Pazientare nella lettura è la virtù necessaria che permette di capire la storia, qualora si è intenzionati introdursi nella quotidianità dei popoli e negli ideali del loro tempo. Per facilitare la lettura si consiglia procedere per ordine di successione privilegiando i capoversi colorati in bleu. In caso contrario s'incontrerebbero malintesi.
Capitolo nono - 1997.**
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la rinvenuta fornace in località le Crete.
Vi è inclusa la "Regula Capitis Plebis Pivigliani" e i loro Meriga
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Spinto dalla curiosità dopo che un carissimo amico docente di storia mi aveva segnalato alcuni documenti su S. Michele del Quarto, (oggi Quarto d'Altino) laddove rendevano nota la presenza di una fornace piuttosto antica, la cui quantità mi era sino a quel giorno del tutto ignota. Dopodiché mi applicai nella lettura dando la precedenza ai vecchi testi tentando di scoprire in seguito il punto in cui venne eretta, o quanto meno, rinvenire le tracce dell'insediamento ritenuto non meno importante del presente.
Premessa al testo
Spinto dalla curiosità dopo che un carissimo amico docente di storia mi aveva segnalato alcuni documenti su S. Michele del Quarto, (oggi Quarto d'Altino) laddove rendevano nota la presenza di una fornace piuttosto antica, la cui quantità mi era sino a quel giorno del tutto ignota. Dopodiché mi applicai nella lettura dando la precedenza ai vecchi testi tentando di scoprire in seguito il punto in cui venne eretta, o quanto meno, rinvenire le tracce dell'insediamento ritenuto non meno importante del presente.
Non soddisfatto dalla dubbia segnalazione dove peraltro non si notava neanche in abbozzo, e tuttavia mi recai nella zona laddove circa, alcune memorie locali l'avevano conservata. E dopo vari controlli sui terreni indicati, camminando peraltro tra fondi privati, orti e poderi incolti, finalmente scorsi con mia grande sorpresa ciò che ritenevo i resti della fornace.
Dubbioso sull'area in cui anticamente sorse come dello stesso prodotto che doveva realizzare, eppure mi fidavo più della mia intuizione con cui avevo un buon rapporto di lavoro, sperando mi avesse suggerito qualcosa di utile. Magari anche il punto preciso, quello topografo, da segnalare per la storia di Quarto d'Altino.
Dubbioso sull'area in cui anticamente sorse come dello stesso prodotto che doveva realizzare, eppure mi fidavo più della mia intuizione con cui avevo un buon rapporto di lavoro, sperando mi avesse suggerito qualcosa di utile. Magari anche il punto preciso, quello topografo, da segnalare per la storia di Quarto d'Altino.
Ma quel giorno venni improvvisamente interrotto dalla fanghiglia provocata dalle piogge del giorno prima e temendo che avessero ricoperto ciò che cercavo, non mi restava dopo un breve sondaggio, di tornarmene a casa. Me ne andai irritato e senza raccogliere nulla, riservandomi una prossima e migliore esplorazione. Il sito comunque veniva a trovarsi come recita il documento, nella frazione delle Crete in comune di Quarto d'Altino presso l'antica città di Povegliano Altinate. Una zona dunque piuttosto ampia, da esplorare metro su metro percorrendola a piedi.
In seguito investigai più attentamente la zona, tenendo conto delle tradizioni e leggende locali che nel frattempo mi vennero riferite. In un successivo sopralluogo praticato stavolta sul terreno asciutto ma rimosso di recente dal vomere, notai incredulo la presenza della possibile fornace soffocata da detriti in cotto, sparsi qua e là tra cumuli e resti di probabile origine romana. E naturalmente raccolsi dei cocci senza riflettere quale fosse lo stato di servizio che avevano compiuto.
Rientrato, mi applicai senza esitare allo studio dei reperti cercando di capire come primo elemento, la ragione dell'area in cui il manufatto sorse, e perché mai in prossimità di un fiume chiamato in antico Jarus. (Zero) Mi sfiorava allora il pensiero che l'acqua venisse utilizzata mischiata alla terra a scopo laterizio, e infatti non mi sbagliavo. Superato dunque il dubbio iniziale e per quanto le prime minutaglie non mi avessero indicato elementi certi, eppure mi sentii incoraggiato più di quanto il primo sondaggio mi aveva indicato. E mi buttai così, appassionatamente nella ricerca.
Tra i fondi presso cui il manufatto sorse, non pareva considerando la vastità della zona nella quale supponevo avesse vissuto anche una piccola comunità in prossimità della fabbrica, dove lo spazio enorme rilevato, non avrebbe certo creato difficoltà di accesso ai lavoranti dell'epoca.
Attualmente però, l'area di ieri appare oggi molto limitata e per quanto l'ampiezza di allora sia rimasta tale, non è transitabile come avveniva allora. Attualmente si mostra frazionata in proprietà diverse, i fondi sono delimitati da piccoli fossati, a volte recintati. Vi appaiono capanni e pollai, strade e stradine piuttosto discontinue causando difficoltà di passaggio. E uscendo dai campi su l'unica strada sporadicamente frequentata mi apparve improvvisamente, l'abitato piuttosto solitario chiamato Le Crete.
Ostacoli che, durante le ricerche mi crearono alquanti rallentamenti su di un fondo ritenuto a mio avviso di origine archeologico, conosciuto però soltanto al proprietario, il quale, sembrerebbe l'avesse occultato per non farlo notare al circondario. Averne poi chiesto l'autorizzazione ottenendo peraltro un rifiuto, non sarebbe stato il massimo delle indagini, ragione per cui vi rinunciai.
Accertate quindi le difficoltà operative, mi misi segretamente al lavoro, interagendo il più velocemente possibile raccogliendo qualche elemento d'indagine. In seguito mi applicai allo studio sulle strade segnalate dalle carte, dalle quali emergeva già d'allora, il congiungimento stradale del Vecchio San Michele del Quarto a Povegliano Altinate.
Il luogo estrattivo rimane sconosciuto
La percezione di aver individuato qualcosa d'importante e che magari non fosse mai stato documentato, mi diede ovviamente più slancio di quanto le prime indagini mi avevano rifuso. Vennero così alla luce pietre, terrecotte, anticaglie e altro, il cui luogo estrattivo è tuttora sconosciuto agli altinati. Lo è del resto, anche ai paesi limitrofi situati oltre il fiume Zero, ma questi, non sapendone nulla, non andranno certo a rivelare ciò che non hanno mai conosciuto.
Strade e stradine, viali, tragitti e viottoli privi di nome, più la presenza di ponti fossati e canali.
Individuati frattanto i resti e momentaneamente lasciati da parte, mi occupai in seguito nella lettura dei documenti, dove le strade elencate, oltre a quella citata diretta per la fornace, vennero alla luce molti altri tracciati legati a viabilità minori.
Esplorati in seguito, emersero una quantità di strade e stradine prive di nome, di viali, tragitti e viottoli presenti nel nostro territorio il cui sfocio o termine, era conosciuto soltanto alle popolazioni del luogo e dell'epoca. In più, si notavano qua e là, ponti, fossati e canali dei quali tratteremo più avanti. E mi parve a quel punto un vero peccato abbandonare tanta ricchezza di studio, da rivolgermi pur esausto dalle tante scorrerie campestri a sfondo segreto, con più attenzione di prima.
Per un adeguato apprendimento storico, va altrettanto registrato che, la sovranità religiosa su S. Michele del Quarto dipendeva all'epoca della citata fornace, dalla Pieve di Povegliano Altinate in diocesi di Treviso. Una chiesa dunque detta Madre di tutte le circostanti chiese, chiamata per l'appunto Pieve. (Pievania)
La sovranità religiosa della Pieve del Pojan, controllava dunque gran parte delle chiese della zona, agendo sin dal sec. XI. (dal 1000 circa) anche sul territorio di Quarto d'Altino e sulla Cappella ex Longobarda stanziata all'epoca in S. Michele del Quarto. In realtà tale cappella non fu mai interamente soggetta alla Pieve del Pojan, bensì al vescovado di Torcello, tranne su alcuni elementi che diremo più avanti. Si tratterebbe allora di un'eccezione? Di errori dell'epoca? Sicuramente no!
Esplorati in seguito, emersero una quantità di strade e stradine prive di nome, di viali, tragitti e viottoli presenti nel nostro territorio il cui sfocio o termine, era conosciuto soltanto alle popolazioni del luogo e dell'epoca. In più, si notavano qua e là, ponti, fossati e canali dei quali tratteremo più avanti. E mi parve a quel punto un vero peccato abbandonare tanta ricchezza di studio, da rivolgermi pur esausto dalle tante scorrerie campestri a sfondo segreto, con più attenzione di prima.
Per un adeguato apprendimento storico, va altrettanto registrato che, la sovranità religiosa su S. Michele del Quarto dipendeva all'epoca della citata fornace, dalla Pieve di Povegliano Altinate in diocesi di Treviso. Una chiesa dunque detta Madre di tutte le circostanti chiese, chiamata per l'appunto Pieve. (Pievania)
La sovranità religiosa della Pieve del Pojan, controllava dunque gran parte delle chiese della zona, agendo sin dal sec. XI. (dal 1000 circa) anche sul territorio di Quarto d'Altino e sulla Cappella ex Longobarda stanziata all'epoca in S. Michele del Quarto. In realtà tale cappella non fu mai interamente soggetta alla Pieve del Pojan, bensì al vescovado di Torcello, tranne su alcuni elementi che diremo più avanti. Si tratterebbe allora di un'eccezione? Di errori dell'epoca? Sicuramente no!
D'altra parte sarebbe stato una vera e propria anomalia l'accorpamento della chiesa di Quarto d'Altino soggetta a due vescovadi diversi. Ma se si considera la complessità storica del tempo non lo è affatto e anzi, dovremmo ringraziare la Pieve del Pojan se la Cappella al "Quartum" continuò nel suo lungo processo di stabilizzazione locale. In realtà, ciò che vi era di anomalo, stando ovviamente ai documenti, si viene a conoscere che la chiesa di Quarto d'Altino necessitava di alcuni servizi esercitati dalla Pieve di Povegliano e che la Cappella soggetta al vescovo di Torcello, non era in grado causa la distanza e anche a ragion di veduta, sostenere in termini completi il proprio mandato.
Le carte antiche e la comparsa
del "Meriga" sindaco di Quarto.
Si sarebbe comunque compreso dalla topografia, oltre agli atti documentali, che la frazione detta "Crea", (1) luogo dell'accennata fornace, risiedeva allora come lo è tuttora, in comune dell'attuale Quarto d'Altino. La conferma perviene anche dalla presenza del suo sindaco (Meriga) certo Dulardo del fu Pietro registrato nell'anno 1315, il quale esercitava la propria attività presso l'ufficio Municipale in S. Michele del Quarto. Quale sia stato il probabile ufficio nel quale risiedeva il Meriga è ignoto, fatto sta che il sindaco Dulardo durante l'anno 1315, era forza espressiva nel comune di S. Michele del Quarto vincolato dal suo stesso mandato. Un villaggio dunque del tutto autonomo, salvo la chiesa per la quale ora, andiamo a narrare circostanze, episodi fatti e vicende.
(1) "Crea": Sinonimo legato alla terra da fornace. Centro abitato nel quale in epoca romana e medioevale produceva mattoni e laterizi. A seguito del secondo conflitto mondiale (1940/45) l'antico titolo detto "Crea" mutò nell'odierno "Le Crete"
L'oratorio Longobardo al Quartum è
documentato come chiesa soggetta
al vescovado di Torcello. (1315)
La Cappella di S. Michele del Quarto era dunque legata alla Pieve di Povegliano da due semplici ma essenziali fattori. Non possedendo cimitero e fonte battesimale, (Carenza probabile del periodo Longobardo cristianizzato, dal quale sorse una modesta Cappella) doveva recarsi alla suddetta Pieve per ottenere i citati servizi, concordati probabilmente dai rispettivi vescovadi di Torcello e Treviso. (2)
(2) - Si ha ragione di credere ad un concordato tra i due vescovadi, utile per attuare i servizi altrimenti impossibile da sostenere. Non si è ritenuto in tal caso realizzare uno studio approfondito.
A questo punto, l'insufficiente autonomia registrata al "Quartum" ci porta necessariamente all'Oratorio divenuto più tardi Cappella eretta dai Longobardi al Quarto Miglio romano da Altino: cioè, l'attuale S. Michele Vecchio.(3) Si viene così a dedurre con ampio spazio d'attendibilità che la trasformazione del suddetto Oratorio in Cappella e in seguito in autonoma chiesa, venne sorretta dalla Pieve di Povegliano per le sopra accennate ragioni.
(3) Per quanto riguarda il citato Quarto Miglio da Altino, corrisponde al titolo di origine romana "Ad Quartum". Si tratta di una zona agricola di fondazione imperiale dove ora sorge il vecchio paese dal titolo S. Michele Vecchio. Oggi frazione del recente Quarto d'Altino - Ve.
A S. Michele del Quarto dunque, esisteva già d'allora una comunità di presunta discendenza Longobarda, alla quale va il merito d'aver fondato un piccolo borgo dal titolo S. Michele del Quarto. (4) La dedicazione al Santo trova origine da alcuni affreschi antichi cui l'Arcangelo armato di spada, difendeva il popolo Longobardo nelle loro battaglie e conquiste.
(4) Si tratta dell'odierna località detta appunto S. Michele Vecchio. Ex novo sec. X. (anno 996) Villaggio dunque molto antico. Molto di più se si accredita il periodo della fondazione romana.
(4) Si tratta dell'odierna località detta appunto S. Michele Vecchio. Ex novo sec. X. (anno 996) Villaggio dunque molto antico. Molto di più se si accredita il periodo della fondazione romana.
La lontananza dall'isola di Torcello e da Valerio Vescovo Ministro della chiesa in S. Michele del Quarto, (5) sembrerebbe appunto, dato il distacco, che il presule avesse avuto difficoltà operative nel distribuire alla propria comunità, regole, ordinativi, norme e precetti. Da non essere in grado il parroco della chiesa in S. Michele, concretizzare per tempo ciò che lo stesso vescovo ordinava. Oltre all'impedimento prodotto dalle acque lagunari e le relative visitazioni rare, incombeva la distanza lagunare all'entroterra presso la chiesa di Quarto. D'altra parte le rare visitazioni avvenivano partendo dall'isola di Torcello su battello a remi transitando sul fiume Sile, tramite cui raggiungeva S. Michele del Quarto. Per certi versi quindi, la comunità altinate soggetta al vescovo di Torcello, comunicava più facilmente col vescovado di Treviso, prossimo al proprio territorio.
(5) Valerio vescovo di Torcello - 999/1008, è contemporaneo al doge Orseolo II, il quale introdusse nel 996, il porto e mercato in S. Michele del Quarto.
In ogni caso il "Quartum" essendo situato tra i latifondi in proprietà e spesso concessi in affittanza alla nobiltà di Treviso, capitava che il parroco di Quarto qualora avesse avuto difficoltà dirigenziali, di seguire alcune norme del vescovo di Treviso di fede ariana, non compatibili talvolta colle ordinanze del vescovo di Torcello di fede cristiana.
Nell'anno 1000 infatti il vescovo di Treviso risentiva ancora della propria vocazione ariana, motivo per cui il borgo autonomo detto Quarto, non raggiunse fra i tanti motivi, quell'autonomia completa se non nei servizi dei quali aveva bisogno, praticati allora dalla Pievania trevigiana del Pojan.
Il giuramento dei Meriga.
D'altra parte "Crea", ovvero l'odierna Le Crete frazione di Quarto, non era affatto sconosciuta al Meriga Andrea (sindaco) di Povegliano, come lo era per Dulardo del fu Pietro sindaco di S. Michele del Quarto.
Di nome Andrea del fu Odorico della pieve del suddetto Pojan, giurava davanti al notaio Albertino Viviani rendendo note nel 1315, le strade nel suo comune. E citandole sino a Bonisiolo, chiesa di Quarto compresa, escludeva chissà per quale movente, la località "Crea" e l'adiacente fornace in comune di S. Michele del Quarto. (6)
Lo stesso giuramento veniva formulato da Dulardo del fu Pietro sindaco di "Fortino", (toponimo di S. Michele del Quarto) il quale più attento del collega del Pojan, ci fornisce dettagli molto importanti. Vediamo dunque il primo. Si viene dunque a scoprire per mezzo del sindaco di Quarto, che il toponimo "Fortino" non è altro che il titolo stesso del proprio paese su cui vi ritorneremo. E in aggiunta, anche la strada dove rileva la presenza di un ponte presso la "Fossa di Quarto". Non esclude neppure quel sig. "Vendramino di donna Menega che doveva tenere in ordine ponte e Fossa nel suo territorio". (Si tratta della Fossa dell'Argine)
Indicazioni sulle regole del 1315.
(E che i sindaci alias Meriga dovevano far rispettare)
(6) Definizione di Meriga: sindaco del sec. XIV - anno 1315.
Il sindaco Andrea del fu Odorico nel descrivere le strade di Povegliano nel suo comune, (Diocesi Treviso provincia Ve.) sembra non distinguere quelle che appartengono a S. Michele del Quarto in diocesi di Torcello. L'errore sorgerebbe dal fatto che la chiesa di S. Michele soggetta a Povegliano, doveva per lo stesso motivo curare anche ponti e strade per S. Michele del Quarto. E rendendoli pubblicamente noti sotto giuramento, li descrive come fossero di proprietà del comune del Pojan. (Il che non corrisponde)
(6) In realtà la popolazione del comune di Quarto si recava a Povegliano, non certo per aver aderito alla diocesi di TV bensì per i noti motivi. Privi di fonte battesimale e cimitero, dovevano infatti affidarsi ottenendo tali servizi, alla Pieve di S. Cassiano. Dopo che la stessa Pieve crollò, S. Michele del Quarto si rivolse alla parrocchia di Casale sul Sile.
(6) A produrre questo stato di confusione, pare sia stato lo stesso sindaco Andrea del fu Odorico che mediante calcoli errati, descrive Quarto come fosse in diocesi di Treviso. Un secondo elemento proviene dal medesimo sindaco che davanti al notaio afferma categoricamente: "... gli uomini del villaggio di Pivigliano devono tenere in ordine nei loro territori i soprannominati ponti, strade e canali..." il significato della presunta proprietà è dunque molto eloquente.
(6) E infatti con questo intervento, il Meriga del Pojan crede sia di sua competenza anche il distretto di S. Michele del Quarto, ignaro forse, dell'intesa probabile tra le diocesi di Treviso e Torcello.
In realtà il Meriga aveva mal calcolato i propri confini in quanto S. Michele del Quarto, (detto anche Fortino) possedeva un proprio sindaco di nome Dulardo del fu Pietro. In ogni caso Fortino e la sua chiesa, rimasero sempre alle dipendenze del Vescovo di Torcello, escluso i servizi accennati.
L'autostrada Venezia Trieste e
il Passante di Mestre
Luoghi dunque molto antichi, dai quali si dipartivano le remote strade percorse dalle popolazioni dell'epoca. (anche romane) Attualmente sono attraversate dai residenti e poche altre persone malgrado frattanto siano intervenute alquante modifiche e inopportune amputazioni. Un esempio di trasformazione, non unica peraltro, venne attuata a danno della comunità delle Crete, mediante rotonde, sensi obbligati, curve, blocchi stradali, deviazioni ecc. tanto che il viale più frequentato di allora (Via Pascoli) appare oggi compromesso dalle tante variabilità. La frazione non è neppure esclusa dai danni provocati dai rumori e dall'inquinamento dal recente ingresso autostradale.
