto di un ponte tra l'odierno Quarto d'Altino sulla riva opposta del Sile. L'dea nasce probabilmente dalla ristrettezza del fiume, che proprio in quel punto presso il mercato, le arginature sembravano avvicinarsi. E' noto d'altra parte che il ponte non venne mai realizzato, poiché nel 1866 il Veneto ritornò alla madre patria.   

Ma ritornando a noi e ai problemi causati dalle inadempienze di un passato recente al cui il rifiuto immotivato di tanti dirigenti, dovremmo risalire per capire qualcosa sul fatto stesso,  almeno al 1987. 
Nel quale anno, non venne fornito all'Unesco le caratteristiche del campanile, del porto e dell'area golenale ai quali, si sarebbe dovuto introdurre quel componimento lirico solenne, (Già citato interamente) le varie componenti paesaggistiche e quelle del tradizionale ambiente. 
E infatti, trascurando gli elementi più rilevanti vennero sottolineati soltanto quelli che al momento passava loro per la testa. Per esempio, non si è aggiunto niente di più di quanto già mostrava "l'incantevole paesaggio naturale e storico inserito nel Parco Naturale del fiume Sile". Si tratterebbe a nostro avviso di una imperdonabile negligenza, qualora vi sia ovviamente, la presunzione di negare "al paesaggio naturale e storico di Quarto d'Altino" tutto il resto citato sopra. 

D'altra parte il porto, golena e Torre, non hanno mai mutato la loro natura generosa, in particolare sulle dannose disparità causate dalla superficialità o dallo scarso interesse notoriamente pubblico. 
Una scarsità non certo dimostrata per inimicizia o per demerito, bensì per mezzo di chi o quanti non hanno saputo o voluto occuparsi anzitutto, sulla vulnerabilità dell'area golenale col suo porto. E i risultati odierni sono sotto gli occhi di tutta la popolazione. 
E neanche ripeto, a trasmettere ufficialmente le fasi vissute, per le quali l'odierna cittadinanza nulla conosce. In particolare sul campanile, al quale andrebbero almeno menzionati i motivi per i quali venne eretto completamente, nonostante le difficoltà finanziarie e le complicanze per attuarle. Per farla in breve è un silenzio che fa male al nome stesso del paese, quanto alla cittadinanza che lo compone, e non è pure tollerabile che ferisca, anche chi bene o male ne ha proposto le storie. 


Figura n° 20. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia. 

Descrizione immagine.
La foto conferma l'attività trevigiana sul fiume Sile presso il porto di Casale sul Sile. 
Idem come su foto 14 e 15. In questa si nota in più, la stesura in tela Juta, utile a contenere il terreno rimosso dalle operazioni di restauro. La palizzata in legno appare ricoperta dalla tela bloccata sui tronchi da chiodature. Lo è altrettanto sul piano stradale. Un lavoro come si nota nella foto, eseguito a regola d'arte. Ma quale sarà il periodo giusto per regolarizzare e portare come in origine, il porto e golena di Quarto d'Altino? Certo moriranno di consunzione. 

Il silenzio assordante

(Capoverso n° 37)

Questo accadeva e accadde tuttora a causa di norme antitetiche  impartite dai vari direttivi locali, i quali a nostro parere, non sono mai stati interessati al patrimonio culturale per il quale la Torre, porto e golena esprimono continuamente. Né in passato sono mai stati promossi al grado di prestigio e funzionalità, sia in campo locale che regionale. 
La Torre diversamente dal porto non venne mai inclusa in determinati articoli di stampa, né diffuse le caratteristiche collegate alla storia del paese. E chi l'ha vissuta anche solamente in parte ne ha tuttavia condiviso le vicende ricche di fenomeni articolati nel tempo. Su questo e su altro, grava il silenzio assordante delle associazioni culturali, delle imprese, dei comitati, circoli sportivi, e degli storici silenziosi in doppio petto. 
Insomma pare sia praticamente assente, quell'unione di intenti per i quali i personaggi più autorevoli inseriti in una comunità o in qualunque organizzazione, dovrebbero far proprio quanto esprime il comune buon senso, anche di disdegno, conseguendo un fine collettivo. 
E' del tutto insufficiente poi, quel sentimento di devozione Patristico, capace a persuadere i giovani del contrario. (23) 