L'autostrada Venezia Trieste e
il Passante di Mestre
Luoghi dunque molto antichi, dai quali si dipartivano le remote strade percorse dalle popolazioni dell'epoca. (anche romane) Attualmente sono attraversate dai residenti e poche altre persone malgrado frattanto siano intervenute alquante modifiche e inopportune amputazioni. Un esempio di trasformazione, non unica peraltro, venne attuata a danno della comunità delle Crete, mediante rotonde, sensi obbligati, curve, blocchi stradali, deviazioni ecc. tanto che il viale più frequentato di allora (Via Pascoli) appare oggi compromesso dalle tante variabilità. La frazione non è neppure esclusa dai danni provocati dai rumori e dall'inquinamento dal recente ingresso autostradale.
Il seicentesco canale "Carmason"
E tra le tante varianti balza agli occhi, anche l'interruzione causata dal seicentesco canale consorziale Carmason, (aperto nel 1600 circa) il cui transito sull'antica traiettoria priva di nome (Via Pascoli) recise 300 anni dopo, la via diretta per la fornace e per la stessa Povegliano Altinate.
Di conseguenza il taglio effettuato, produsse l'erezione di un ponte collegato alla sottostante e poco estesa tubatura, (Incompleta) dalla quale nacque un ponte ridotto, limitato purtroppo, tanto quanto mostrava l'originario percorso. (Ristretto e pressoché a senso unico)
E infatti, non consentiva il transito dei moderni camion su di una zona divenuta frattanto, a carattere industriale. Sorse dunque il problema dell'ampliamento.
Vennero perciò tombinati i fossati laterali di antico insediamento i quali, raccoglievano con l'obbiettivo sperimentato e dotto dei Meriga, le acque meteoriche.
Dal tombamento venne a prodursi uno spazio stradale maggiore dal quale sortì anche una pista ciclabile, più l'ampliamento laterale del rispettivo ponte. Dal verso opposto, dove la larghezza del viadotto rimase tale, venne a formarsi lungo il canale laterale tombinato, un interruzione permanente prodotta dall'originaria ristrettezza dello stesso viadotto. (Se lo avessero ampliato da entrambe le parti, sarebbe risultato un lavoro eccellente)
Praticamente il ponte risultò più ampio dal lato in cui venne aperta la pista ciclabile, mentre il versante opposto rimase com'era in antico. La storpiatura o blocco se vogliamo, è tuttora visualizzabile.
Nel 1870, la linea ferroviaria per Trieste aperta ad un solo binario, originò la divisione delle Crete in due parti. A rimediare l'interruzione stradale venne a prodursi uno blocco a sbarre comandato elettricamente e dopo anni di attività venne chiuso. In seguito le ferrovie dello Stato realizzarono un sottopasso pedonale e automobilistico inaugurato martedì 1° settembre 2020.
La mutilazione
Ma la prima amputazione prodotta sul viale senza nome, tenuto in attività e ispezionato costantemente dagli antichi Meriga, risale al 1965. Anno in cui, l'apertura e il transito autostradale Venezia Trieste recise completamente la suddetta via (Oggi Via Pascoli) per S. Michele Vecchio. Praticamente il viale aperto da Roma diretto al centro del vecchio paese, dovette sopportare una deviazione pericolosa aperta a gomito e fatta confluire di fronte all'uscita/entrata autostradale dislocata in via Roma.(Fronte Centro moda Perencin che all'epoca non esisteva)
Cosicché l'antico tracciato venne a trovarsi pressoché isolato dal paese nel quale aveva libero transito, per mezzo del quale si riversava in una piazza altrettanto antica quanto leggendaria.
La pendenza strutturale
Via Roma all'epoca della deviazione si presentava per sua natura una strada normale sino all'altezza Perencin, se non quando incrociando l'argine del Sile per S. Michele Vecchio, veniva a rialzarsi generando una forte pendenza originata dal terrapieno diretto per l'antico paese. (oggi frazione di Quarto d'Altino) La pendenza, procurava ovviamente disturbo ai pedoni e ciclisti, anche rispetto alla progettata apertura stradale diretta per Casale Sul Sile, ciò comportando la livellazione del fondo stradale
Lo scopo illustrativo, necessario per conoscere le strade locali.
D'altra parte il rilievo stradale, o se vogliamo l'evidente prominenza collocata all'ingresso del vecchio paese, si rendeva visibile anche dalla piazza S. Michele oltre alla disfunzione pervenuta da chissà quale periodo storico. E tale alterazione provocava alcuni problemi di viabilità, sottoposti in seguito all'azienda comunale senza risultato evidente.
Motivo per cui il passaggio obbligato a piedi, in bicicletta, trasporti a mano, ecc. ecc. non esclusi i funerali diretti al vecchio cimitero, nonostante la discussione rimasero insoluti. Oggi parrebbe un semplice dettaglio, ma non lo era affatto qualora si rifletta sul faticoso andamento stradale, per certi versi anche pericoloso quando transitato col ghiaccio e la neve. Perciò l'annosa questione andò a risolversi molti anni dopo quando nel 1965 circa, venne aperta l'odierno rettilineo diretto per Casale sul Sile. Grazie al quale la prominenza venne livellata.
Ma ritornando ai ciclisti e agli odierni passanti, non si rendono conto transitando sull'attuale pista ciclabile livellata, di avviarsi su di un tratto di strada che tende tuttora ad innalzarsi progressivamente sino a congiungersi al terrapieno del Sile.
Misurato quindi l'argine dal piano di campagna, si erge all'ingresso della vecchia località, di circa 3,5 metri. E oggi transitandovi a piedi, nessuno si è mai accorto del dislivello tuttora presente, né la salita ha mai provocato disturbo alcuno, stando ovviamente ai mutamenti generazionali che del rilevo antico nulla conoscono né a quanto pare neanche percepiscono. Eppure la differenza c'è e continua ad esserci.
E pur vero d'altra parte, che la stessa misura dell'argine medesimo, si riscontra pure su quello diretto per Musestre. (Ora argine stradale) Varia semmai la gradualità nell'affrontare la pendenza, e quella improvvisa, faticosa e ripida per Musestre, (Rimasta tale quale) si nota molto di più, di quella non percepita, per S. Michele Vecchio. (E' ovviamente esclusa la salita per l'odierno ponte stradale. Non lo è invece quella diretta al porto frequentato da tempo a noi sconosciuto, anche dalle lavandaie)
Un secondo dettaglio impossibile da dimenticare, è l'attuale area occupata dal centro moda Perencin. Ieri invece si stanziava il boschetto della famiglia colona "Carretin", fondo dal quale ricavavano fusti di legno o pali di sostegno per il proprio vigneto.
La coltura della vite raggiungeva ad ovest come a nord, le sponde del Sile, meta peraltro dell'annuale transito migratorio di volatili diretti al sud, le cui le acque del fiume e dei maturandi chicchi d'uva, costituivano per i volatili fonte di ristoro. (Destinati talvolta alla cattura) Motivo per cui i danni provocati dalla sosta dei volatili, si riversava negativamente sulla produzione del vino.
Ritornando sulla recente arteria diretta per Casale sul Sile, (1965 circa) mutilò, spaccando definitivamente in due tronconi la via senza nome, ovvero via Pascoli, aperta da Roma per le Crete e il Pojan. Da quel giorno, scomparve ogni altra speranza di percorrerla integralmente sino al punto in cui terminava. Luogo nel quale, dopo aver superato l'attuale ponte sul fiume Zero, portava all'imminente Povegliano Altinate, separato soltanto dall'argine e dalle acque
La recente via per Casale, non va comunque confusa con quella antica che corre sul terrapieno affiancato al Sile e che attraversa senza interruzione il vecchio S. Michele del Quarto. (Ex Altinum-Tarvisium) - Ebbene questa via, venne aperta per accedere al Quarto miglio romano da Altino, zona in cui operavano i lavoranti (Schiavi e Liberti) presso il "Vicus" agricolo.
Altra realtà oggettiva rappresenta invece, la recente strada diretta per Casale, la cui apertura venne a mutilare separando in due tronconi come citato innanzi, la via oggi dedicata al "Pascoli", ma aperta da Roma.
La via Claudia e i blocchi di marmo emersi presso il centro di Quarto d'Altino.
Il transito della via consolare presso l'odierno Quarto d'Altino si dirigeva dopo aver superato l'odierna abitazione di proprietà della famiglia D'Este, al porto in S. Michele del Quarto. Durante recenti scavi per la fondamenta della medesima abitazione, emersero blocchi di marmo e tracce evidenti del passaggio viario. Caduta Venezia, la Claudia si rese praticamente inservibile al commercio sui fiumi e per mare, originando dopo circa mezzo secolo, la distruzione.
Si venne così a perdere la memoria del transito originario, (In più punti) lo sviluppo dell'antica strada, la caratteristica altimetrica di cui rimase soltanto il tracciato a livello stradale.
Ritornando sulle fondamenta di casa D'Este, emersero oltre ai blocchi citati sopra, croste cementizie, un elevata sassaiola, e un masso di marmo di enormi proporzione ritenuto inamovibile. E tant'era stabilmente fisso che rimase integrato alla fondamenta, da farsi comunque dopo le relative comunicazioni al Comune. Realizzata la colata di cemento irrobustì come previsto tutto il perimetro della fondamenta.
Oggi siamo in grado di affermare con certezza, dopo le ovvie e relative indagini, che il transito della Via Claudia Augusta, sino a ieri considerato una semplice ipotesi, veniva a concludersi al porto in S. Michele del Quarto. Riprendeva poi il suo corso superando il ponte sul Sile. Ritenuto dubbio l'indirizzo di linea previsto dal De Bon, oggi si propende per una direzione diversa, attivata presso il castello di Musestre. E più avanti spiegheremo il perché.
Allacciata alla Claudia, venne aperta una seconda strada che non ha nulla a vedere con quella aperta da Roma, per quanto attualmente sia divenuta ad uso abituale, scorrevole e importante. (Via Roma per Casale)
La strada consolare sottoposta dunque all'eliminazione materiale e rimossa quindi anche dalla storia locale, non è più individuabile partendo da circa 2 Km prima dello sbocco al fiume.
Non lo è neppure dall'azienda comunale che pure talvolta ipotizzando la traiettoria, non riesce a capire obbligati dal fiume Sile in quale punto terminava. Non è conosciuta nemmeno dagli odierni archeologi che a quanto riferiscono i loro testi, avrebbe dovuto correre in linea retta sino al paese di Musestre, oltre il fiume detto Musestre. Insomma, sono tutte misure a carattere schematico. D'altra parte gli archeologi sono attualmente più interessati a scrivere libri che affondare le mani sulla nuda terra. Ecco perché le strade vanno ricercate, studiate e registrate, anche da chi magari, archeologo non è. (P.S)
(P.S) Si veda al capitolo n° 8, su paragrafo "Il transito e il termine della Claudia". Sull'argomento vi è anche una piantina disegnata a mano compresa di foto aerea.
Si veda anche sul presente testo n° 9 - su paragrafo " Pavanello e gli ariani" nel quale viene descritta la parte terminale della Via Claudia diretta al porto di Quarto d'Altino.
Lo scopo della natura e delle qualità delle reti stradali a Quarto d'Altino sono poche ma utili da sapersi, in ogni caso, conosciute o meno rimane comunque l'individuazione. Vale a dire, riconoscere la traiettoria, sia vecchia o magari anche antica, purché ne venga segnalato il corso, le dimensioni, l'aspetto materiale e le modifiche assunte.
Una delle maggiori trasformazioni viarie, venne dunque applicata sulla Via Claudia Augusta transitante all'epoca presso la piazza di Quarto d'Altino, dove anticamente confluiva al porto dell'allora S. Michele del Quarto. Zona in cui il tratto originario venne di fatto eliminato (2 km circa) dopo che la via, aveva esaurito la funzione per la quale era nata. E dopo la caduta di Venezia divenne a quel punto inservibile al commercio e di fatto rasa al suolo. Ma le tracce rimasero.
La seconda mutilazione
L'8 febbraio 2009, 44 anni dopo le precedenti varianti, venne anche aperto il cosiddetto "Passante" di Mestre. L'impietoso attraversamento locale finì per degradare parte del territorio, eliminando in certi casi, anche le strade segnalate nell'anno 1315, dai relativi sindaci detti anche Meriga.
L'imprudente mutamento rese anche vano a quanti erano dediti all'archeologia stradale del nostro capoluogo, tanto che si dovesse un giorno certificare ciò che in realtà esisteva, non saremmo in grado oggi ritrovare ciò che venne soppresso, o eliminato dalla storia locale, parte dei percorsi anticamente presenti sul nostro territorio.
Sarà quindi un ardua impresa raccogliere in futuro quel che dallo stravolgimento di ieri, collegando i resti di oggi. Fortunatamente i rilievi stradali dell'epoca sono stati precedentemente documentati e fotografati dal sottoscritto.
Durante il medesimo stravolgimento, venne anche smembrata l'antica via d'acqua chiamata "Fossa dell'Argine"' documentata nel 1315 dal Meriga, sig. Dulardo del fu Pietro sindaco di S. Michele del Quarto (La via d'acqua chiusa e divisa in parti è visibile nelle foto citate )
Per quanto riguarda i titoli delle viabilità, verranno descritte adeguatamente nel corso del testo. Quella ritenuta per noi la più interessante (L'odierna via Pascoli - tratto vecchio) verrà illustrata in forma dettagliata in quanto univa il vecchio S. Michele del Quarto a Povegliano Altinate.
Foto aerea. Passante di Mestre in Comune di Quarto d'Altino. Vedi in alto a destra come a sinistra la millenaria via d'acqua tinteggiata fotograficamente bluette, dove la Fossa dell'Argine appare deviata e condotta in un percorso chilometrico sotterraneo e buio.
Foto aerea. Passante di Mestre in Comune di Quarto d'Altino. Vedi in alto a destra come a sinistra la millenaria via d'acqua tinteggiata fotograficamente bluette, dove la Fossa dell'Argine appare deviata e condotta in un percorso chilometrico sotterraneo e buio.
Il fossato risale alla prima metà del 700. (sec. VIII) Venne realizzato dal re Longobardo Liutprando e dal Doge Anafesto, per segnare i confini dei propri territori: il trevigiano e veneziano.
Il fossato aperto a rettifilo, rispecchia le strade realizzate da Roma in evidente sviluppo retto. Del resto lo è anche l'accennata via per Povegliano altinate, oggi via Pascoli. Le acque della Fossa d'Argine provengono dal fiume Sile che dopo un lungo percorso piuttosto rettilineo, s'immettono sul fiumiciattolo Zero. Di recente il medesimo corso d'acqua venne fatto proseguire fornendo acqua potabile alle città di Mestre e Marghera. (Anni 60 del novecento) Per quanto riguarda le foto scattate durante la deviazione come il percorso sotterraneo della Fossa, saranno presentate qualora a Quarto d'Altino verrà istituita con l'intento storico, una mostra fotografica locale.
Via Pascoli: Descrizione a fini orientativi.
La mia giovinezza trascorsa sulla via aperta da Roma, sino a ieri priva di titolo.
La via di comunicazione aperta pressoché a rettifilo tra S. Michele del Quarto e il Pojan, indicava all'epoca della scuola dell'obbligo, una presunta antichità suggerita dalla maestra Maddalena Perazza in Goi. Durante le lezioni di storia, spiegava l'andamento rettilineo delle strade romane, per le quali allo stato di allora, non mi era possibile data l'età, approfondire nella ricerca ciò che ignoravo il termine stesso.
Quel viale privo di titolo durante la mia gioventù, si presentava in terra battuta e, in periodi alterni addirittura in uno stato di avanzato deterioramento. Piuttosto avallato e cosparso da profonde cavità, si riempivano d'acqua durante le stagioni piovose, soggette quindi a stagnazioni permanenti.
E rimanendo acquitrinose per mesi, costituivano per il passante diretto al centro paese un zigzagare continuo evitando col procedere insolito le torbide pozzanghere, qualora dapprima non si fosse infilato gli stivali a mezzo gambetto.
E noi giovani ignari di un itinerario che aveva a che fare con una strada antica, ma felici d'imbrattarsi nelle pozze d'acqua, provocava in gran parte di noi, ingenui ragazzi degli anni 40/50 (del novecento) un forte senso di piacere e di complicità.
Una connivenza non certo indicata dalla via che per età veniva dichiarata remota e che a noi manco interessava, se non tanto quanto, l'acqua piuttosto fangosa e rigenerante pari alla bellezza delle siepi variegate, fedeli compagne durante le escursioni estive. Stesso effetto generavano i piovaschi raccolti nei due fossati laterali, dove l'alberatura ombreggiante, si specchiava a fior dell'acqua, durante il graduale sole mattutino.
Gli avvallamenti come le cavità, non erano tanto percepibili durante il transito a piedi, bensì venivano avvertiti pesantemente a bordo dei carri agricoli in transito. Le ruote in legno cerchiate in ferro, aumentava il rumore provocato dagli sbalzi del carro, aggravati dal peso dei tini ricolmi di grappoli d'uva. La vendemmia al termine del mese di ottobre era di fatto conclusa e anche noi avevamo pressoché completato, le escursioni estive, dirette alle Crete, Poian e Gaggio.
All'epoca la via non era illuminata, né predisposta al transito di due carri opposti, tanto che l'uno o l'altro doveva sostare su spiazzi di fortuna. E se ben ricordo, spuntavano qua e là lungo l'intero condotto, pochissime abitazioni civili, se non quelle ad uso colonico, salvo nel modestissimo centro delle Crete.
Ai lati sostavano come accennato, due profondi fossati dai quali emergevano siepi di rovo dai frutti commestibili detti More. La barriera costituita dai lunghi gambi aculeati formante uno schermo intrecciato e invalicabile, vietava l'accesso a quanti di noi, intendeva raccogliere i prodotti mangerecci. Ma l'opportunità per mettere alla prova il nostro coraggio, si manifestò quando ci apparvero dai margini stradali, schiere d'alberi e ritti fusti di pioppo e carpini, da offrirci il varco necessario, utile per la raccolta dei grappoli neri dal sapore dolciastro senza procurarci ferite dai rovi.
Le gare a nuoto sul fiume Zero
La favorevole alberatura e la bellezza intatta della campagna (ora zona industriale) non esclusa la lunga parabola ieri ombreggiante, oggi desolata e spoglia transitata peraltro da automezzi e camion, non venne mai per ragioni che non conosciamo, a condizionare l'identità degli antichi e recenti residenti, ai quali il viale alberato e le lunghe schiere di siepi, simboleggiavano parte di loro stessi.
Eliminare alberi e siepi non avrebbe portato a nulla di buono, se non di togliere il piacevole effetto che l'insieme esprimeva, provocando reazioni negative ai passanti increduli.
E chissà, si sarebbero persino meravigliati gli antichi Meriga che fin dall'antichità ne avevano avuto cura. La capacità e l'onere straordinario assunto dai nostri predecessori, aveva di fatto generato quel verde alberato col quale in seguito giunse pressoché inalterato durante la nostra giovinezza. Epoca nella quale, ci eravamo affidati a quelle lunghe e ombrose chiome, ponendoci al riparo dalle calure e dal sole cocente, sino a raggiungere l'argine del fiumiciattolo Zero. E nell'impeto del lungo cammino alla nostra esuberante vivacità, ci buttavamo a nuoto tra le fresche e quiete acque non ancora inquinate.
Un'epoca certo segnata dal piacere dello stare insieme, dalle forti amicizie, genuine e oneste, ricche di ardori, slanci e inventive e poi a piedi nudi partire in flotta dal vecchio S. Michele del Quarto, percorrendo la strada alberata priva di nome sino a raggiungere il Pojan.
Frequentatori dunque del viale alberato, al quale i giovani d'oggi non piacerebbe affatto transitarvi, se non compiacersi dell'odierno traffico automobilistico, della comunicazione di massa e dei vari telefonini a regime satellitare e di tutte quelle diavolerie per le quali a lungo andare, finiscono per intossicare l'anima di quanti le usano frequentemente. Considerando e rispettando le loro abitudini, credo non abbiano mai sperimentato camminare a piedi scalzi sui sentieri di campagna, cogliendo i rumori e il verso della rana rifugiata tra le chine dei fossati.
Mi sarebbe piaciuto vederli sdraiati per una volta tanto, sulla paglia profumata e riposare sui fienili oramai scomparsi osservando ad occhi fissi, l'immensa uniformità del cielo, gustando sino in fondo la penetrante bellezza del creato. E infine ragionare con se stessi e chiedersi da dove inizia la volta celeste, in quale punto termina o si espande all'infinito.
Domandarsi poi il perché dell'aurora, del tramonto e dell'oscurità, diventerebbe un'attività piuttosto faticosa, perdita di tempo e noia. E tutto sommato, se dovessimo oggi in età avanzata confrontarci coi giovani ne usciremmo senz'altro vincitori. Vincenti perché cercavamo di capire senza l'aiuto di nessuno, dei concetti difficilmente comprensibili, ma celebrati utilmente con finalità di giudizio e grado. E questo fa la differenza.
Una seconda variante dell'epoca in corso, emerge quando durante quegli anni memorabili, ci rendevamo protagonisti al servizio della famiglia, della comunità e con quanto accadeva intorno al paese.
Per sé stesse, non sono cose molto importanti, certo non futili né inclini a forzature, bensì meta e traguardo a coronamento della nostra curiosità, in particolare all'ambientale in cui vivevamo. E così senza neanche rendersi conto, eravamo già diventati a quell'età, protagonisti nella famiglia, osservatori delle piante, degli animali e delle acque e della stessa natura.
Le raganelle lungo la via senza nome
Ritornando alle raganelle, quelle tinte verdi, dagli occhi umidi e rotondi, guardinghe esposte al sole, belle, delicate e dolci, luminose come le foglie vergini, morbide e lisce come il velluto, ti prendeva così l'istantanea volontà d'allungare la mano e accarezzarle. Altra cosa è rapirle e poi arrostirle per la cena di sera, come scioccamente s'inorgoglivano gli adulti.
Ma la ranocchia, creatura sensibile non ostile ad anima viva, temendo l'aggressività dell'uomo si tuffava rapidamente scomparendo tra i flutti intorbiditi dall'immersione. E lasciando dietro di sé un lungo strascico d'acqua limaccioso, rimaneva immobile, inquieta e pensierosa rifugiata sotto il molle terriccio. Trascorsi pochi minuti, balzava curiosa cogli occhi appena fuori dall'acqua e, notato lo scampato pericolo, riprendeva col suo gradevole e inconfondibile verso, la funzione per la quale il buon Dio l'aveva affidata alle acque e alla bellezza del mondo che aveva prodotto.
L'osteria detta al "Palazzetto"
Giunti presso il bivio diretto per Povegliano, sorge ancora tra un gruppo di case delimitate, la vecchia osteria oramai in disuso chiamata, "Al Palazzetto", sito antico delle Crete e fermata d'obbligo per chiunque avesse avuto necessità, di bagnarsi la gola arsa dalla calura.
Ebbene da quel punto, dopo il rituale sorseggio, la strada si avvia serpeggiando tra un mucchio di vecchi casolari (scomparsi oramai dalla circolazione) davanti ai quali sostavano gruppi d'animali da cortile, prigionieri di se stessi ma contenti d'essere tali.
Raggiunto il termine del viale, punto estremo del comune di Quarto d'Altino, si nota tuttora la strada interrotta dal greto del fiume Zero accanto al quale, emerge un solido ponte in ferro eretto nel XIX sec. (1800) Un collegamento dunque su cui vennero aperti i precedenti ponti in legno, usati dai residenti dell'antico Povegliano, dai prelati della Pieve crollata e dai residenti in S. Michele del Quarto.
P.S. L'odierno ponte secondo rilevamenti è stato rifatto nella stessa posizione in cui esisteva l'antico. E' orientato come lo era allora sulla strada per S. Michele del Quarto. L'ubicazione è certificata anche dalla fondamenta della chiesa e dello stesso cimitero eretti nei pressi del medesimo ponte, come del resto i residui archeologici provenienti dalla la città distrutta di Povegliano.
Periodo in cui il sottoscritto aveva compiuto circa 13 anni d'età, e partendo dalla casa nativa, (Il tribunale) raggiungevo coi compagni di fraterna amicizia il ponte sul fiume Zero. Punto nel quale i ragazzi, i più temerari della comitiva, si buttavano a tuffo in un canale chiamato fiume, dove le acque pulite e vive non erano da meno del Sile, dal quale il dissetarsi diventava un obbligo giornaliero.
Ed ecco dunque come la strada alberata priva di nome aperta da Roma, si dirigeva come accadeva ai primordi della civiltà, al porto e mercato istituiti in S. Michele del Quarto. E noi a percorrerla, lo ignoravamo del tutto.
(P S. - Il porto e mercato al Quarto vennero istituiti nel X sec. anno 996 da Ottone III) Nello stesso periodo venne aperto anche il mercato di Mestre a "Cavergnago"
Per chi o quanti non fossero pratici della zona compresa tra le Crete e l'antica Povegliano, si notava già d'allora, durante l'epoca della mia giovinezza, una moltitudine di blocchi di marmo limitrofi a Crea appartenuti alla Pieve crollata di S. Cassiano. In seguito la chiesa mutando nome acquisì quello di Santa Maria, presso cui, secondo il noto ricercatore Abramo Marcon, (7) distingueva il camposanto scomparso dai tratti di terra ondulati. Cimitero nel quale, vennero sepolte nei secoli scorsi, molte famiglie residenti in S. Michele del Quarto.
Per chi o quanti non fossero pratici della zona compresa tra le Crete e l'antica Povegliano, si notava già d'allora, durante l'epoca della mia giovinezza, una moltitudine di blocchi di marmo limitrofi a Crea appartenuti alla Pieve crollata di S. Cassiano. In seguito la chiesa mutando nome acquisì quello di Santa Maria, presso cui, secondo il noto ricercatore Abramo Marcon, (7) distingueva il camposanto scomparso dai tratti di terra ondulati. Cimitero nel quale, vennero sepolte nei secoli scorsi, molte famiglie residenti in S. Michele del Quarto.
(7) I registri relativi ai decessi appartenuti a S. Michele del Quarto e sepolti nell'antico Pojan, sono scomparsi. Si sono pure perduti i nomi e cognomi segnalati sulle croci, dalle quali si sarebbe potuto ricavare quelli di origine altinate. Alcuni storici di Marcon, ritengono che la fornace in discussione sia stata eretta nell'attuale Pojan... ma purtroppo si sbagliavano.
La fornace individuata
Di qua del fiume Zero, (lato "Crea") sorgeva infatti, tra i fondi delle Crete in comune di Quarto d'Altino, la fornace accennata, il percorso per arrivarci e le vie d'acqua.
A quel punto ho dovuto constatare quanto sia grande la ricchezza archeologica del nostro territorio. Una prosperità ricavata anche dai frammenti e dalle terraglie emerse di un passato stupefacente, e dalle competenze assunte durante le ricerche.
E se queste mie certificazioni dovessero limitare o addirittura negarne l'esistenza, devo dire con estrema delusione quanto sia grande l'indifferenza delle istituzioni archeologiche e il desolante squallore di quanti diffondendo inutili e utopistiche storie, cercano consensi e glorie giostrandovi attorno.
Qualora poi, si consideri l'argomento attendibile e degno di considerazione, si consiglia la lettura sino all'ultima frazione del testo. E' una lettura fondata sulla ricerca e studio su cui vi è pure annottata la traduzione personale del diploma di Ottone III. con la quale l'imperatore di origine teutonica, concedeva al doge Orseolo l'erezione dei citati porto e mercato. Ne uscirà credo, una testimonianza obbiettiva, schietta e reale mai conosciuta e apparsa prima.
Come punto di partenza, si è dato corso all'individuazione delle strade e dei blocchi di marmo emersi nel luogo in cui giaceva l'antica Pieve. Si parlerà poi di traffici e commerci, di porti e di rotte marittime, di scambi culturali, amicizie e familiarità, sorti sin dall'antichità tra le popolazioni del nostro territorio.
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Ecco perché dopo secoli di totale disinteresse, le reti stradali e le vie d'acqua rilevate nel nostro territorio, si sono dimostrate per la storia di Quarto d'Altino di straordinaria utilità.
E qui finalmente termina la lunga premessa al testo che seguita più avanti. Si tratta in ogni caso, di un intervento necessario al fine di comprendere non solo l'esigenza storica di chi scrive, bensì quella più appropriata e utile per la storia del nostro territorio. In più, ho creduto vantaggioso descrivere, in particolare per le generazioni future, come si mostrava durante la mia giovinezza la via diretta per Povegliano Altinate. Non dissimile certo dall'epoca Romana, tranne il decoro alberato oggi scomparso.
Secondo indagini accertate venne aperta da Roma allo scopo di unire Povegliano Altinate a S Michele del Quarto col suo porto e mercato. Anche tramite la fornace localizzata alle Crete (cui sono emersi reperti dell'epoca) laddove parte dei laterizi vennero sicuramente usati per la costruzione di Povegliano Altinate collegato ad Altino "da una strada detta alta". (Filiasi) La medesima fornace, avrebbe pure contribuito ad ampliare Altino collocato ad un solo "miglio e mezzo dal Pojan" (Scroccaro) cui ebbe pure parte il borgo delle Crete e S. Michele del Quarto. E con molta probabilità, alcuni quantitativi di mattoni venivano dirottati al porto dell'attuale Quarto d'Altino destinati alla produzione di opere artigianali della zona e per altri usi minori.
Oggi la strada abbandonata a se stessa, e per certi versi mutata dalla sua originaria attività, è stata recentemente dedicata dopo secoli di totale disinteresse, a quel famosissimo poeta e scrittore italiano Giovanni Pascoli. E nonostante il titolo prestigioso, rimane comunque una via profondamente trasformata, caduta peraltro nel dimenticatoio della storia limitata all'antico transito romano.
Una strada che ha tutto il diritto secondo le innumerevoli ed evidenti storpiature riferite, d'indurre all'incertezza anche le prossime e future indagini archeologiche, che dovranno assicurarsi della relativa fondatezza del luogo e di quanto in esso è emerso. "Ma il tempo" diceva saggiamente Alberto Alpago Novello "è meno ladro degli uomini" e qualcosa in più di ciò che sinora ha restituito, finirà per cedere ancora.
Buona lettura.
(PS) Il testo verrà prossimamente integrato da foto recenti e d'epoca.
Fine premessa
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Parte prima
Cose dell'antica Povegliano Altinate
e dell'antico sito delle Crete (Crea)
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Ovvero, l'origine della pieve di S. Cassiano
e i blocchi di marmo emersi.
Ovvero, l'origine della pieve di S. Cassiano
e i blocchi di marmo emersi.
Quei massi anneriti dal tempo rimasti per secoli sul nudo terreno, si notavano sparsi qua e là su di un fondo chiuso, come fossero emersi senza nessuna intrusione dell'uomo. Ma, se osservati attentamente, non pareva da un primo rapido sguardo, dopo che avevo varcato le reti di confine, un fatto di per sé naturale, bensì appositamente sollevati dagli alvei su cui giacevano.
Immobili da chissà quanto tempo, si notavano separati uno dall'altro, adagiati in quel grande piazzale dove la gente riteneva fossero accadute le cose più strane, fuorché il vissuto di una chiesa superiore alle altre. Eppure mani veloci e altrettanto inesperte, li avevano rimossi e utilizzati per impieghi diversi. Nel 1840 vennero anche raccolti i mattoni crollati dal perimetro della Pieve e usati per ampliare la chiesa di S. Bartolomeo di Gaggio. (1)
(1) La chiesa di Gaggio, venne ampliata nel 1840. Vale a dire un secolo prima dell'anno 1943, periodo in cui venne scavata la fondamenta per la nuova chiesa di S. Liberale e riempita coi blocchi tolti dalla Pieve crollata.
Durante le rimozioni a carattere talvolta furtivo, venivano riutilizzati, senza che la chiesa li avessero resi profani dalla sacralità, o più semplicemente, tolto la consacrazione mediante cerimonia. Fatto di per sé non consentito dalla chiesa.
Su segnalazione del sig. Abramo Marcon (2) che faremo conoscere ai lettori nei prossimi capitoli, andai in seguito a scattare una serie di foto documentando l'area in cui si stendevano i blocchi rimasti dalla Pieve crollata. Del cimitero oramai non si notava più traccia, tranne il terreno in cui risiedeva.
(2) Vedi su capitolo 11 la personalità di Abramo Marcon residente a S. Liberale di Marcon, presso l'antico Pojan.
Alla vista degli enormi macigni, suscitarono in me una viva e istantanea emozione. Un sentimento direi più responsabile di quando in gioventù raccattavo incauto e inesperto, anticaglie tra i dossi di Altino. Una pratica molto diffusa tra i giovani di Quarto d'Altino che nel raccogliere quei piccoli oggetti accresceva in loro e in me stesso, un forte spirito di ricerca da spingerci durante le belle stagioni sui dossi dello scomparso centro abitato. Luogo nel quale avevamo intuito che al sottosuolo, si stendevano in una profondità non accertabile i resti dell'antica città. E curiosando qua e là, rivoltando talora le zolle sossopra, emergevano strane pietruzze colorate che la pioggia dopo profonde arature, aveva sprigionato.
Le minuscole gemme
Le più luminose alla luce del sole parevano in un primo momento, fossero le tinte rosso e l'azzurro, ritenute erroneamente le più pregiate perché brillavano più degli altre. In realtà, capimmo molto più tardi che non lo erano affatto, né eccellevano più di quelle emerse successivamente.
Le minuscole gemme di varie dimensioni erano il prodotto assicuravano i coltivatori, delle raschiature del vomere su probabili pavimentazioni romane. Nell'udire la novità e per noi tal era, provammo una forte reattività originata probabilmente dal fattore storico ambientale, causa che comportò la passione per la ricerca praticata anche nella lettura su degli autori di provato studio, sino a maggiore età e oltre.
Memorie oramai divenute fugaci, più lontane che vicine e che purtroppo è tutto ciò di quanto rimane di quell'Altino imperiale assassinato dai barbari. Nonostante poi, la ricchezza dei materiali emersi fossero di scarso valore, più sentimentale che altro, eppure ci portarono incautamente, vittime peraltro della nostra immaturità, a donarle al proprietario dei fondi.
Memorie oramai divenute fugaci, più lontane che vicine e che purtroppo è tutto ciò di quanto rimane di quell'Altino imperiale assassinato dai barbari. Nonostante poi, la ricchezza dei materiali emersi fossero di scarso valore, più sentimentale che altro, eppure ci portarono incautamente, vittime peraltro della nostra immaturità, a donarle al proprietario dei fondi.
... in groppa alla propria cavalla.
Con le tasche dei pantaloni ripiene, incontrammo casualmente lungo la via Claudia Augusta il Conte Dino Lucheschi che in groppa alla propria cavalla si recava in visita alle mezzadrie di sua pertinenza. Nella circostanza unica accaduta, chiedeva incuriosito e con fare educato quale comportava un nobile proprietario dei fondi, dopo che ovviamente aveva intuito il contenuto delle nostre tasche, di riporlo se avessimo accettato di buon grado, nella sua villa. Timorati, non capimmo se fu una domanda o un comando.
In cambio ottenevamo un panino misto a cioccolata o altro. Talvolta il cameriere della Villa, ci proponeva formaggini etichettati "Vincere", dei quali nessuno tra noi ambiva. Diversamente la marmellata solida a forma quadrangolare era la più apprezzata. Gradita perché disponeva della facoltà, qualora avessimo svuotato le tasche dalle pietruzze, ottenendo in cambio la confettura da portare a casa.
E così, spinti dalla golosità, ma anche dal fascino di quei pezzi ben squadrati e solidi, cedemmo le pietruzze per pochi e miseri ritagli di marmellata. In realtà il Conte Dino non teneva per sé i gioiellini reperti bensì regalava agli amici e conoscenti. Ragione per cui capimmo che al Conte non interessavano le pietre colorate. Ciò che teneva per sé, erano gli oggetti più rappresentativi, provenienti dalle tombe, dalle urne cinerarie, dei quali ne aveva il giardino stracolmo, esposto alla vista di quanti come noi, vi entravamo per la prima volta.
I secolari macigni e la Pieve pericolante
L'emozione provata alla vista dei marmi (segnalati dal sig. Abramo) si manifestava però, molto più forte e anche diversa di quando eravamo ragazzi. Un sentimento direi superiore anche a ragione della nuova esperienza, per la quale il solo sfiorare i macigni stesi da ben 8 secoli, avrebbero a mio modo di vedere, spinto nella forza della fede i primi cristiani ad erigere dopo l'editto costantiniano, la Pieve di S. Cassiano di Povegliano Altinate.
(P.S.) Secondo il sig. Abramo Marcon che tolse i marmi dalle fondazioni della Pieve per la chiesa di S. Liberale, registrò sul fondo stesso la costituzione di un'ampia area interna entro la quale esisteva il cimitero.
Va pure sottolineato, che all'epoca non esistevano macchinari in grado di rimuovere e dislocare i blocchi dalle cave di marmo, non facilmente trasportabili per peso e misura. La fatica insostenibile incideva negativamente su tutti i lavoranti attivi al Poian e con essa mal si adattava anche il proseguo della Pieve. E malgrado lo sforzo e l'impegno fosse piuttosto gravoso, venivano soccorsi come poi si venne a sostenere durante le varie epoche, dal Credo nel Cristo Risorto. Un rapido sguardo sul loro passato, indicherebbe appunto la volontà di erigere una propria chiesa, lavorando gratuitamente.
Il crollo della Pievania
Nel 1400 circa, le ripetute alluvioni del fiume Zero e la conseguente fusione delle acque salse alle dolci, seguite dall'avariarsi delle acque in putrefazione, venne a diffondersi la malaria e abbandonata per tale causa la città e la Pieve stessa. La diserzione dalla citta, l'abbandono della Pieve e la rimozione dei religiosi provocò negli anni successivi, il crollo definitivo. Un documento del 1490 la si riconosce pericolante. Nei pressi si notava il cimitero dismesso.
La scomparsa del secolare e abituale ponte
Frattanto la Pievania del (Ponian - Povian o Poveglian) divenuta oramai luogo campestre e pressoché priva della popolazione, veniva affidata a Prè Appollonio rettore della chiesa di Marcon. (il /2/12/1439)
E con l'affidamento, scomparve dalla scena anche l'antica Povegliano assieme al suo ponte. Passeranno infatti almeno tre secoli prima che un nuovo collegamento tra le Crete e il Pojan, avesse luogo con Gaggio. Scomparve dunque per sempre quella chiesa superiore chiamata Pievania, quella che aveva dato prova di forte amicizia facilitando i problemi della nascente Cappella in S. Michele del Quarto.
Le colonne strappate al pericolo
Al crollo previsto, vennero tolte statue, altari, mobilia, suppellettili e trasportati in luoghi sacri in via di costruzione. Ciò che oggi rimane di materiale e di emozionante memoria, proviene dai ricordi storici della Congregazione di Casale sul Sile, in cui si legge che:".... le colonne dell'altare maggiore dell'odierna chiesa di Casale sul Sile, furono trasportate da quella atterrata di Povegliano. Dov'era la chiesa un tempo, oggidì è prato e si trovano ruderi e fondamenta".