(23) Il significato del termine "Patristico" è finalizzato ai "padri" edificatori per l'attuazione del campanile. 
D'altra parte è noto che, dagli elenchi sottoscritti dal parroco si è potuto conoscere le famiglie impegnate nell'attività pro erigendo campanile. 
Diversamente la recente comunità inserita in paese, ne ignora i nomi quanto l'attivo volontariato. Per quanti sono interessati ai nomi delle famiglie, anche delle singole persone, sono citate in lettura nelle puntate seguenti.     
  



Figura n° 21. Foto archivio Alfio Giovanni Bonesso. Copyright di proprietà uso e consumo del sottoscritto e famiglia.

Descrizione immagine. Zona Quarto d'Altino.
Attenzione ai vetri e al calpestio lungo il fiume Sile. Le lastre di vetro scivolate sui margine del fiume e resi in frantume potrebbero causare a quanti non si accorgono delle punte taglienti un invalidità permanente.  
L'azione sconsiderata, sembrerebbe in ogni caso del tutto volontaria, e ci lascia addirittura stupefatti da una condotta tanto disonesta. 
L'educazione ambientale sui giovani, dovrebbe iniziare dalle scuole elementari. Trascorso infatti il periodo della fanciullezza senza l'apprendimento delle norme educative, difficilmente da adulti si riuscirà a rispettarle. Attenzione dunque. 


Il prossimo e attuabile capoluogo da istituire nell'area altinate, sarà la città di Altino.
   
(Capoverso n° 38)

E se non si provvederà per tempo, riqualificando com'è visibilmente  evidente la disastrata area golenale di Quarto d'Altino, finiremo per utilizzare il provvedimento segnalato nel titolo del testo, quando si capiranno le conseguenze dei propri errori e  l'impossibilità di limitare i danni. Ciò non significa che non dovremmo argomentare la sostituzione del capoluogo, bensì, promuovendo e motivando le cause della rinuncia come peraltro e nostra abitudine, a quella da farsi per la frazione di Altino. 

Una Domenica di qualche tempo fa, dovendo recarmi a Casale sul Sile per assistere ad un cerimoniale di culto liturgico, vi giunsi come prevedeva la già nota affluenza locale, trenta minuti prima della solennità. Non avrei altrimenti rinvenuto alcun posto a sedere. 
Entrato, notai con grande sorpresa l'interno della chiesa occupato da una formazione di gente mai vista, ma che a tutta prima, pareva a una gita turistica organizzata. Ragione per cui, trovandomi di fronte a dei sconosciuti dal punto di vista dialettale, (Alto friulano) quanto  dalle vesti non adeguate per la funzione non ancora in atto, pensavo non avessero niente a che fare con la cerimonia. E infatti, avevo visto giusto.  

Sommerso nell'affollamento riuscii tuttavia a capire chiedendo qua e la, dovesse trattarsi di  una gita a scopo turistico sui porti e città lungo il fiume Sile. Imbarcati nella zona di Treviso, dovevano raggiugere Jesolo Paese con fermata al porto di Casale sul Sile. Chiesi immediatamente, e senza il minimino dubbio di smentita, se dovessero trattenersi anche al porto di Quarto d'Altino. Ma non ricevetti risposta. 
La guida turistica frattanto, indicava i pregi dell'arcipretale trevigiana, illustrando gli affreschi del Tintoretto dipinti sulla Volta della chiesa. Terminate le spiegazioni e alcuni dettagli a carattere storico, invitò com'era desiderio della gente, di accedere ai servizi igienici e ristorativi a due passi dal centro del paese.  