Chi fosse interessato a toccare con mano le colonne del Pojan, si rechi presso la chiesa settecentesca di Santa Maria di Casale sul Sile dove tuttora reggono la parte superiore dell'altare maggiore. I pilastri tinti dalla natura verdino velato bianco e torniti a forma elicoidale susciteranno certo delle reazioni toccanti, qualora il visitatore dovesse chiedere al parroco di turno la provenienza. Ma il luogo d'origine non è purtroppo conosciuto, ma potendolo ipotizzare, potrebbe pervenire dalle ville abbandonate di Altino o dalla stessa Povegliano Altinate. O forse un prodotto trasferito in loco, dalle occupazioni romane.
La strada alta .... eretta in faccia ad Altino
Ma le memorie sulla Povegliano romana, non finiscono affatto col crollo della Pievania, nata ripetiamo, dopo l'editto costantiniano.
Qualcosa di utile e di materiale oltre ai recenti blocchi di marmo, si notava ancora durante alcune ispezioni a cura dell'illustre storico Filiasi, un antico collegamento tra Altino e il Pojan.
E infatti egli narra l'esistenza di una strada: "che comincia alta, buona, diritta che fino a Mogliano corre. Si vede correre quasi retta, è più alta dè campi all'intorno e ben diversa dalle acquose e fangose vie lì vicino. Chiamasi perciò la strada alta. Ella quasi niente viene usata perché infatti finisce tutta in una volta nelle indicate paludi e in faccia ad Altino, senza aver sfogo in nessun luogo".
Nel volume di Michele Fassina su Marcon, cita inoltre "una probante conferma della precarietà ambientale e dell'isolamento nel quale erano costretti a vivere gli abitanti di Povegliano, emerge quindi dagli interrogatori seguiti da una visita pastorale del 1490 in cui vengono narrate le difficoltà dei fedeli. Queste faticose peregrinazioni riferite da un vecchio contadino del posto, si rendono necessarie perché il prete non si presentava mai a celebrare la Messa a Povegliano, disertando la troppo disagevole e insalubre Pieve". (Ciò a conferma di quanto citato innanzi)
... steli e calici candidissimi (di Luigino Scroccaro)
I ricordi sull'antica Pieve e dei suoi abitanti, rivivono in una relazione del 1883 dalla quale la commissione archeologica in visita ad Altino riproposta dal dott. Luigino Scroccaro, emerge quanto segue: "A Pojanon si arriva scostandosi da Poian di fianco la fattoria dei Baroni Treves e seguendo per forse 600 metri un sentiero cretoso lungo i meandri dello Zero. In quella calda mattinata di primavera migliaia di ninfee porgevano dall'acqua i loro lunghi steli e calici candidissimi. E il luogo così solitario aveva ancora l'aspetto di un giardino amenissimo. Che qui fosse una delle ville altinati? Eravamo ad un solo miglio e mezzo da Altino. Il marmo assai notevole giace a modo di gradino innanzi al portico della cascina di Pojanon. "E' frammentato e ha delle lettere..." (Si trova sul portico della villa dei Baroni Treves, a circa 100 metri dall'antica Povegliano)
Il de profudis con Oremus
Mons. Giuseppe Duregon, fondatore della chiesa di S. Liberale già Povegliano Altinate, scriveva nelle sue memorie quando ancora si usava le rogazioni, una sosta particolare veniva riservata alla zona del Pojanon a ricordo del cimitero: "Prima di proseguire in via Provinciale, sosta verso Pojanon per la recita del De Profundis con Oremus in ricordo dell'antico cimitero".
Ipotesi sull'origine dei blocchi
della Pieve di S. Cassiano.
Per definizione di Pieve s'intende Chiesa madre di altre Chiese. Cioè capo Pieve di Chiese minori o cappelle come quella di S. Michele del Quarto.
I blocchi di marmo emersi dalle fondamenta dell'antica Pieve, provengono probabilmente dalla Via Claudia Augusta sito storico di Quarto d'Altino. Più che probabilità dovrebbe trattarsi di realtà, per la quale oggi è divenuta fondata verità a cui va aggiunto la stabile presenza della strada romana, che all'epoca dei prelievi effettuati per secoli, determinò tra le comunità limitrofe responsabili dell'asporto, un sistematico silenzio. Secondo il Filiasi per esempio, i blocchi della via Claudia Augusta, venivano tolti addirittura con la dinamite e trasportati altrove.
Le estrazioni venivano effettuate anche dai fondi nei quali si scoprivano tombe, ville o abitazioni crollate. Non dovremmo quindi stupirsi se i primi cristiani tolsero dalla via Claudia Augusta quei blocchi di marmo emersi e fotografati dal sottoscritto. Ai prelievi, seguivano pietre e mattoni, ripiani, davanzali, gradini e colonne, riutilizzate per la chiesa di Povegliano e per i domicili degli stessi prelevanti.
La bolla pontificia del 1152
E non sarebbe poi da stupirsi, se parte dei reperti, fossero stati usati per la medesima comunità. Priva di alloggi, non avrebbe certo potuto sopravvivere se non costruendo una serie di domicili dai quali nacque la città intorno alla chiesa, praticata più tardi anche dai residenti di S. Michele del Quarto. Zona dunque molto importante, nella quale stava sorgendo accanto al fiume Zero una nuova società col suo cimitero su di una strada e di un ponte aperti entrambi da Roma.
La prima menzione relativa alla Pieve, proviene infatti da una bolla pontificia del 1152 di Papa Eugenio III. Chiesa dunque molto antica eretta tra il sec. XI e XII. (1000/1100) della quale purtroppo non si conosce la data della prima pietra, né quella della consacrazione.
I mattoni pervenuti dalla fornace delle Crete
Non è da escludere inoltre che gli stessi mattoni adoperati per l'erezione della Pieve, siano stati prodotti dalla fornace romana situata alle Crete, da dove sono apparsi e continuano ad emergere reperti d'epoca sui quali più avanti daremo le dovute spiegazioni. Va in ogni caso registrato che la Pieve di Povegliano si collocava sulla sponda destra del fiume Zero in comune dell'odierno Marcon. Situata a sinistra, si collocava la frazione delle Crete, in comune S. Michele del Quarto.
Caduta Roma e con essa Altino, si da per scontato che la fornace delle Crete avesse continuato a produrre mattoni, ottenendo la massima richiesta dai paesi limitrofi, i più sviluppati quali erano Gaggio e Povegliano. Collegati entrambi alle Crete e al piccolo centro di S. Michele del Quarto, la fornace continuò nell'attività incrementando la zona, tra cui si suppone, anche il palazzo dei Zorzi (1400 circa) comprese le case coloniche stanziate nelle zone limitrofe del cosiddetto "Fortino". (S. Michele del Quarto)
Stesso sviluppo si sarebbe registrato anche durante l'apertura del porto e mercato istituito dai veneziani. (X sec. anno 996) E' dunque un errore affermare che la fornace localizzata in comune S. Michele del Quarto, risiedesse come alcuni storici narrano, in territorio dell'attuale Povegliano. Ed ora forniamo le prove. (3)
(3) -Il 2 novembre 1923 epoca fascista, la frazione "Creta" di S. Michele del Quarto aveva come insegnante la sig.ra Mattei Michieli Olga. Il carteggio ci permette di apprendere che a Crea o "Creta", titolo implicito nel documento, già sussistevano aule distaccate dal capoluogo per l'insegnamento scolastico.
In questa circostanza si viene a conoscere oltre ai titoli già citati, anche quello di "Creta" terra da fornace, mai comparso su carte ufficiali.
Il santuario di Bonisiolo, i blocchi di Altino e
"la via sistemata da poco".
Per quando riguarda il prelievo dei marmi, non sempre documentati e comunque tolti dalla Via Claudia Augusta detta anche "Lagozzo", si rende testimone il campanile del Santuario di Bonisiolo, (Tv) quando il 1° settembre 1852 venne collocata la prima pietra.
In quell'occasione vennero poste sulle fondamenta..."otto grossissime pietre cavate nell'antica strada romana detta l'Agozo". (La citazione è documentata)
Non è pertanto escluso che durante gli scavi dello stesso Santuario iniziato 241 anni prima, (il 18 dicembre 1611) vi si fossero posti i medesimi blocchi tolti dal "Lagozzo". E' noto che la via romana transitando per S. Michele del Quarto lambendo il Pojan, facilitava questo paese che nel bisogno si procurava quanto necessitava. L'occasione si rendeva effettivamente d'obbligo in quanto non sussistevano nella zona altre fonti di prelievo peraltro gratuite. L'eventualità estrattiva dunque esisteva.
I blocchi di pietra adagiati accanto al Capitello di via Pojanone.
Il prelievo esercitato certo per cattiva abitudine e non solo dai paesi del vicinato, ma anche dai più lontani e da quanti ne avevano necessità, si ritiene perciò sia stato iniziato durante l'epoca medioevale dai residenti del Pojan. Si sa ora per certo che i blocchi usati per l'antica Pieve, lo furono anche per il capitello di via Poianone dove alcuni pezzi tinti rosato, vennero appositamente adagiati accanto. Trasportati in memoria dell'antica Pieve, sono oggi gli ultimi elementi cultuali posti a ricordo dell'antico splendore di Altino. E quanti visiteranno la cappellina, si potranno rendere conto coi propri occhi.
La familiarità tra i paesi limitrofi e la prima menzione stradale su S. Michele del Quarto
Povegliano nel 1200 circa ricopriva com'è noto il ruolo di Capo-Pieve sull'allora S. Michele del Quarto (L'attuale Quarto d'Altino) che privo di Fonte Battesimale, doveva recarsi a battezzare presso la Pieve di S. Cassiano. Non è dunque da rifiutare l'ipotesi per la quale tra i due paesi limitrofi esistesse anche una certa familiarità, un amicizia segnata prevalentemente dall'attività della fornace, dai battesimi, sepolture ed incontri effettuati mezzo una strada pubblica che all'epoca non aveva titolo alcuno. (4) Tale strada, iniziava da S. Michele del Quarto (Ora S. Michele Vecchio del nuovo Quarto d'Altino) attraversava Le Crete (Crea all'epoca) sino alla Pieve di Povegliano.
(4) Si veda a proposito nel capitolo n°10: "I primi trent'anni festa S. Michele" dove nel capoverso dedicato alla "Perenigrazio Mariana" il sacerdote Scattolin don Carlo, afferma transitare in processione da S. Michele del Quarto (Quello vecchio) per le Crete mezzo una "via sistemata da poco".... priva dunque di titolo. E tale rimase sino all'apertura autostradale Venezia-Trieste del 1965 circa. In seguito assunse l'appellativo di Via Pascoli. La prima menzione relativa a tale strada, compare invece nella Regola della Capo-pieve di Povegliano di mercoledì 26 novembre 1315 nella quale il Meriga Andrea del fu Odorico, giurava davanti al notaio rendendo pubbliche le strade del suo comune. E fra queste, c'era anche la via "sistemata da poco" (La futura via Pascoli) citata dal parroco Scattolin.
L'accesso alla "Regula Capitis Plebis Pivigliani" le strade in comune S. Michele del Quarto e il significato di "Regola"
Il registro delle Regole del 1315, (5) limitava i sindaci imponendo loro di tenere in ordine le strade pubbliche, i corsi d'acqua, ponti e canali di pubblico uso. Per mezzo di questi documenti si è potuto risalire ad un titolo sinora sconosciuto attribuito a S. Michele del Quarto. Ebbene questa titolazione, seconda per ordine di cronaca annotata nero su bianco dal sig. Dulardo del fu Pietro sindaco del comune di S. Michele del Quarto, si chiama "Fortino", e il motivo lo scopriremo procedendo nella lettura.
(5) - Direttive o precetti di ciò che si deve fare nell'area assegnata da Povegliano.
Le carte e i documenti probanti
La via "sistemata da poco" menzionata dal rev. Scattolin (Attualmente via Pascoli) è la stessa riferita nella Regola della Capo-pieve di Povegliano, dove il Meriga Andrea del fu Odorico, rendendo note le strade del suo comune al Notaio Albertino Viviani, scriveva quanto segue: "... vi è una strada pubblica che va dal villaggio di Povegliano a quello di Bonisiolo. In essa vi è un ponte sopra il fiume Zero. Su detta strada vi è un altro ponte sopra il canale Arlerono (Oggi Fossa d'Argine) che scende dal fiume Siletto (Il riferimento è inesatto, si tratta invece del Sile) e finisce nel fiume Zero. Un altra via pubblica (Che si stacca da quella per Bonisiolo) conduce alla regola della chiesa di Quarto. (Di S. Michele Vecchio) e finisce insieme nel fiume Siletto. (Ripetiamo l'inesattezza, si tratta del Sile) Il Meriga disse infine che il Comune e gli uomini di Pivigliano devono tenere in ordine nel loro territorio le soprannominate strade ponti e canali". (6)
(6) Anticamente l'attuale Fossa D'argine fatta scavare da Liutprando re, sfocia tuttora sul fiume Zero. In epoche diverse veniva chiamata coi seguenti titoli: Arleloricus, Arleronus, Arleorico, Arzeronus, Arzeron. Nel 1936 dal testo pubblicato dall'ingegnere Erminio lucchini, lo definisce "Fossa detta Larzeron".
Il quesito temporaneamente irrisolto
(6) La Regola di Povegliano pubblicata in tardo latino il 26 novembre 1315 dal notaio Albertino venne in seguito tradotta, anno 1992, dalla dott. Adriana Gusso con errori di sito (Località) nei capoversi sopra citati. Si veda le correzioni indicate nel paragrafo sopra, dove il Siletto, fiume in località Portegrandi, non ha nessuna attinenza di luogo e titolo col fiume Sile. Questo è infatti l'errore rilevato sul quesito irrisolto dalla Gusso.
La regola di Povegliano si trova anche in "Notizie Storiche sul Castello di Mestre". (Barcella 1839) Le regole in questo caso non sono tradotte.
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Parte seconda.
La Regola di Povegliano tradotta nei termini attuali e, l'errore della dott.ssa Gusso
La traduzione della regola di Povegliano pubblicata parzialmente nel contesto attuale, è oggi oggetto di dibattito in quanto la versione della signora Gusso, presenta alcuni errori di fondo.
La dottoressa infatti confonde il fiume Siletto col Siloncello in località Tre Palade e, lo stesso Siletto col Sile situato a S. Michele Vecchio. Il frainteso non ha pertanto risolto il rebus della strada che allora conduceva a S. Michele del Quarto. (Vecchio) Rimasto per secoli nel vago, ora qui a riprova dell'errore, pubblichiamo l'esatta collocazione delle strade e dello stesso fiume Sile. Provvederò a questo punto a diffondere una mia cartina disegnata a mano provvista di foto, in cui si notano le strade, titoli, ponti e canali relativi al 1315.
Il bozzetto ovviamente evidenzia anche la "Fornace" già operante nella regola di Fortino del 1315 (S. Michele del Quarto) là dove il sindaco Dulardo del fu Pietro Meriga di Quarto, riferisce senza confondere le pertinenze altrui. (al contrario della Gusso che pare non accorgersene)
Il fabbricato ex romano, (la fornace) è collocato come si nota nella cartina, sulla strada che conduce per Bonisiolo la quale, mediante piccolo incrocio devia verso nord, (verso il Sile e non il Siletto) spingendosi sino alla regola di Quarto. (Cioè a Fortino)
Il bivio posizionato pressoché a fronte della fornace, dimostra il collegamento tuttora attuale delle due strade tra le citate località: ovvero tra le vie prive di titolo. La stessa strada (Oggi via Pascoli vecchia) è la medesima via citata dal rev. Scattolin quando quel lunedì 9 agosto 1954 diretto in processione per le Crete, percorse l'antica viabilità sino a scorgere i resti della Pieve di Povegliano.
In quell'occasione il sottoscritto incaricato come chierichetto durante l'anno Santo Mariano, può confermare la processione, le tappe, le soste, interruzioni e prosegui. (7)
(7) Vedi anche in nota n° 4. La processione è stata resa più ampia sul capitolo n° 10 relativo ai: "Primi 30 anni festa S. Michele" su cui è narrata la scomparsa di Enrico.
(7) Vedi anche in nota n° 4. La processione è stata resa più ampia sul capitolo n° 10 relativo ai: "Primi 30 anni festa S. Michele" su cui è narrata la scomparsa di Enrico.
L'ubicazione non lascia alternative
A consolidare l'attività della fornace, emerse come già avevo indicato nel sopralluogo citato (la strada Pubblica per Bonisiolo) cumuli di pietre e varie antichità riconducibili al periodo romano.
Ovviamente raccolsi in fretta alcuni reperti e dopo averli posti a confronto su foto di orientamento archeologico, dichiaravano appartenere all'epoca accennata. Alcuni vennero prodotti e usati per confezionare tessuti in canapa e lana chiamati pesi per telai.
Contemporaneamente vennero alla luce, ornamenti in cotto destinati presumibilmente ad abbellire cornicioni o altro su abitazioni di origine medioevale. (Sono conservati e su richiesta possono essere visionati)
E questi ultimi fanno ragionevolmente supporre come la fornace abbia operato anche dopo la caduta di Roma. Una mia intuizione, direi equilibrata e concreta, mette in rilievo la presenza in zona delle Crete, una comunità impegnata nella produzione di ceramiche, terraglie e simili, anche nelle lavorazioni manifatturiere come risulta dai pesi per telai.
Ma l'aspetto più importante dei ritrovamenti, rimane il sottofondo cretoso della terra, dichiarato dal toponimo stesso "Crea": ovvero terra da fornace. In seguito verrà trasformato col titolo odierno "Le Crete" sito in comune di Quarto d'Altino. Vediamo ora la cartina.
E questi ultimi fanno ragionevolmente supporre come la fornace abbia operato anche dopo la caduta di Roma. Una mia intuizione, direi equilibrata e concreta, mette in rilievo la presenza in zona delle Crete, una comunità impegnata nella produzione di ceramiche, terraglie e simili, anche nelle lavorazioni manifatturiere come risulta dai pesi per telai.
Ma l'aspetto più importante dei ritrovamenti, rimane il sottofondo cretoso della terra, dichiarato dal toponimo stesso "Crea": ovvero terra da fornace. In seguito verrà trasformato col titolo odierno "Le Crete" sito in comune di Quarto d'Altino. Vediamo ora la cartina.
La cartina relativa al 1315 mostra la via per Bonisiolo compreso il bivio per Quarto d'Altino, già S. Michele del Quarto. Per facilitare la lettura sono stati posti alcuni odierni fabbricati quali l'Osteria al Palazzetto, il tracciato autostradale e ferroviario. Il resto è rimasto immutato, fatto salvo la fornace crollata e la chiesa di Quarto che all'epoca della demolizione - 1906 - non era la stessa eretta dai Longobardi. I ponti ovviamente sono stati rifatti nella posizione in cui anticamente sorsero.
"Regula Fortini".
La regola di Fortino e il porto e mercato istituiti in "Sancto Michaele qui diciturs Quartus"
Attualmente la via Pojanone, sito dell'attuale S. Liberale di Marcon, non è altro che un'appendice della centuriazione romana che all'epoca della conquista, s'intervallava tra percorsi commerciali e militari diretti al porto S. Michele del Quarto. Collegata alla cosiddetta "strada pubblica" (segnalata dal Meriga Andrea del fu Odorico) si lasciava alle spalle i boschi cedui del Pojan, i frammenti delle ville romane, la fornace delle Crete, le paludi e i fossati d'intorno sino a giungerei nella proprietà della regola di "Fortino". (Quarto d'Altino)
Titolo e luogo laddove il "Meriga" residente a Fortino, certo Dulardo del fu Pietro, segnalava al notaio Viviani la presenza: "di una strada pubblica che inizia nei pressi della fornace di Quarto nella Regola di Casale, (8) e per la stessa si va per il villaggio e per il territorio di Fortino verso mattina (9) e finisce nella regola di Bosco Siglone..." Il Meriga Dulardo del fu Pietro ordina infine, che gli uomini della Regola di Fortino devono tenere in ordine la strada (Oggi via Pascoli) nel loro territorio, compresa di un ponte sopra una fossa che scorre sul canale di Quarto.
Concludendo la deposizione verbalizzata dal notaio, spinge l'allora compaesano sig. "Vendramino di donna Menega, che possiede terre nei pressi della chiesa di Fortino, di tenere in ottimo stato, ponte e fossa nel suo Territorio":
(8) La fornace di Quarto per la quale il Meriga afferma collocarsi sulla strada per Casale, in realtà è la medesima che conduce per Bonisiolo e per lo stesso Casale sul Sile. Non è escluso che la via diretta per Bonisiolo sia appartenuta per i servizi citati, congiuntamente alla regola di Povegliano, come a Casale quanto al comune di Quarto.
(8) La fornace di Quarto per la quale il Meriga afferma collocarsi sulla strada per Casale, in realtà è la medesima che conduce per Bonisiolo e per lo stesso Casale sul Sile. Non è escluso che la via diretta per Bonisiolo sia appartenuta per i servizi citati, congiuntamente alla regola di Povegliano, come a Casale quanto al comune di Quarto.
Per quanto riguarda invece la regola per Casale, iniziava dal ponte della Fossa d'Argine, sito in località Crete, e si dirigeva per Bonisiolo (Vedi foto) dove appunto principiava il confine e lo è tuttora, del comune di Casale indicato nella regola.
A metà circa della suddetta via, prendeva spunto curvando a destra (Verso nord) la strada per S. Michele del Quarto dove nei pressi della deviazione, o incrocio se vogliamo, iniziava il rettifilo sino a raggiungere la piazzetta dove nel 1400 circa, si stanzierà il palazzo dei Zorzi. Ci sembra a questo punto aver fornito il necessario per la soluzione del secolare equivoco. Qualora non fosse recepito o per altre cause ritenuto non sufficiente, mi si contatti.
L'errore, sarebbe sorto a nostro avviso, dall'evasione delle regole affidate a competenze diverse su traiettorie separate prive di titolo, accresciute dall'errata traduzione della dott. Gusso. Anche dal Meriga Andrea del fu Odorico il quale avendo cura di un piccolo tratto sul territorio del Quarto, potrebbe suggerire al lettore fosse stato proprietà del suo comune. Non si esclude inoltre, che l'insieme delle attività tenute sull'intero territorio, sia dovuto invece su richiesta dei prelati di Povegliano, che interessati al medesimo ordine stradale, intendeva coinvolgere lo stesso comune di S. Michele del Quarto che doveva dirigersi al cimitero, ai battesimi e alle funzioni religiose. Viceversa i residenti di Povegliano i quali recandosi al mercato e porto in S. Michele, partecipavano su ordine del proprio Meriga, alle medesime cure stradali.
A metà circa della suddetta via, prendeva spunto curvando a destra (Verso nord) la strada per S. Michele del Quarto dove nei pressi della deviazione, o incrocio se vogliamo, iniziava il rettifilo sino a raggiungere la piazzetta dove nel 1400 circa, si stanzierà il palazzo dei Zorzi. Ci sembra a questo punto aver fornito il necessario per la soluzione del secolare equivoco. Qualora non fosse recepito o per altre cause ritenuto non sufficiente, mi si contatti.
L'errore, sarebbe sorto a nostro avviso, dall'evasione delle regole affidate a competenze diverse su traiettorie separate prive di titolo, accresciute dall'errata traduzione della dott. Gusso. Anche dal Meriga Andrea del fu Odorico il quale avendo cura di un piccolo tratto sul territorio del Quarto, potrebbe suggerire al lettore fosse stato proprietà del suo comune. Non si esclude inoltre, che l'insieme delle attività tenute sull'intero territorio, sia dovuto invece su richiesta dei prelati di Povegliano, che interessati al medesimo ordine stradale, intendeva coinvolgere lo stesso comune di S. Michele del Quarto che doveva dirigersi al cimitero, ai battesimi e alle funzioni religiose. Viceversa i residenti di Povegliano i quali recandosi al mercato e porto in S. Michele, partecipavano su ordine del proprio Meriga, alle medesime cure stradali.
(9) Fortino: il toponimo relativo a S.Michele del Quarto indica una struttura fortificata eretta nei pressi del fiume Sile. Nella regola di Fortino (da fortezza appunto) esisteva un fortilizio o se vogliamo un caposaldo, provvisto di prigione e tribunale dai quali, nel 1400 circa, le stesse mansioni svolte dalla Torre vennero trasferite al palazzo Zorzi detto appunto il "Tribunale. Palazzo che, pare avesse assunto la medesima giurisdizione in materia civile e penale dopo la distruzione della stessa Torre detta allora di "Dogliono" (nome probabile del proprietario) La Torre venne in seguito abbattuta dai veneziani in disputa col padovano Ezzelino Da Romano, il quale dominava il Sile mezzo il castello di Casale.
(9) Per quanto riguarda il Palazzo Zorzi, posso assicurare in quanto nacqui e vi abitai piuttosto a lungo, che tale residenza, non ha mai posseduto stucchi preziosi, gessi a soffitto, a parete o comunque di origine pregiata.
Non sono mai apparsi inoltre, affreschi, pitture decorazioni che avessero potuto caratterizzare il nobile casato. Marmi e pavimenti raffinati non ve sono. La piazzetta antistante non ha mai conosciuto Barchessa o simile da contenere carrozze e cavalli di proprietà nobiliare. Il palazzo non è neppure censito come abitazione a carattere aristocratico e neanche come villa nella migliore tradizione veneziana.
Né sulla piazzetta si è mai notata la presenza di qualunque oratorio, o cappella, né mai venne avvertita dalla memoria locale e neanche dalla topografia dell'epoca. E tanto meno vi sarebbero spuntati giardini fioriti e piante secolari, dove appunto, nel mappale del 1665 non vi si nota traccia alcuna.
Sulla piazzetta nacque soltanto quel mercato concesso da Ottone III e, che durò sino alla caduta di Venezia. (1779) Sopravvisse in tono minore sino alle soglie circa del XX sec. (1900) L'erezione del nuovo S. Michele del Quarto fu la causa principale per la quale il mercato scomparve del tutto. Va anche registrato che nella medesima piazza cui ora si stanzia il palazzo Zorzi, si teneva sino agli anni 50/60 del novecento, una sala da ballo detta piattaforma o tendone. Residuato probabile, dei divertimenti, balli e canti tenuti in antichità presso il sagrato della chiesa del vecchio S. Michele del Quarto, transitati poi, forse a ricordo, nella citata sala da ballo, o piattaforma.
(9) Bosco Siglone ovvero Bocca del Silone è l'inizio del fiume Silone in località Portegrandi. L'abitato possedeva un oratorio o chiesuola antica dedicata a S. Martino ed è tuttora esistente. Si trova nei pressi della conca di navigazione. Venne sconsacrato nel 1912, attualmente ha subito gravi danni e crolli e vige in uno stato di pietoso abbandono.
Vedi la fossa dell'Argine a sx e la via per Bonisiolo a dx entrambe distrutte e non più recuperabili. Foto archivio storico Bonesso Alfio Giovanni. Copyright dell'autore.
A sx. Nota il ponte sulla fossa d'Argine in località le Crete. Da quel punto la via citata dal Meriga proseguiva sulla regola di Casale per Bonisiolo. Il collegamento tra le due entità è stato rifatto più volte nello stesso punto circa in cui operava dal 1315.
A seguito del passaggio del cosiddetto "Passante di Mestre" (2007) il medesimo e ultimo ponte registrato durante la stesura della nostra storia, venne abbattuto e mai più rifatto. La Fossa d'Argine, venne fatta scavare come citato sopra, nella prima metà del 700 dal re longobardo Liutprando e dal doge Anafesto per segnare i confini tra il trevigiano di culto ariano e il dogado di fede cristiana. Nel 2007 la fossa subì una deviazione chilometrica condotta su di un percorso sotterraneo e buio causato dal "Passante di Mestre".
Alla luce delle odierne malformazioni stradali e delle altrettante modifiche alternate a curve e ricurve e tagli sui luoghi originari, anche il corso d'acqua ha dovuto subire una deviazione in sviluppo sotterraneo non comune alla logica ambientale. Si trattò a nostro parere di un azzardo incomprensibile contrario al decoro ambientale, irrispettoso dell'antichità del fossato e del suo corso.
Alla luce delle odierne malformazioni stradali e delle altrettante modifiche alternate a curve e ricurve e tagli sui luoghi originari, anche il corso d'acqua ha dovuto subire una deviazione in sviluppo sotterraneo non comune alla logica ambientale. Si trattò a nostro parere di un azzardo incomprensibile contrario al decoro ambientale, irrispettoso dell'antichità del fossato e del suo corso.
Gli odierni estimatori delle acque provenienti dalle risorgive del fiume Sile, manifestano pertanto collera e sdegno su di una risoluzione dichiaratamente anomala. Un transito ripetiamo che subendo alquante svolte atipiche, non è più riconoscibile dall'originaria traiettoria e non di meno, per la vitalità e scorrevolezza che allora mostrava ai passanti. Le fu tolto persino la trasparenza delle acque, la freschezza, il portamento romantico e distrutto per sempre una via d'acqua tipica dell'epoca romana.
La foto sopra a destra scattata dal cavalcavia di Quarto (Ora abbattuto) mostra la via per Bonisiolo, demolita e tagliata a seguito del medesimo passante. Tale strada, a partire dal 1315 e sicuramente anche prima, si collegava alla regola di Povegliano sino al ponte delle Crete in comune di Quarto d'Altino. Poi, proseguiva sino a Bonisiolo.
Per chi intende approfondire la storia sulle strade stravolte il località Le Crete, necessita di una guida del luogo.
Le molteplici istantanee realizzate durante i lavori del Passante, sono conservate dallo scrivente. Sarebbe pertanto indicato per chi o quanti intendessero approfondire la storia iniziata dal sottoscritto, di visionare le foto tramite richiesta. Non è ovviamente esclusa la zona in cui Liutprando re segnò i propri confini, come del resto lo sono tutte le strade segnalate dal Meriga Andrea del fu Odorico e, dello stesso Dulardo del fu Pietro sindaco di S. Michele. Si consiglia pertanto un sopralluogo guidato sulle zone indicate (come cita il Pavanello) dove tutto appare clamorosamente evidente, e tuttavia impossibile individuare senza una guida del luogo. Dall'indagine non è escluso il porto e mercato istituito dai veneziani, praticati successivamente dai Meriga e dal popolo tutto della zona.
e lo scalo portuale di Quarto
La via per Fortino (Ovvero per Quarto d'Altino) si dipartiva dalla citata fornace e correva pressoché in linea retta sino a far capolino sulla piazza mercato in S. Michele del Quarto. Dal medesimo piazzale, a una distanza circa di un tiro di schioppo, operava verso levante costeggiando l'argine del Sile, il porto mercantile autorizzato dal giovane imperatore Ottone III. Punto in cui il Doge Orseolo II, aveva creduto opportuno porvi per l'estensione e lo spazio dei margini in cui sorgeva (oggi alterato dal moto ondoso) uno scalo fluviale collegato ai fiumi Silone e Siloncello le cui acque avevano sfocio sull'area adriatica per la Venezia nascente.
In tal senso il doge, ritenendo imminente la fondazione della repubblica di Venezia, l'aveva di fatto già celebrata nel momento in cui aveva ottenuto la concessione su di un porto già preesistente (Pavanello) aperto presumibilmente da Roma e che peraltro, lambiva la Via Claudia Augusta. Del resto, il territorio di Quarto, all'epoca del Doge Orseolo, si trovava già sotto giurisdizione veneziana e dopo la concessione si fece interprete del territorio fondando la Repubblica. (10)
Secondo i reperti emersi nella zona del porto, della recente piazza e lungo via Stazione, confermano a nostro avviso lo scalo portuale istituito da Roma.
(10)- Sul lembo portuale dell'odierno Quarto d'Altino s'ipotizza secondo reperti emersi presso piazza S. Michele e lungo via Stazione (ex via Pascoloni, titolo ricavato da Cà Pascoloni) sia stato frequentato da coloni romani o quanto meno da schiavi o liberti.
I resti disseminati lungo tale via fanno supporre ad un tracciato diretto alla mezzadria (o casa colonica) detta appunto Cà Pascoloni. Il sentiero portava alla suddetta casa ubicata presso il canale consorziale Carmason e stanziata lungo l'odierno viale della Resistenza.
Sarebbe dunque interessante conoscere se davvero il tracciato avesse proseguito sino a Povegliano oltre l'antica Gaidum. (L'attuale Gaggio) Solamente uno studio autorevole potrebbe confermarlo. Per quanto ci riguarda dovrebbe trattarsi di una pista d'accesso al porto sul fiume Sile, utilizzato dai coloni della zona a contatto con la città di Povegliano.
Oltre alla probabile pista, esisteva la via pubblica citata, (priva di titolo) stanziata ad ovest del porto indicata sul mappale del 1665 con funzione di collegamento tra Povegliano e S. Michele del Quarto.
(10) - Cà Pascoloni: imponente abitazione seicentesca collegata al Sile col citato tracciato o pista di origine romana. Nei pressi della stessa mezzadria, emersero alcuni insediamenti romani dei quali gli stessi abitanti della zona conservano alcuni resti recuperati. L'edificio detto Cà Pascoloni venne abbattuto poco prima o durante la grande guerra. Di esso non vi rimane traccia, tranne su carte topografiche o simili.
Lungo il medesimo tracciato (Oggi via Stazione) che porta ugualmente a Cà Pascoloni vennero alla luce anfore di diversa tipologia sepolte nel primo tratto di via Stazione. E infatti, durante gli anni cinquanta del novecento quando il paese di Quarto si era avviato alle opere edili, emersero i suddetti resti durante il collocamento di un pozzo a sezione circolare per acqua potabile.
E ancora, durante scavi per l'erezione delle scuole pubbliche effettuati presso l'odierna piazza S. Michele dove nei pressi correva la Via Claudia Augusta, emerse tra il 1935/36, anfore e armi da taglio. Tutto questo fa pensare ad un sentiero o quant'altro, diretto al porto sul Sile, presso cui transitava come accennato, la via Claudia Augusta.
Foto archivio storico Bonesso Alfio Giovanni. Copyright dell'autore.
Foto a destra, nota oltre il fiume Sile il borgo di Musestre sprovvisto dell'area portuale, già di per se irrilevante all'epoca di Roma, dei Candiani e Collalto.
Vedi sotto, la descrizione storica secondo il Pavanello relativa al porto S. Michele del Quarto di origine romana, divenuto in seguito veneziano. Caduta la Repubblica di Venezia (1879) cadde anche in oblio lo scalo portuale in S. Michele del Quarto.
Sul capitolo ottavo vi sono approfondimenti sul transito della Via Claudia Augusta e relativa immissione al porto di Quarto d'Altino.
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Il preesistente porto di Quarto d'Altino enunciato dal Pavanello.
L'evidente ampiezza del millenario porto in S. Michele del Quarto collocato nell'odierno Quarto d'Altino, ricorda lo stretto legame che aveva la Venezia nascente su di uno scalo portuale già preesistente. La nascita risale secondo assodate indagini all'epoca romana. L'area venne scelta dal doge di Venezia Orseolo II e dopo quattro anni di intensa attività, divenne un vero e proprio complesso portuale attrezzato per il traffico merci sino a Treviso e nell'area mediterranea. Grazie anche al controllo dei commerci col levante.
A lato del fiume correva lambendo le acque come probabile fermata intermedia da Altino, la via imperiale Claudia Augusta. Strada per la quale, non potendo i cariaggi sostenere su di essa un ritmo accelerato, dovuto al manto stradale ondulato segnato dai solchi delle ruote, veniva perciò sostituito dai navicelli tramite le acque del Sile. Causa probabile per cui la Claudia, da una condizione di continuo traffico, finì per esaurirsi tra Altino e il "Quartum". La via venne così a decadere per l breve tratto, in uno stato di minore prestigio, sino all'abbandono dei mezzi di trasporto effettuati in loco.
Il resto diretto per l'Austria e Germania continuò ancora per anni, in particolare il traffico militare.
Le odierne alluvioni e il moto ondoso
Nonostante le continue alluvioni del fiume Sile e dell'erosione dei margini causato dal moto ondoso, a cui va aggiunto l'abbandono istituzionale locale e regionale, oggi il porto di Quarto d'Altino resiste e si ripete seguitando nell'eroica attitudine di un tempo.
A documentare lo sfaldamento provocato dalle acque, vi sono numerose foto d'epoca probanti la correità del caso. Unico porto peraltro, dove non è mai stato praticato nessun genere di restauro, come avviene regolarmente nei porti stanziati in provincia di Treviso. La cittadinanza locale si chiede oramai da mezzo secolo e più, se esistono davvero calcoli preordinati non solo sulle precedenze, ma anche sui ripetuti danneggiamenti e relative ristrutturazioni .
E malgrado la disgregazione e la conseguente riduzione del suolo, il fiume si ripete come si nota nella foto sopra, nella millenaria tradizione portuale veneziana. A partire dagli anni ottanta del novecento, il porto si riconferma in funzione moderna, restituendo alla memoria locale la vitalità e il vissuto del passato. Ed ecco spuntare la navigazione privata e sportiva, i fuochi artificiali, anche sull'acqua, incontri culturali, pesca, svaghi e altro. Sono tradizioni probanti fondamenti antichi per i quali oggi dopo secoli d'inattività, rivivono tra la gente nell'operosità fluviale di un tempo
Il porto marginale di Musestre
Uno scalo portuale dunque, quantificabile per proporzione e misura, superiore almeno, di 20 o 30 volte a quello marginale di Musestre, e ora dopo la batosta napoleonica finalmente riprende il suo corso di vita rinnovata. Altrettanto ampio se non di più, si mostrava anche il mercato aperto al Quarto Miglio da Altino, accessibile da qualunque punto cardinale e non solo fluviale. In particolare veniva frequentato dal circondario altinate, compresa la città di Povegliano, Gaggio, Casale e oltre. Secondo l'illustre storico G. Filiasi, il porto veniva praticato anche dai trevigiani mezzo la via detta Altinum-Tarvisium. I Bellunesi e Friulani, scendevano a valle mediante la Claudia Augusta. Anche "Tedeschi e popoli di tali province..." frequentavano il mercato tramite la via imperiale partendo da Augsburg in Germania. (Filiasi)
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Parte terza
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Parte terza
La lezione del prudente e riflessivo Pavanello
(Storico illustre da imitare)
Lo stesso Pavanello nella sua Guida sui porti e mercati visitati in provincia di Venezia, elenca anche la zona presso S. Michele del Quarto. E seguendo le tracce, si soffermava in particolare dove sorgeva il mercato di Musestre su cui dichiarava quanto segue:" ... poco lungi da esso, s'apriva un nuovo mercato di maggiore importanza, sulla vicinale trivigiana di Pojan in S. Michele del Quarto..." E in seguito aggiunge: "...più che una concessione ai veneziani, si tratterebbe del riconoscimento di uno stato di cose già preesistente. Scendendo poi da Treviso al mare, "s'incontra Casale esistente già nell'anno 962, S. Michele del Quarto a destra, Musestre a sinistra, l'uno dirimpetto all'altro".