Durante l'attesa, mi avvicinai alla guida, chiedendo la motivazione della sosta al porto, i vari approfondimenti volti alla chiesa e, sino a dove la navigazione si sarebbe spinta. Alla domanda seguì la risposta: "presso un ristorante di Jesolo Paese". Per quanto riguarda il porto di Quarto d'Altino non fece nessuna allusione, neanche d'indizio e meno ancora di sfuggita.     

Non mi dilungo ovviamente nel descrivere ciò che è completamente assente presso l'accennata località, sia col porto in degrado quanto per l'area golenale compromessa, a cui vanno aggiunte le varie criticità ambientali situate in centro paese. Le quali a nostro avviso, considerate le condizioni relative ai restauri non ancora iniziati dopo decenni di abbandono, avrebbero allontanato se non proibito trattenersi nell'abitato. Non solo quindi, per la povertà relativa al porto (indicibile peraltro) non paragonabile certo a quello di Casale sul Sile, bensì determinato dal lungo tragitto a giungere presso le aree di ristorazione e di servizi igienici. Partendo ovviamente dal punto di sbarco. Questo dunque sconsigliava al turismo di navigazione, avventurarsi e trattenersi presso il centro  di Quarto d'Altino.

Come rimediare ammorbidendo inizialmente la situazione?  
Basterebbe soltanto utilizzare mediante annuncio di bando, assegnando il pubblico ambiente eretto alla stregua d'intrattenimento e inutilizzato, presso la piazza che versa sul Sile. E non sarebbe dunque un problema, affidarlo in gestione, purché venga completato nei servizi igienici, nonché ad uso trattoria e consumo bevande, da utilizzarsi nella vasta piazza pavimentata ad un personale di provata attività. 
E se questi si dimostrasse anche vivace e pieno di vitalità creativa, ideando nuovi fattori aggreganti dato l'ambiente fluviale, avremmo così scoperto la giusta persona adatta al compito, quale sarà l'eventuale turismo integrato per tutto l'anno. Non è escluso mediante progetti innovativi la partecipazione della popolazione indigena, al già pan e vin da rinnovarsi, alle gare da ballo da inventarsi presso il fiume, proiezioni di filmati istruttivi riguardanti il transito della Via Claudia Augusta, l'imbarco dei natanti e la pesca inutilizzata, quanto il passeggio serale, ecc. ecc.  

L'estensione dell'enorme piazza, situata peraltro a fronte del fiume, potrebbe valersi dell'eventuale e accennato rilievo aggregativo, eliminando di conseguenza la caducità di ciò che rappresenta il centro del paese, destinato ahimè a scomparire. L'avvicinamento dei fattori aggreganti, e la bendisposta cittadinanza non solo locale, svilita e abbattuta dall'insolvenza politico-progettuale, si sentirebbe spinta dalla novità, partecipando alle nuove relazioni utili ad un paese come Quarto d'Altino , pressoché emarginato dalle circostanti località. 
La bellezza visiva del panorama golenale finalmente rigenerato quando anche illuminato da luci a carica solare, oltre al passeggio sempre gradito, aumenterebbe di riflesso anche l'importanza del luogo e dello stesso centro città, per quanto tuttora soggetto a impietose critiche. 

Ma quell'esercente vincitore del bando, non si farà ingannare dalla bellezza paesaggistica del fiume Sile, se prima il porto e golena non verranno completati nei loro aspetti originari, rispetto ovviamente all'ambiente per il quale egli vorrebbe mutare in modo soddisfacente. 
E in uno sforzo di sincerità, rifiuterà l'assegnazione qualora non fosse valorizzato degnamente come richiede l'habitat del fiume e quanto prevede l'opera manutentiva utilizzata dai trevigiani sui loro porti. 
E dunque, per tali cause oltre a quelle più imperative, non intendo perciò procedere oltre, per quanto le critiche assegnate siano ritenute giuste, ma che senza il mio giustificato intervento, volto peraltro ad approfondire un sistema che schifa chiunque, non sarà probabilmente inutile se qualcuno si degnerà al disastro ambientale, un soccorso d'aiuto e urgente, al porto e la zona golenale di Quarto d'Altino. Un aspettativa che compete ovviamente alla politica.       
 