(Storico illustre da imitare)
Lo stesso Pavanello nella sua Guida sui porti e mercati visitati in provincia di Venezia, elenca anche la zona presso S. Michele del Quarto. E seguendo le tracce, si soffermava in particolare dove sorgeva il mercato di Musestre su cui dichiarava quanto segue:" ... poco lungi da esso, s'apriva un nuovo mercato di maggiore importanza, sulla vicinale trivigiana di Pojan in S. Michele del Quarto..." E in seguito aggiunge: "...più che una concessione ai veneziani, si tratterebbe del riconoscimento di uno stato di cose già preesistente. Scendendo poi da Treviso al mare, "s'incontra Casale esistente già nell'anno 962, S. Michele del Quarto a destra, Musestre a sinistra, l'uno dirimpetto all'altro".
Dunque S. Michele del Quarto col suo porto secondo il Pavanello, già si evidenziava anche come un centro abitato.
Notizie di carattere fantasiose pubblicate da storici dell'area trevigiana
Nell'anno 994, Musestre com'è noto, non era più nelle mani del veneziano Vitale Candiano, né il grande mercato ritenuto dal Pavanello di "maggiore importanza", sarebbe mai sorto come affermano certi storici, in quello spazio ridotto qual era ed è tuttora Musestre. Del resto, l'area di ieri non è mutata all'oggi e data l'angusta superficie della località trevigiana, non avrebbe mai consentito un mercato di tale imponenza. Per contro, vi sono alcuni trattati ad opera di vari esponenti di orientamento locale che spingono e inducono il lettore a far credere che il porto "Di maggiore importanza", sia sorto proprio in località di Musestre. (11)
(11) Alcuni recenti trattati inducono infatti a far credere al lettore nella pretestuosa leggenda. Leggenda per la quale non si è mai avuto peraltro notizia storica.
Ebbene codesti letterati, completamente all'oscuro di quanto emerge in territorio altinate, laddove la scarsa o quasi nulla applicazione di studio sul territorio di Quarto d'Altino, dimostra il contrario di quanto asseriscono. Si rifanno perciò a notizie di carattere fantasiose o talvolta ideate da loro stessi a sostegno del proprio paese.
Secondo il Pavanello, il porto sorse sulla sponda destra del Sile in S. Michele del Quarto. Frattanto, la presenza della famiglia patrizia veneziana, (Candiano, probabile fondatore del porticciolo di Musestre) aveva smesso il proprio governo trasferendolo al feudo trevigiano dei Collalto. E questi, non avrebbero mai consentito l'erezione, pur non potendolo fare, di un porto e mercato fronteggianti Musestre. Motivo per cui avrebbero potuto danneggiare quelli dalla parte opposta in mano per l'appunto ai Collato.
D'altra parte il feudo dei patrizi trevigiani non avendo nessuna funzione legale sul territorio in S. Michele del Quarto, non avrebbero mai potuto legalmente contrastare ciò che venne autorizzato tramite trattato, dall'imperatore Ottone III al doge di Venezia.
La replica del Pavanello e
lo stato del porto preesistente
Ribadendo la paternità del porto in S. Michele del Quarto, il Pavanello insiste mantenendo una certa e dignitosa discrezione, asserendo che il porto di Quarto non è altro che il "riconoscimento di uno stato di cose già preesistente": come dire che già esisteva.
lo stato del porto preesistente
Ribadendo la paternità del porto in S. Michele del Quarto, il Pavanello insiste mantenendo una certa e dignitosa discrezione, asserendo che il porto di Quarto non è altro che il "riconoscimento di uno stato di cose già preesistente": come dire che già esisteva.
E' comunque arduo prevederne il periodo, per quanto all'epoca della citata "Praeexistentis Romanae" (Preesistenza romana) il porto non era di proprietà privata, se non acquisita più tardi dall'Ottone, che nell'anno 996 conferì al doge. Si ritiene pertanto che Roma, consapevole della propria forza si sia impadronita pacificamente della zon e della stessa area portuale sino allora inutilizzata da un vero traffico navale. Si tratterebbe ora, d'individuarne il periodo, epoca e circostanza. Vediamo.
La funzione portuale ed emporica al Quartum mai stata citata dagli storici moderni.
E chi altri, se non Roma avrebbe aperto il porto, se non durante l'occupazione della "Venetia" e relativa fondazione di Altino? L'apertura della via Claudia Augusta realizzata in seguito e l'insediamento agricolo al Quartum posto sull'ansa del Sile presso l'odierno S. Michele Vecchio, favorì a nostro avviso la nascita del porto e anche del "Vicus" costituito alla "Quarta Lapide". Si ritiene dunque che il Vicus con funzione di deposito granaglie e allevamenti, sia stato collegato all'epoca di Roma coi navicelli di trasporto da Altino al porto dell'odierno Quarto d'Altino diretti per Treviso. Il traffico merci avveniva limitatamente come citato, per mezzo della Claudia Augusta in quanto strada poco veloce e meno scorrevole dai carri.
E chi altri, se non Roma avrebbe aperto il porto, se non durante l'occupazione della "Venetia" e relativa fondazione di Altino? L'apertura della via Claudia Augusta realizzata in seguito e l'insediamento agricolo al Quartum posto sull'ansa del Sile presso l'odierno S. Michele Vecchio, favorì a nostro avviso la nascita del porto e anche del "Vicus" costituito alla "Quarta Lapide". Si ritiene dunque che il Vicus con funzione di deposito granaglie e allevamenti, sia stato collegato all'epoca di Roma coi navicelli di trasporto da Altino al porto dell'odierno Quarto d'Altino diretti per Treviso. Il traffico merci avveniva limitatamente come citato, per mezzo della Claudia Augusta in quanto strada poco veloce e meno scorrevole dai carri.
In realtà, l'insediamento portuale di Roma non è affatto da ritenersi ipotizzabile, anzi direi attendibile in quanto la permanente e secolare presenza romana al "Vicus" agricolo provvisto di depositi cereali, dimostra la presenza dello scalo portuale sul fiume Sile aperto sulla linea della via Claudia Augusta. Zona in cui si ritiene fosse frequentato anche da residenti scaricatori portuali. (Vedi foto aerea)
Gestendo quindi l'enorme spazio con funzione di carico e scarico, le cui caratteristiche del terreno di ieri sono simili ad oggi, è anche dimostrato dal livello delle acque equivalenti al piano costiero, dove avveniva facilmente il trasbordo delle merci. Punto nel quale si provvedeva al carico alimentare per Treviso e su tutte le stazioni di scalo lungo il corso del fiume e viceversa. Ed è ciò che non accadeva dal verso opposto, cioè in località di Musestre laddove il porticciolo non possedendo tali requisiti, veniva penalizzato dall'esistente pendio di risalita e dalla pericolosa discesa. Meno agibile quindi, più faticoso e laborioso il carico e scarico, tenendo conto anche il tempo necessario per l'attività.
Le risorse alimentari prodotte nell'attiguo Vicus
Lo stanziamento del porto sarebbe anche provato dal traffico ridotto, se si esclude la Claudia come strada prettamente militare, che all'epoca tra Altino e il porto di Quarto era pressoché divenuta una semplice parabola non più attivata al trasporto merci. Dalla via infatti, emergeva un lastricato di solchi profondi, affaticanti al tiraggio degli animali diretti al porto, costretti perciò ad un'andatura difficile e piuttosto lenta. Più fattibile e veloce si mostrava invece la via d'acqua frequentata dai navicelli romani in partenza da Altino al porto di Quarto, dove imbarcando le risorse alimentari provenienti dall'attiguo Vicus, procedevano diretti sino a Treviso.
Abbandonato quindi il porto, la Claudia riprendeva il suo corso elevato e retto costeggiando le acque del fiume sino all'odierna torre di Musestre, che all'epoca non esisteva. Superato il ponte sul Sile si allontanava dalle acque transitate dai navicelli e proseguiva diretta verso nord.
La tesi emporica è giustificata dall'insediamento romano (Emporica, centro di attività commerciale)
A provare la tesi dell'insediamento romano, ci viene incontro a partire dal VI sec. a.C. la funzione portuale ed emporica esercitata dalle influenze Greche ed Egee sull'area di Altino. La presenza dei naviganti stranieri, avrebbe così prodotto un flusso mercantile anche sui fiumi dove in seguito nacquero anche i porti e fra i tanti, non si esclude possa essere sorto anche quello di Quarto d'Altino. Epoca per la quale si deve sommare anche l'arrivo dei Celti, Etruschi ed Umbri, i quali avrebbero aperto a loro volta, centri di scambio sulle aree portuali in quanto dediti al commercio. Gli oggetti di quell'antico commercio, si possono rintracciare scavando nei sepolcri euganei ed atesini.
In base a queste conoscenza storiche e a quanto risulta dal quadro degli insediamenti antichi, viene dunque a delinearsi l'immagine di Altino imperiale, caratterizzato da una remota vocazione di mercato e di attività marittima. E questo lo porterà alla confluenza dei fiumi alpini e di risorgiva (Tipo Sile) aperti all'Adriatico e alle rotte mediterranee.
Tutto questo accadeva in passato, sino a quando Ottone III, concedeva nell'anno di grazia 1° maggio 996, il privilegio al doge Orseolo II di aprire un porto e mercato alla "Quarta Lapide", (Al Quarto Miglio) dove già esisteva secondo il Pavanello un porto preesistente. Ciò significa che Venezia a quel punto, aveva ottenuto o stava per ottenere, il controllo su tutto il territorio alla destra del fiume Sile.
Pavanello: il rabdomante della storia
e delle strade locali.
Il Pavanello nato a Meolo nel 1871/1933, rilevò e documentò durante il sopralluogo effettuato al Quarto Miglio, le strade urbane del vecchio S. Michele del Quarto. Le testimonianze dettagliate del rabdomante della storia sono da ritenersi realmente fondate dopo che aveva deciso di recarsi per la contiguità del proprio comune a S. Michele del Quarto. E visitando le antiche vie di probabile apertura romana, ebbe dunque tempo e modo di percorrerle, accertandosi anche dell'antica presenza del porto e mercato.
La conferma del vicinale diretto al Pojan
L'ispezione effettuata in tutte le direzioni esistenti, gli permise indagare l'area stessa dove sorgevano entrambi i soggetti, oltre s'intende alla strada, per la quale egli rileva e conferma come "Vicinale trevigiana diretta al Pojan". Le analisi, rilievi e studi hanno dunque consentito al Pavanello, di raggiungere risultati incontrovertibili e definitivi. Ed è ciò che alcuni odierni storici, evitano riferire.
La scrupolosa coscienza del Pavanello
Obbiettivamente, l'espressione del Pavanello sul cosiddetto Vicinale non fa una piega e anzi, è la prova più concreta del suo passaggio a sfondo ricognitivo, come del resto sono gli studi effettuati su l'intero percorso sino a raggiungere il fiume Zero, oltre Povegliano Altinate.
Nessun altro storico infatti, o persona titolata avrebbe mai diffuso il sostantivo Vicinale, se non avesse esplorato il viale e verificato la presenza del porto e mercato. (Vicinale: strada contigua-vicina al mercato) Va dunque riconosciuto al Pavanello il merito e la cautela con le quali divulgò con scrupolosa coscienza, notizie di carattere storico ambientale. Non prima però, di aver visionato e praticato studi sui luoghi che lui stesso aveva dapprima indicato. Un modello di ricerca dunque, da imitare per chiunque, in particolare da quanti non hanno mai praticato, né indagato le strade di Quarto d'Altino, né mai le percorsero credendo non esistessero.
L'illusoria negazione del porto Altinate
Nessun altro storico infatti, o persona titolata avrebbe mai diffuso il sostantivo Vicinale, se non avesse esplorato il viale e verificato la presenza del porto e mercato. (Vicinale: strada contigua-vicina al mercato) Va dunque riconosciuto al Pavanello il merito e la cautela con le quali divulgò con scrupolosa coscienza, notizie di carattere storico ambientale. Non prima però, di aver visionato e praticato studi sui luoghi che lui stesso aveva dapprima indicato. Un modello di ricerca dunque, da imitare per chiunque, in particolare da quanti non hanno mai praticato, né indagato le strade di Quarto d'Altino, né mai le percorsero credendo non esistessero.
L'illusoria negazione del porto Altinate
e l'invasione di Attila.
Le prove documentate dapprima dal Filiasi poi dal Pavanello ci consentono a questo punto, confutare quanti con fantasiose allocuzioni avevano scritto con nostra perplessità, che il ponte sul Sile tra Quarto e Musestre, fosse stato abbattuto da Attila o dagli stessi abitanti di Altino negando con ciò la realizzazione del mercato e l'attività del porto in S. Michele del Quarto.
In realtà le asserzioni di codesti storici non tengono conto che Attila nel momento in cui entrò nella città transitando sui ponti senza resistenza nemica, su sarebbe anche accertato che godevano di buona salute. Né Attilla, l'Unno stratega li avrebbe mai abbattuti considerando un eventuale ritirata militare dai luoghi conquistati, né autorizzato confutare le proprie decisioni e le capacità di leadership quali egli godeva. E tanto meno quei ponti li avrebbero abbattuti gli abitanti di Altino o i residenti al "Quartum" i quali, privandosi del transito giornaliero non avrebbero potuto dedicarsi prigionieri di se stessi, al commercio e ai lavori campestri per lungo tempo. Non si venga quindi ad insistere sull'abbattimento dei ponti.
Le prove documentate dapprima dal Filiasi poi dal Pavanello ci consentono a questo punto, confutare quanti con fantasiose allocuzioni avevano scritto con nostra perplessità, che il ponte sul Sile tra Quarto e Musestre, fosse stato abbattuto da Attila o dagli stessi abitanti di Altino negando con ciò la realizzazione del mercato e l'attività del porto in S. Michele del Quarto.
In realtà le asserzioni di codesti storici non tengono conto che Attila nel momento in cui entrò nella città transitando sui ponti senza resistenza nemica, su sarebbe anche accertato che godevano di buona salute. Né Attilla, l'Unno stratega li avrebbe mai abbattuti considerando un eventuale ritirata militare dai luoghi conquistati, né autorizzato confutare le proprie decisioni e le capacità di leadership quali egli godeva. E tanto meno quei ponti li avrebbero abbattuti gli abitanti di Altino o i residenti al "Quartum" i quali, privandosi del transito giornaliero non avrebbero potuto dedicarsi prigionieri di se stessi, al commercio e ai lavori campestri per lungo tempo. Non si venga quindi ad insistere sull'abbattimento dei ponti.
Gli improvvidi storici
La motivazione di questi improvvidi storici, ricercatori, studiosi ma non certo obbiettivi, sottintende purtroppo l'esigenza di trarne la massima utilità dimostrando il contrario di ciò che la realtà evidenzia. Cosicché fanno credere ai lettori e alla storia, che i popoli del nord e i residenti di Musestre, non avessero potuto transitare al porto e al mercato aperto al Quarto miglio, negando entrambe le istituzioni concesse dall'Ottone III.
Il deplorevole annuncio del ponte abbattuto, è dovuto ad un interesse prettamente localistico
E ancora - Se poi l'evento di Attila, avesse davvero scosso o distrutto la città di Altino ponti compresi, come taluni e moderni storici continuano a scrivere, sono oggi smentiti dallo storico diacono Giovanni il quale nei propri testi ne avrebbe fatto almeno menzione. Ma sui ponti sul Sile e sulla distruzione di Altino, tace completamente. Un silenzio che sottintende un evento dubbio o inesistente, essendo egli stesso il primo narratore dopo gli eventi di Attila. I romanzieri venuti secoli dopo, si sono rivolti cimentandosi sullo stesso argomento, descrivendo fantasiose narrazioni popolari e che oggi risorgono per interessi prettamente localistici.
L'inutile favoritismo ben si adatta a riempire pagine inutili nei loro testi.
L'inutile favoritismo ben si adatta a riempire pagine inutili nei loro testi.
Concludendo. E' stata davvero una trovata veramente geniale, quella da chi o quanti si sono proposti glorificare località e luoghi di proprio gradimento. Ebbene questi signori, peccano a nostro parere nel dimostrare la giustezza della loro identificazione, spesso sacrificando intenzionalmente la verità.
Suggerisco di affrontare la storia e i misteri che ancora la circonda, con serietà, ragionando sui temi irrisolti, favorendo osservazioni concrete e reali, e che finalmente pongano a termine l'oramai insopportabile partigianeria locale. Un favoritismo peraltro inutile ma che ben si adatta a riempire pagine nei loro testi.
Non si conosce d'altra parte il periodo della durata dei ponti, tanto meno il momento in cui crollarono, per quanto si possa ipotizzare siano stati restaurati dagli stessi Candiano e Collato e forse anche prima della loro venuta. Costoro infatti, possedendo particolari interessi sul territorio del Quarto, (su entrambe le sponde in realtà) dovevano pertanto tenerli in condizioni accettabili. E questi durarono finché i loro cospicui guadagni non ebbero a diminuire e quando vennero meno, abbandonarono i ponti al loro destino. (P.S)
(P.S) - La famiglia Candiano di stirpe veneziana, veneziano egli stesso, curava gli interessi della famiglia su ambedue le sponde, in particolare quella soggetta alla Venezia nascente. Stessi interessi nutriva anche la famiglia trevigiana dei Collalto.
A proposito di ponti...
"Campagnole": antica frazione di Quarto d'Altino e il ponte della "Pedona".
A provare la tesi relativa ai ponti crollati, veniva eretto in un periodo a noi sconosciuto, un secondo ponte detto della "Pedona" transitabile a piedi e a cavallo tra "Campagnole", (12) e Musestre.
Questo piccolo villaggio stanziato in completo eremo tra i latifondi del Quartum, separato peraltro dal centro abitato del Vecchio S. Michele del Quarto, aveva ottenuto tale nominativo per la sua condizione di abbandono.
Era ed è tuttora collocato presso la riva destra del fiume Sile lungo la strada che porta in direzione delle Tre Palade. Ed oggi, ciò che rimane di quell'antico caseggiato di probabile erezione settecentesca (fine settecento) non è più quello cui si sarebbe potuto notare quando circa 150 anni fa venne eretto. Molto è andato perduto, distrutto o crollato.
(12) Campagnole: antica frazione di S. Michele del Quarto tuttora esistente malgrado non sia riconosciuta come tale, neanche in termini storici. In realtà, non siamo certi se l'amministrazione comunale ne sia al corrente, né come luogo in cui anticamente sorse e, neanche se venne riconosciuta come frazione.
(P.S) - La famiglia Candiano di stirpe veneziana, veneziano egli stesso, curava gli interessi della famiglia su ambedue le sponde, in particolare quella soggetta alla Venezia nascente. Stessi interessi nutriva anche la famiglia trevigiana dei Collalto.
A proposito di ponti...
"Campagnole": antica frazione di Quarto d'Altino e il ponte della "Pedona".
A provare la tesi relativa ai ponti crollati, veniva eretto in un periodo a noi sconosciuto, un secondo ponte detto della "Pedona" transitabile a piedi e a cavallo tra "Campagnole", (12) e Musestre.
Questo piccolo villaggio stanziato in completo eremo tra i latifondi del Quartum, separato peraltro dal centro abitato del Vecchio S. Michele del Quarto, aveva ottenuto tale nominativo per la sua condizione di abbandono.
Era ed è tuttora collocato presso la riva destra del fiume Sile lungo la strada che porta in direzione delle Tre Palade. Ed oggi, ciò che rimane di quell'antico caseggiato di probabile erezione settecentesca (fine settecento) non è più quello cui si sarebbe potuto notare quando circa 150 anni fa venne eretto. Molto è andato perduto, distrutto o crollato.
(12) Campagnole: antica frazione di S. Michele del Quarto tuttora esistente malgrado non sia riconosciuta come tale, neanche in termini storici. In realtà, non siamo certi se l'amministrazione comunale ne sia al corrente, né come luogo in cui anticamente sorse e, neanche se venne riconosciuta come frazione.
In ogni caso il titolo della località già esisteva a memoria degli anziani. Il recupero del titolo e del punto esatto in cui sorse, si potrebbe trarre visionando i documenti dell'epoca, come del resto è già stato fatto, senza ricevere conferma. Il nominativo e circa la zona rilevata, sono invece conservati in un documento antico, a meno che non si tratti di una denominazione popolare. L'attestato è comunque conservato dallo scrivente.
"Campagnole": un silenzio tombale
Da secoli versava in uno stato di svilimento e di separazione claustrale, causata dalla povertà derivata dallo stesso capoluogo. Perciò, si convenne allo stato delle cose, realizzare una passerella o viadotto di collegamento sul fiume Sile, laddove il documento cita essere "un sito convenientissimo pel gettamento di un ponte". (i termini sono documentati) In quale periodo venne di fatto eretto e aperto al pubblico non è conosciuto, per quanto si siano realizzate ricerche ricavate dai resti emersi.
E tanto durò quel ponte, da permettere il passaggio al conte Giulay stanziato a Musestre, come agli stessi residenti diffusi lungo l'area costeggiante il Sile. Com'è noto il nobile e ricco proprietario, possedendo fondi in proprietà anche sulla sponda del veneziano, si recava nella frazione detta "Campagnole", dove godeva di una serie di mezzadrie e addetti al servizio. La tesi è confermata in quanto di fronte la casa colonica di proprietà Giulay, dominava lo stemma gentilizio del nobile Boemo. Venne fissata in quella posizione sin da quando la mezzadria venne eretta, dopodiché, durante gli anni cinquanta del novecento scomparve misteriosamente.
Oggi, sulla facciata della casa si nota soltanto la traccia dello stemma.
Quali dei due? Forse entrambi?
Non conosciamo se all'epoca del transito attribuito al blasonato patrizio, si fosse dato luogo ad un precedente tentativo per la costruzione di un ponte. Fatto sta che, durante alcune sistemazioni sull'attuale abitato, emerse un blocco enorme di cemento collegato al Sile attribuito all'erezione di un secondo ponte. E di quale ponte si tratterebbe? Del primo detto della "Pedona" di probabile origine fibrosa, (in legno) del quale ci viene tramandata la memoria, oppure del secondo le cui fondazioni sono in cemento. (visibili mediante scavo)
A meno che non si tratti e qui sorge il dubbio, del medesimo ponte eretto in un solo esemplare. In ogni caso i collegamenti sono stai realizzati in epoche diverse, ragione per cui si propende per l'erezione di due ponti, i quali avrebbero autorizzato il passaggio ad entrambe le comunità, anche allo stesso conte Gyulai proprietario di alcuni fondi in S. Michele del Quarto. Questo fa capire quanto a lungo duravano i ponti, se controllati e soggetti a spese manutentive. Specie se eretti dal nobile Boemo.
E parlando di ponti, ritorniamo ovviamente ai nobili Collalto e il porto e mercato in Musestre narrati da alcuni storici, i quali, sembrerebbero più impegnati a tramandare storielle stravaganti piuttosto che determinare il reale. E assegnano alla creduta prestigiosa località di Musestre, l'esclusività del porto e l'insediamento nella zona, non offrono la possibilità ad una definitiva e autentica soluzione.
A Musestre infatti, a quanto emerge dai documenti, operava solamente un modestissimo mercato equivalente al suo porto, del quale si nota tuttora la pochezza strutturale e la ristrettezza dell'estensione, non equiparabile a quello aperto in S. Michele del Quarto. E questo riferimento basta e ne avanza, qualora s'intenda il significato del verosimile.
Studiare attentamente i ponti e la strade antiche aperte in S. Michele del Quarto, non è un impresa facile.
Vorrei dunque suggerire a codesti storici di studiare attentamente i ponti, strade, stradine e altro, aperte da Roma in comune di Quarto d'Altino. Non è possibile approfondire la sua storia se non si studia la ricchezza e l'operosità dei suoi sentieri, anche se talvolta paiono occulti ma non definitivamente. Non è poi da sorvolare sui viottoli definiti talvolta tracciati, dai quali potrebbero emergere antiche servitù attraversate in epoche sconosciute e modificate nel tempo.
Una magra figura
Sono poi da conoscere a fondo gli itinerari campestri più ampi rispetto ai minori, che per quanto alterati o variati dagli usi moderni sono stati diversamente aperti per altre finalità. Stesso problema sono i corsi d'acqua, i canali e i fossati resi talvolta occulti o interrati. Se per altre ragioni questi studiosi insistono nell'applicarsi solamente al proprio territorio, ebbene è giunto il momento di darsi da fare e studiare anche il territorio del veneziano, quello posto di la del Sile in faccia a Musestre... senza copiare le ricerche realizzate da altri.
Si correrebbe altrimenti il rischio di fare, come del resto è già stato fatto, una magra figura di fronte alla storia e un'altrettanta magra consolazione di fronte ai lettori.
Vediamo frattanto alcune foto sul porto usato dalla Repubblica di Venezia aperto da Roma.
Poco lontano verso occidente lungo l'argine che porta al Quarto miglio, si notava dallo scalo portuale aperto dai veneziani, la chiesa relativa a S. Michele del Quarto provvista del settecentesco campanile alto e appuntito. La sommità del quale, segnava sulle acque riflesse dal Sile, l'imminente presenza del fossato fatto scavare da Liutprando re. (Fossa dell'argine) Aperto pressoché a rettifilo, indispensabile secondo il re longobardo di religione cristiana, per indicare il confine tra il trevigiano di culto ariano e il Quarto miglio di fede Cristiana. (L'odierno S. Michele Vecchio)
Pavanello e gli Ariani
Malgrado sia rimasto ben poco di quanto la via d'acqua manifestava all'epoca del re Longobardo, oggi invece a causa delle deviazioni è stata per di più declassata in un canale minore senza dignità. Eppure quel pezzo di rigagnolo rimasto, continua a narrare la medesima storia di secoli fa, quando la fede cristiana stanziata al "Quartum" combatté dominando l'arianesimo. Scriveva a proposito il Pavanello: "... gli ariani davano uno spettacolo d'intolleranza incalzando fuori dalla città lungo le "vicinali" di Treviso i loro concittadini cristiani". (All'epoca i vescovi trevigiani di orientamento ariano, istruivano i fedeli alla pratica ariana)
E di strade minori isolate e buie dette "Vicinali", ve n'erano moltissime anche tra il "Quartum" e il Pojan, sotto giurisdizione peraltro del vescovo trevigiano ariano.
E tali vicinali aperte da Roma non certo per uso anticristiano, avrebbero potuto essere utilizzate anche dagli ariani locali presenti tra Quarto e Musestre.
Uno dei quali per esempio, su cui viaggiavano alcuni adepti del prete Ario (P.S) e quindi incrociato i cristiani Teonisto, Tabra e Tabrata, vennero martirizzati sul ponte di Musestre. Vicinale che tuttora porta a Casale. Un'imboscata mortale che avrebbe potuto manifestarsi anche sulla deserta e poco frequentata "Vicinale trevigiana di Pojan in S. Michele del Quarto"'. (Pavanello)
(P.S) Ario prete africano iniziatore dell'arianesimo, negava l'uguaglianza del Figlio al Padre e quindi la natura divina del proprio Figlio.
Veduta fotografica probante l'immissione della Claudia al porto dell'odierno Quarto d'Altino.
A sx foto aerea tagliata lateralmente. A destra, veduta del porto eseguita dal ponte autostradale. Vedi su capitolo n° 8/ 2001 l'immissione della Claudia al porto di Quarto d'Altino. Vi sono precisazioni sul paragrafo "L'emersione dei blocchi di marmo".
Foto Archivio storico Alfio Bonesso Giovanni. Copyright dell'autore.
Foto a sx. Nota in alto quasi al limite della foto, il rettifilo della Via Claudia Augusta diretta al porto sul Sile già scalo portuale di Roma. La traiettoria si dirige esattamente sullo scalo fluviale di Quarto, ex romano e veneziano. Per quanto riguarda il ponte su cui transitava l'esercito di Roma per la Germania non vi è più traccia. Salvo le fondamenta visibili sul fondo del fiume.
Foto a dx, emerge la notevole estensione, visibile anche per l'ampiezza del porto altinate.
E' usato tuttora dai navicelli, ai quali è stato assegnato il compito di sistemare i danni provocati agli argini derivati dal moto ondoso. Vedi foto in cui il navicello imbarca blocchi di roccia al porto di Quarto destinati al trevigiano. Gli argini, vengono infatti riparati ogni qualvolta si rende necessario, tranne quando si deve restaurare il porto di Quarto d'Altino (Ve) dall'erosione delle acque.
Nota storica
Ricordi apparentemente insignificanti riemersi scorrendo gli anni 50/60 del novecento
Ovvero, le contravvenzioni automobilistiche e l'utilizzazione dello stemma del Leone di S. Marco sino a ieri avversato nel trevigiano.
Abbandonato dunque il porto di Quarto al proprio destino, la cui causa peraltro non è mai stata resa nota, se non quella di estendersi in un grande area portuale e di condurre la propria e non facile esistenza in provincia di Venezia. Una città che trae dall'acqua del mare l'unica condizione di vita possibile, difficilmente comprensibile da che ebbe i natali nella terraferma. Continente nel quale dove l'apparente pazienza nell'impazienza trevigiana, credeva di trovarsi davanti a dei veneziani coi pantaloni rimboccati sino alle caviglie, (causa l'acqua alta) o magari intenti a collocare in un atto di riverenza, fastelli di fiori alle Madonne site tra i capitelli della laguna. (Tuttora usuale) E c'era pure d'aspettarsi secondo i trevigiani, che non fossero neanche in grado di guidare l'automobile e meno ancora, pedalare in biciletta. (Roba da non credere) E questo e altro che diremo, suscitava contorni beffardi diretti al capoluogo e provincia di Venezia.
"Veneziani di acqua alta" scandivano beffardamente i trevigiani durante gli anni 50/60 del novecento. E i vigili urbani in accordo con un tema che aveva dell'assurdo e coi sentimenti ridicoli superati dal tempo, pare non avessero simpatie per le auto targate VE. (oltre alla cura dei capitelli posizionati sull'acqua) Ragione per cui, avevano escogitato un tecnica furbesca, rifilando multe improprie alle auto veneziane. Per non parlare poi di altrettante storielle poco edificanti causate dall'intolleranza trevigiana di origine Ariana. (Non Cristiana)
Ora finalmente la situazione è mutata e Treviso divenuto frattanto equilibrato nel comportamento e più incline a comprendere le ragioni e lo stato d'animo dei veneziani, parerebbe ora disposto ad una sostanziale affinità di vedute e di programma col veneziano. In realtà, nessun essere vivente a Venezia e provincia si sarebbe mai aspettato a distanza di circa un trentennio, un siffatto cambio di marcia e di vedute.
Fatto sta, che tali mutamenti di forma e carattere che peraltro ha interessato anche la vita intellettuale di molte persone della Marca, sarebbero state prodotte dalla maturata consapevolezza per la quale lo stemma del Leone di S. Marco, si era fatto improvvisamente a Treviso e d'intorni, un simbolo di alto gradimento.
Eppure, sino a poco tempo addietro venivano scherniti e derisi pure i veneziani di provincia, la cui unica colpa si configurava nel possedere soltanto un auto targata VE. Ma le mode si sa, cambiano velocemente, e quando mutano puzzano di bruciato.
Ed ora che l'ordine mentale nel trevigiano è stato ristabilito, teme di conseguenza il rifiuto dello stemma Marciano qualora i veneziani incazzati dai ricordi delle multe e dalle costanti prese in giro, dovessero proibirne l'uso. E così, di fronte a tale e tanto mutamento, dovremmo concludere che nel trevigiano sia accaduto davvero un fatto davvero eclatante. Eccezionale direi, sin da quando almeno, quel simbolo ritenuto ieri irrilevante, oggi è divenuto fondamentale. Non è raro infatti notare il Leone di S. Marco affisso di recente sulle mura delle abitazioni della Marca, inclusi i numerosi vessilli durante le feste popolari. Che si siano davvero persuasi della rilevanza storica di Venezia e del suo Leone? Mah!
Che delusione il vissuto veneziano travisato dai trevigiani. Eppure Venezia, vantando mille anni di storia cui i seguaci di Ario, trovandosi di fronte alla civiltà veneziana, in opposizione alla mentalità Barbaro-Longobarda acquisita dai trevigiani, si resero conto piuttosto tardi d'aver accettato un'eredità causata da una forza irrazionale. Peccato se ne siano accorti soltanto alla fine del XX sec.
Caduto perciò in disuso l'imbarazzante disagio storico, oggi vorrebbero far parte di quella città che secoli prima avrebbero voluto distruggere. Ma non sapendo nuotare e tanto meno navigare, (Che realismo di memoria!) non raggiunsero mai i margini della nascente città di Venezia.
E malgrado sia tuttora pervasa dall'acqua e assillata da tanti problemi, ha convenuto come fanno i veri cristiani, porre una pietra tombale sui dissidi di ieri e, perdonato per sempre l'avversione ariana incarnata tuttora nel trevigiano. E lo ha fatto pure il Leone di S. Marco, che ruggendo tutto sovrasta.
Una grande provincia dunque quella del veneziano per la quale oggi la Regione Veneto deferente al Leone Marciano, onora e mitizza, mostra e vanta incondizionatamente.
E nonostante la conversione moralizzatrice, non ha mai provveduto a rendere il porto di Quarto d'Altino, (Unico in provincia di Venezia) tanto quanto sono le strutture portuali in provincia di Treviso. O magari, avesse provveduto per una volta tanto, ai restauri impietosamente ignorati sin dall'avvento liberal democratico del 1948.
E riconoscere pubblicamente anche gli orditi e le cause per le quali il porto di Quarto d'Altino è stato escluso dai restauri e dai caratteri strutturali eretti nel trevigiano. Si è fatta avanti quindi una singolare ipotesi che ha suscitato ampio sgomento tra la cittadinanza altinate. Un sottinteso per farla in breve, che ha fatto capire ai residenti che dovrebbero arrangiarsi da sé. E questa interpretazione sarebbe stata profusa proprio da un governo regionale in mano trevigiana, senza mai che questo avesse percepito il minimo imbarazzo sui connazionali di acqua alta. Perché allora tanta dichiarata fratellanza quando poi viene istantaneamente tradita!
D'altro canto, promesse solenni non sono mai mancate, né mai è venuto meno, l'uso ampiamente esercitato sullo stemma del Leone di S. Marco.
Ma il disagio però, quello dell'accennato e presunto imbarazzo trevigiano, è stato profondamente recepito dagli altinati, i quali, consapevoli della portata storica del loro porto legato a Roma e a Venezia, ebbene quel simbolo cui ora la Marca pare si sia smarcata, sembrerebbe ritornata a spadroneggiare nel Veneto come all'epoca dei Longobardi ariani.
La dilagante difformità è dunque sotto gli occhi di tutti, anche a chi non si rende conto dell'effettiva disuguaglianza. Abbandonato dunque lo scalo portuale alla mercé delle acque nonché dalle direttive dell'uomo, che dovrebbe a nostro parere proporre soluzioni anziché rifugiarsi nel silenzio. Eppure, a causa della silenziosa prassi amministrativa in mano trevigiana, non ha neppure avvertito che il porto di Quarto d'Altino, si sta riducendo gradualmente, a causa dell'avanzare delle acque provocato dal moto ondoso. Sarà dunque il porto altinate destinato a soccombere e spegnersi per sempre?
E' una domanda per la quale Quarto d'Altino divenuto recentemente Città, si chiede perché mai non dovrebbe in tutta sincerità dati gli onori di stima e rispetto devoluto al paese Città, accedere alla dignità trevigiana. E pertanto si chiede, perché allo stato delle cose, prevale l'abbandono della Regione? Perché dimostra tanto affetto per Venezia e il Leone di S. Marco e poi escludendoli entrambi li tradisce? Perché questi simboli, sono divenuti tutto d'un tratto idoli trevigiani? E se in realtà lo sono, perché si continua ad agire nella doppiezza? A chi dunque spetta la responsabilità e conservazione del porto altinate?
Il presente comunicato che ha molte rispondenze sulla realtà effettiva, ha voluto proporre ciò che spetta per diritto all'area portuale di Quarto d'Altino. Il messaggio, è ovviamente rivolto su quanti incombe l'obbligo del buon governo, anche locale, senza distinzione di specie, di grado e colore, ai quali non siamo minimamente interessati.
OOO
Quarto e ultimo capitolo
Dopo la breve interruzione sul porto e sui ponti, riprendiamo il nostro cammino sul viale diretto per Povegliano Altinate.
Vedi il mappale del 1665 dove si nota la via aperta pressoché a rettifilo, diretta a Povegliano Altinate.
Vedi il mappale del 1665 dove si nota la via aperta pressoché a rettifilo, diretta a Povegliano Altinate.
L'apertura in linea retta indica l'insediamento romano in funzione alla fornace delle Crete, cui parte dei laterizi prodotti venivano trasportati al porto al Quartum, laddove nei pressi esercitava il grande mercato citato dal Pavanello.
Sul mappale sono state preventivamente aggiunte dal sottoscritto, alcune lettere alfabetiche tenute a segnare i caseggiati dell'epoca. L'autore dell'applicazione ebbe i natali al pianoterra del palazzo Zorzi detto il Tribunale, ragione per cui conosce meglio di chiunque altro l'ambiente e il citato manufatto segnalato con la lettera E.
Oggi il palazzo, si presenta tale quale com'era nel mappale del 1665.
Le rimanenti lettere A. e D. in cui si notano ulteriori manufatti, non sono ritenuti importanti ai fini della nostra storia. Eccetto la chiesa segnata con la lettera C. laddove i cortei religiosi raggiungevano il palazzo dei Zorzi, sito sul piazzale mercato, e viceversa.
Chiarimenti sul Palazzo dei Zorzi e d'intorni
Archivio di Stato. Vedi mappale dei fondi soggetti al Consorzio del Carmason, eseguita il 16 giugno 1665.
In alto a destra la lettera alfabetica E. indica il Palazzo Zorzi detto il Tribunale. A nord del manufatto scorre il fiume Sile. Ad ovest segnato con la lettera B, corre la Fossa dell'Argine la cui fonte d'acqua proviene dal fiume Sile. La lettera C. segna la chiesa di origine Longobarda. A sud si nota tra i campi del Trevisan collocati fronte il Palazzo Zorzi, il rettilineo indicato dal Pavanello in termine di "Vicinale". Dritto come una lancia si proietta verso la fornace delle Crete all'antica Povegliano Altinate sino a Gaidum, l'attuale Gaggio.