E ritornando agli organizzatori della gita turistica approdati a Casale sul Sile, non avendo previsto nessuna sosta al porto altinate, per quanto l'area centrale avesse dato sfoggio di bellezze intellettuali e monumentali, anteposero la priorità alla chiesa e Torre di Casale sul Sile e superando l'antico porto di scalo presso Quarto d'Altino, accelerarono la navigazione in direzione Capo Sile/Jesolo.

E ci mancava pure l'odore di pesce fritto 
e del buon vino

(Capoverso n°39)

Giunti frattanto tra le rovine della Conca in Portegrandi, ultima tappa del nostro bel Comune, e gli organizzatori al corrente del deplorevole assetto, a quello che allora manifestava il transito dei pescherecci e di quella rimpianta osteria, dove sino a poco tempo addietro, rilasciava odore di buon vino, di pesce fritto e tanta ospitalità. 
Segnalata per il buon cibo e per i requisiti utili a tale funzione, adatta quindi, per una breve fermata, prevalentemente secondo i gitanti in bicicletta, per una visita di origine storica e anche religiosa per quanti a quei tempi, intendevano visitare l'antico oratorio oggi purtroppo crollato sotto il peso degli anni..... che nessuno ci mette più mano.
Ora quel villaggio di aggregazione non esiste più e dinanzi all'ineludibile privazione, sia per le visite quanto ai salutari brindisi ristorativi, il motonave la cui ultima tappa venne registrata a Casale sul Sile, tirò dritto senza pensarci sopra, alla volta di Jesolo. 
Ecco la dimostrazione di quanto e come sono ridotte le migliori località di Quarto d'Altino.   

E se dunque non si provvederà per tempo, l'eventuale nuovo capoluogo all'attuale centro abitato, sarà proclamato il centro di Altino con tutte le competenze archeologiche, naturalistico e ambientali. Una complicità e un tesoro dunque da conservare. 
Cosicché l'eventuale e nuovo governo di Quarto d'Altino, realizzerà finalmente quel sogno sinora irrealizzato, ma che pare prossimamente diventerà, la più autorevole e amata città di Altino fondata da Roma. (24)

(24) La gita turistica secondo gli organizzatori, doveva svolgersi sostando su tutti gli scali portuali lungo il Sile, escluso quello di Quarto d'Altino.      

La verità è sempre illuminante
Leggere attentamente

(Capoverso n° 40)

Con questa narrazione pubblicata alla buona da chi parrebbe dovesse accontentarsi dell'opportunità di scrivere disprezzando opere ritenute importanti, cui il sottoscritto abborrisce totalmente, bensì su di un fatto realmente accaduto alla portata di tutti. Non è in ogni caso narrata per comodo proprio, bensì per convinzione con quanto è stato dichiarato, quanto è stato diffuso fotograficamente. 
Ricca di significato e fedele sugli argomenti trattati da storici onesti e sinceri, dovrebbe finalmente far comprendere alla collettività il rischio prodotto dall'onda di ritorno sulla dimezzata oramai, golena di Quarto d'Altino.   
E se caso mai non fosse compresa a fondo per mia unica responsabilità, confido tuttavia nella paventata possibilità, possa almeno far emergere sulla popolazione di Quarto d'Altino i problemi e gli interrogativi visibili al processo di riduzione relativo all'area golenale. Si confida ovviamente sulla cittadinanza interessata, in grado per maturità materializzata durante il proprio vissuto, di emettere almeno un opinione sull'area in via di estinzione. 

D'altra parte, se sono stato troppo pungente nelle qualifiche generaliveritiero però dall'altra e privo comunque di qualunque acredine nelle attribuzioni personali, mi è sembrato tuttavia cosa buona e giusta, ridare dignità a delle opere antiche e abbandonate per l'inqualificabile disimpegno dell'uomo politico. Non sono da considerare ovviamente, le tante provocazioni utilizzate soltanto a fin di bene (e non per altro) e per le quali mi aspetto fiducioso, che nessuno se ne sia avuto a male. 

In ogni caso la verità e dico purtroppo, porta sempre con sé avversioni istintive e talvolta anche dirette a chi della verità ne ha fatto buon uso. Sarebbero ovviamente delle ostilità inclementi attraverso cui, non è possibile elevarle a pratiche discriminatorie e attribuirle a chi per il bene del paese, ha dovuto di fronte all'abbandono del territorio a renderle note alla comunità. Confidando ovviamente lo possa comprendere anche la Regione del Vene, che sulle disfunzioni citate e sulle condizioni attuali, sembrerebbe non fosse mai stata informata, e che tutto sommato il testo, tratta solamente verità illuminanti. 
E chi le ha ricordate e poi dichiarate per iscritto, lo ha fatto pensando che altri potessero realizzare quelle opere di riqualifica, di quanti altrimenti sordi per incapacità, non le avrebbe mai attuate. Non sono esclusi dall'addebito alcuni storici abitualmente avversi a tali ricerche, se non quando usualmente praticano il silenzio.
A questo punto il testo sarebbe concluso. Ma se dovessero emergere nuovi dati convalidati da testimonianze fotografiche, verranno pubblicate e, sulle basi delle quali aggiungeremo il resto. Contiamo ovviamente sulle quantità delle richieste e sulla nostra disponibilità.   

Uno sguardo sul alcune considerazioni tipo politiche.  

Egregi signori politici di Quarto d'Altino, non deludete le aspettative della popolazione e di quanto aveva previsto due secoli fa, la Serenissima Repubblica di Venezia. Non fattevi ammaliare dalle strategie politiche di alto livello, inconsuete e negative al vostro grado di rappresentanza locale. Esigete e reclamate soltanto ciò che è giusto e che serve al nostro bel paese. Non cedete allo stato di torpore psichico esercitato  dalle capacità politiche di "Roma ladrona". 
E' ora di darsi da fare. 

                                     Fine...   

                                 







































  





  
Un faretto di luce 

Di fronte alle tante esperienze vissute vicino al parroco, dovremmo per senso di dovere aggiungerne altrettante, ma per un altrettanto senso di moderazione riteniamo fermarsi qui. 
E utilizzando ciò che sinora abbiamo conservato nella memoria, mi è parso giusto, più di quanto lo stesso termine esprime, pronunciare a suo merito, che forza! Che prete! Che dignità! 
Ecco, abbiamo voluto in sintesi, accendere un modestissimo faretto di luce in memoria di Scattolin don Carlo. Un fanalino illuminante da rivolgere a quanti non lo hanno mai qualificato ad un livello superiore, più di quanto in realtà, lo è stato da sempre.  







L'Unesco. Una candidatura mai richiesta ma che aspetta da anni. 

Quarto d'Altino città dovrebbe per quanto è stato riportato in questa onerosa premessa, (non si poteva fare altrimenti) bussare alle porte dell'Unesco con sede a Venezia Palazzo Zorzi, dimostrando la ricchezza  prodotta dalla cittadinanza dell'epoca e che oggi con grave danno, non si riflette né si riproduce sulle recenti generazioni.  
Un tentativo utile a ridestare ciò che ora pare immerso nel torpore della pigrizia, dovrebbe scaturire dalle competenze locali, le quali per vari motivi tenderebbero ridurre al margine l'irripetibile evento iniziato quasi un secolo fa. 
E poiché la straordinarietà del caso non si ripeterà, non va nascosto malgrado gli ostacoli avvertiti dalla Torre, di quanto ha reso e tuttora rende, sia per autorevolezza, per credito, ruolo sociale e affidabilità.
Iniziando ovviamente, dalla constatazione per la quale i mattoni con i quali venne eretta, non posseggono sul piano della comunicazione di massa, nessun gergo possibile, utile al tramando della memoria se non da chi scrive. Si tratta dunque di una garanzia di sicurezza dedicata alla popolazione e non solo.



     




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