Di fronte allo stesso "Vicinale" emerge il Palazzo Zorzi stanziato sull'ampio piazzale dove un tempo operava il mercato istituito dal Doge. La medesima piazza è attraversata come si nota sul mappale, dalla strada comunale di Quarto d'Altino per Casale sul Sile - il traffico odierno si svolge tuttora sulla stessa via aperta da Roma chiamata oggi per convenienza, Altinum-Tarvisium. La residenza dei Zorzi appare anzitutto priva della barchessa e dell'oratorio, elementi tipici della nobiltà e immancabili all'epoca. Non appaiono neppure alberi secolari e giardini verdeggianti come del resto si pavoneggiava il patriziato di allora. In realtà niente di ciò è mai esistito, né il Palazzo ha mai svolto la propria attività domiciliare a carattere continuativo, bensì stagionale. (S'intende la famiglia dei Zorzi)
A fronte emerge la grande piazza e tutto lo spazio necessario e ne avanza, per contenere quel grande mercato autorizzato da Ottone III. Non è altrettanto diffuso per estensione e per area, il modestissimo mercato di Musestre che a causa dei propri limiti, non avrebbe mai osteggiato né vietato il libero accesso a quello di "Maggiore Importanza" segnalato dal Pavanello e dal Filiasi, aperto in S. Michele del Quarto.
Accanto al piazzale, o se vogliamo al centro del mercato la cui dimensione si commenta da sé, si erge il cosiddetto Tribunale o palazzo Zorzi che all'epoca del doge Orseolo non esisteva. Lo spazio quindi, si mostrava ancora più esteso di quanto appare col manufatto eretto nel 1665. E quello spazio, ripetiamo, consentiva e consente tuttora il transito per Casale sul Sile tramite la via aperta da Roma detta Altinum Tarvisium.
Sono tutte segnalazioni attendibili spettanti a provare che tale Palazzo cui tutto ricorda, fuorché una villa frequentata in termini continuativi. In realtà veniva utilizzato come residenza estiva ad uso e consumo familiare. Per il resto dell'anno rimaneva vuota o semivuota, tranne due stanze, l'una a disposizione per l'accennato tribunale, l'altra riservata a carcere laddove venivano puniti imbroglioni o imprevidenti mariuoli.
Verificato inoltre, che l'ampiezza del fabbricato calcolato sull'area abitabile, era in grado a nostro parere, ospitare ben oltre cinquanta persone. Da ciò si capisce che lo spazio poteva contenere tutta la dinastia vivente dei Zorzi. Tanto quanto contava allora (più o meno) la cittadinanza del vecchio S. Michele del Quarto. Dal conteggio, non è escluso il cappellano il cui nome ora ci sfugge, ma che privo della canonica, (s'immagina di una stanza appropriata) pagava lire 80 annue per un appartamento in S. Michele del Quarto. (Quello Vecchio)
Ciò che tra l'altro tramanda la tradizione, sono le memorie pervenute da una generazione all'altra, tra cui vi sono i cortei religiosi che avevano corso dalla chiesa alla piazza mercato sino al palazzo dei Zorzi e quindi ritorno. Le cerimonie sono ovviamente documentate ma non dichiarano il punto d'arrivo. Il piazzale dunque, rappresentato dal tradizionale mercato e dalla strada transitante per Treviso, segnalava anche il carattere religioso dei residenti.
Sul finire del settecento (1700) il noto storico Filiasi soggiornando a S. Michele del Quarto, vide durante scavi di probabile origine archeologa l'emersione di: "sarcofagi con scheletri dentro".
Sono tutte segnalazioni attendibili spettanti a provare che tale Palazzo cui tutto ricorda, fuorché una villa frequentata in termini continuativi. In realtà veniva utilizzato come residenza estiva ad uso e consumo familiare. Per il resto dell'anno rimaneva vuota o semivuota, tranne due stanze, l'una a disposizione per l'accennato tribunale, l'altra riservata a carcere laddove venivano puniti imbroglioni o imprevidenti mariuoli.
Verificato inoltre, che l'ampiezza del fabbricato calcolato sull'area abitabile, era in grado a nostro parere, ospitare ben oltre cinquanta persone. Da ciò si capisce che lo spazio poteva contenere tutta la dinastia vivente dei Zorzi. Tanto quanto contava allora (più o meno) la cittadinanza del vecchio S. Michele del Quarto. Dal conteggio, non è escluso il cappellano il cui nome ora ci sfugge, ma che privo della canonica, (s'immagina di una stanza appropriata) pagava lire 80 annue per un appartamento in S. Michele del Quarto. (Quello Vecchio)
Ciò che tra l'altro tramanda la tradizione, sono le memorie pervenute da una generazione all'altra, tra cui vi sono i cortei religiosi che avevano corso dalla chiesa alla piazza mercato sino al palazzo dei Zorzi e quindi ritorno. Le cerimonie sono ovviamente documentate ma non dichiarano il punto d'arrivo. Il piazzale dunque, rappresentato dal tradizionale mercato e dalla strada transitante per Treviso, segnalava anche il carattere religioso dei residenti.
Sul finire del settecento (1700) il noto storico Filiasi soggiornando a S. Michele del Quarto, vide durante scavi di probabile origine archeologa l'emersione di: "sarcofagi con scheletri dentro".
Accanto ai quali c'erano due lapidi, una delle quali con greca iscrizione (Iscrizione bizantina) e che secondo lo storico: "sembrava dire che colà ci fosse un greco di distinzione che forse comandava in Altino per la corte di Bisanzio". Durante la visita a carattere storico, il Filiasi confermò più volte l'esistenza del porto e mercato.
La testimonianza del Filiasi convaliderebbe pertanto, tramite la riesumazione del distinto ufficiale Greco, il punto strategicamente avanzato Bizantino dislocato in S. Michele del Quarto, dove tra l'altro, era disponibile un comando o quanto meno delle unità operanti a difesa del loro territorio. Una superfice dunque, e anche un luogo abitato, laddove nessuno degli storici odierni ha mai commentato coi relativi distinguo. Neanche i potentati della storia del trevigiano, i quali sembrano fare come del resto talora fanno, orecchie da mercante.
La testimonianza del Filiasi convaliderebbe pertanto, tramite la riesumazione del distinto ufficiale Greco, il punto strategicamente avanzato Bizantino dislocato in S. Michele del Quarto, dove tra l'altro, era disponibile un comando o quanto meno delle unità operanti a difesa del loro territorio. Una superfice dunque, e anche un luogo abitato, laddove nessuno degli storici odierni ha mai commentato coi relativi distinguo. Neanche i potentati della storia del trevigiano, i quali sembrano fare come del resto talora fanno, orecchie da mercante.
Per concludere. (Il diploma di Ottone III)
Proponiamo a questo punto, la lettura in lingua latina del diploma compilato dall'Imperatore Ottone III al Doge Orseolo autorizzante il servizio del porto e mercato. "... concedimus ei in Sancto Michaele qui dicitur Quartus sive in Sile seu in fluvio Plavi dicto, in quocumque loco seu ex quacumque ripa sibi congrum et apicius videtur prtotestantem portum et merchatum..."
Nella pagina ultima del testo, viene illustrata ad uso e consumo dei lettori, la traduzione parziale del diploma in lingua italiana. Pur incompleta per ragioni di estensione, è tuttavia ritenuta esaustiva in quanto fornisce con rigorosa esattezza tutti i dati relativi la concessione. Dimostra soprattutto ai residenti di Quarto d'Altino e a chi ne è interessato, di quanto in realtà esprime. Sarà destinato pertanto a sollevare discussioni, consensi e critiche. Mi è parso peraltro utile, offrire a chiunque intenda partecipare alla probabile discussione, la valutazione sulla traduzione italiana, riferirla quindi al sottoscritto, che risponderà.
La strategia del Doge.
Il Doge dunque scelse strategicamente e non a caso, il villaggio detto S. Michele del Quarto (territorio di sua competenza) posto sulla "Vicinale" lungo la via che porta al Pojan. Tra le varie alternative suggerite da Ottone III, va ricordato che il circondario di Quarto, oltre al "Vicinale" accennato dal Pavanello, erano sotto giurisdizione del Dogado veneziano inclusa la chiesa di Quarto dipendente dal Vescovo di Torcello. Eccetto ripetiamo, alcuni servizi per i quali in quella fase storica, dipendevano dalla Pieve di Povegliano.
La scelta oculata del Doge, interessato più che mai a sostituire il piccolo porto e mercato in Musestre, fa anche riflettere su di una possibile opportunità, proiettata sulla valorizzazione del porto acquisito quanto sullo sviluppo della Venezia nascente. Per quanto ci riguarda, fu anche una scelta geniale la cui tendenza dei veneziani mirava già d'allora alla conquista del nord Italia, occupata e poi perduta nell'anno fatale 1779.
La fase di espansione di Venezia, iniziò dunque a partire dall'anno 1000: vale a dire quattro anni dopo l'erezione del porto e mercato in S. Michele del Quarto (anno di grazia 996) per mezzo dei quali Venezia divenne, grazie anche al controllo dei commerci col levante, estremamente ricca. I commerci influirono positivamente anche sulla fornace delle Crete, la cui sospensione addebitata alla caduta di Roma, riprese a forgiare mattoni e laterizi devoluti al circondario.
Sulle memorie dei luoghi citati, vi saranno commenti, dimostrazioni e analisi attestanti in un capitolo a parte. Vediamo frattanto a conferma delle strade istituite da Roma, ribadite poi dagli antichi Meriga, quanto a seguito nacque sul territorio del Vecchio S. Michele del Quarto. Abbandonato per anni dalla memoria storica, venne poi col passare del tempo incorporato al recente abitato. Al quale, mi verrebbe da chiedere cosa mai sarebbe accaduto in funzione alla nostra storia, se non avessi riunito per tempo i resti delle strade indicate sopra. E pure divulgato le direzioni, ponti compresi, mercati e porti, difficili da individuare nel contesto delle attuate soppressioni. E lo sarebbe stato molto di più, se in futuro qualcuno nutrisse l'idea di ricerca percorrendo le strade altinati, laddove l'odierno mutato quadro generale, non avrebbe consentito riconoscere, ciò che il sottoscritto ha conosciuto sin dalla più tenera età.
Ma grazie a chi vi nacque e che percorse le vie citate in gioventù, ha reso possibile l'individuazione in ogni singola parte e rilievo. L'iniziativa e il risultato ottenuto potrebbe un giorno proseguire perseguendo caratteri di conoscenza divulgativa. Difficilmente lo sarebbe stato per chi non vi nacque, lontano quindi dalle tradizioni locali e dalle conoscenze del paese. Ho cercato così con estrema umiltà, di rendermi utile, non solo per la passione della storia, ma anche per la vaga e rispettosa speranza di avvicinarmi un pochino, (per intenti e non per altro) al rabdomante della storia e delle strade aperte da Roma, qual è stato ed è, l'inimitabile dottor Pavanello.
La romanità diffusa a Quarto d'Altino, viva realtà del passato, dell'oggi e del domani.
Ma prima di pormi l'idea dell'ambiente e descriverlo, bisognava indagare i percorsi, seguire le tracce, anche le piccole viabilità, pure quelle interrotte o deviate, evitando probabili confusioni se non addirittura alterando le versioni originarie di quanto avevano stabilito le carte dei Meriga. Sette secoli dopo, le strade segnalate dai sindaci (Meriga) sono divenute estremamente importanti, di grande interesse direi per quanto riguarda la nostra comunità. Anzitutto perché, quella che noi chiamiamo civiltà e che si era illusa di eliminare il nostro passato, oggi invece appare ai nostri occhi viva realtà, per l'oggi e anche per il domani.
Ripercorrere il viale in vesti antiche...
E chissà se un giorno, non si possa estendere all'antichità della strada, per quanto oggi modificata, disporre di mezzi moderni festeggiando in vesti antiche, il transito che allora fu di Roma.
Il ricordo del nostro vissuto anticipato dalla potenza di Roma e delle sue leggi, verranno così a risvegliare le coscienze sopite e finalmente assistere al consumarsi delle ubriacature di libri pervenuti e diffusi inutilmente da personaggi parzialmente obbiettivi.
D'atra parte bisogna pur riconoscere che in quella strada priva di nome citata dal rev. Scattolin, non vi transitava come diversamente accadeva lungo la Claudia Augusta, l'esercito di Roma. Non vi circolavano neanche contingenti di cavalleria, di Decurioni e Generali e di personalità importanti celebrati dalla notorietà. Bensì, dai grossisti, fornitori e avventori, clienti, dettaglianti, affaristi e lavoranti, tutti diretti in ugual modo, al porto e mercato in S. Michele del Quarto, laddove presso la fornace delle Crete, trovavano anche i mattoni e i mezzi per farsi l'abitazione in prossimità della Povegliano, in via moderna.
E su questo viavai di gente, di cori popolari, adunanze tra i circoli campestri e di persone tutte mischiate tra le numerose stradine dove giornalmente s'incrociavano le vetture dei vetturali dirette al mercato e porto in S. Michele del Quarto, volti all'acquisto o trasmettere le proprie mercanzie. In più s'aggiungeva la gravità dei carri e carriaggi, forse anche da proprietari della classica Biga, che affiancata al transito di muli e cavalli, dai cocchi e calessi d'ogni forma, tipo e ruolo, consentivano al Pojan la realizzazione di quel sogno infranto, scaturito dalla malaria pervenuta dal fiume Zero.
Tutto questo accadeva dopo la guida che fu propria la grandezza degli ideali e delle vestigia di Roma.
In conclusione, la romanità a Quarto d'Altino è talmente estesa e grande che si sente anche nell'aria che si respira. Peccato però, che il fascino per le antiche strade abbiano perduto in questi ultimi anni il carisma di quel tempo. Ma non ha certo perduto l'interesse e l'attrazione per chi ama la storia antica, quella ritenute propria e insita nell'anima di chi le ricerca. Una tra le tante segnalate al tempo di Roma è quella via allora sconosciuta diretta per le Crete oltre l'antica Povegliano. Non di meno la strada "Alta" citata dal Filiasi, quella che allora si mostrava in faccia ad Altino, ora è atterrata.
Giunti a questo punto non ci rimane altro che transitare lungo le strade aperte da Roma e toccarle con mano di rispetto vivendo la loro storia ugualmente nostra. Una storia che non è stata scritta sui carteggi di Roma, ma dalle tracce che lei stessa ha lascito. Non occorre perciò mendicare notizie e ragguagli da quanti hanno sempre negato la funzione del porto e mercato in S. Michele del Quarto. La storia emersa e rivelata dalle orme lasciate da Roma oggi viene pertanto riportata qui, e per ora non manca di nulla. (vedi P.S)
(P.S) - Non manca di nulla tranne le foto sui mutamenti stradali, ponti, canali e altro, ai quali provvederemo il più presto possibile.
Fine quarto e ultimo capitolo
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Traduzione parziale in lingua italiana sul
diploma di Ottone III.
... "concediamo la possibilità e il permesso di costruire un porto in base ad una pagina del nostro regolamento in tre luoghi sottoposti alla sua autorità. (Del doge Orseolo) Concedendo l'approvazione alle richieste, diamo la facoltà di costruire un porto e un mercato (s'intende luogo di commercio) oppure qualsiasi cosa gli sembri utile a S. Michele chiamato Quarto, sia nei pressi del Sile sia nei pressi del fiume Piave (13) in qualunque luogo e in qualsiasi riva gli sembri più adatto, dopo aver allontanato le obiezioni e i ripensamenti di tutti i nostri consiglieri fidati, semplicemente per il motivo col quale, al diritto di accesso alla riva sembra opportuno imporre un ufficio del gabelliere (Doganiere) e ogni pubblico dazio"....
(13) Ricordiamo ai lettori che il Sile un tempo affluente del Piave, veniva anticamente chiamato con entrambi i titoli, cioè Piave e Sile. Per quanto riguarda "S. Michele chiamato Quarto", unico paese a possedere tale titolo, risiedeva all'epoca dell'Ottone e tuttora risiede lungo il Sile presso l'odierno Quarto d'Altino, già S. Michele del Quarto in provincia di Venezia.
Pertanto il corso del Piave diretto per l'attuale S. Donà, non c'entra nulla col Sile, fiume di tutt'altro orientamento. Diversamente il Piave scorre nel proprio alveo da tempo immemorabile tra S. Donà e Musile di Piave. Ecco dunque risolto il mistero sui titoli e anche sul corso autonomo delle acque del Sile. D'altra parte viene da chiedersi come certi storici siano potuti cadere a manovre del genere, rese possibili solamente per avvantaggiarsi storicamente, a spese dei territori nei quali in realtà scorre il fiume Sile.
Chiarimenti sul diploma dell'Ottone, confutato da commenti impropri allo scopo d'alterare il corso della storia.
Come primo elemento si pone in evidenza l'atto dell'imperatore Ottone III, il quale concede l'apertura di un porto e un mercato in tre luoghi diversi, e non viceversa come viene sottolineato da alcuni storici, in tre porti e mercati su tre luoghi diversi. E' importante dar rilievo al sottinteso in quanto darebbe adito alle solite intemperanze storiche. (Altra cosa sono i possibili errori)
Le allocuzioni sive e seu riportate sopra, hanno il medesimo significato di "sia nei pressi del Sile", "sia (che) (come quanto) nei pressi del Piave". I termini dunque non cambiano e anzi dimostrano la stessa possibilità di ciò che è realizzabile lungo le rive del Sile chiamato anche Piave. Ragione per cui dalle diramazioni originate dalle forte fiumane del Piave, spuntò anche il corso dell'autonomo Sile diretto sino a S. Michele del Quarto sino al mare. Il destinato mercato e porto non è quindi il luogo dove scorre l'odierno Piave localizzato presso S. Donà, bensì del flusso costante del Sile originato dalle ramificazioni dello stesso Piave. E il diploma dell'Ottone nella sua limpidezza lo conferma citando S. Michele del Quarto, e non altro.
L'alternativa suggerita dall'imperatore "in qualunque luogo e in qualsiasi riva gli sembri più adatto" (in quocumque loco seu ex quacumque ripa sibi) - ha soltanto validità come ulteriore favore diretto al doge, il quale, pur considerando la cortesia, meditava qualcosa di diverso. Quella di porre il mercato e un porto già preesistente, destinato per la Venezia nascente.
Non esiste pertanto nessuna perplessità sulle sedi del porto e mercato conferiti al doge e, non solo per quanto sinora è stato dimostrato, ma anche perché è di più facile intuizione comprendere come ai veneziani interessassero gli scambi sulla propria sponda che non su quella opposta. Riva nella quale nel frattempo si erano insediati i Collalto.
Agevolati dalla positività del proprio porticciolo e temendo perciò l'apertura di un secondo più ampio e competitivo di là del fiume, la famiglia Collato sarebbe rimasta in condizioni d'inferiorità rispetto all'apertura di entrambi i soggetti.
E infatti, l'apertura, unita alla valorizzazione del luogo destinato ad ampliarsi e arricchire, avrebbe determinato sulla sponda del trevigiano in mano ai Collato, danni e perdite piuttosto sensibili. E non è certo arduo ipotizzarlo.
Non mi pare a questo punto, vi siano stati molti studiosi che avessero dedotto dal porto e mercato istituiti a S. Michele del Quarto, fossero stati abbattuti i ponti adducendo come scusante, per la quale la mancanza del ponte sul Sile abbattuto da Attila, (Anche ad Altino) non si sarebbe potuto recarsi al mercato in S. Michele del Quarto. (Che pietosa bugia)
In realtà la privazione del ponte avrebbe caso mai regolarizzato l'apertura di un passo a barche o a chiatta. Come del resto accadde più tardi.
Va da sé dunque supporre che l'idea di un collegamento tra le opposte rive, sarebbe stato possibile ottenere in breve tempo. Ciò significa che i ponti non vennero mai abbattuti, o meglio non lo fu in quell'occasione.
L'affittanza al Passo, venne invece decretata e diffusa molto più tardi, "... e affidata al miglior offerente non prima che la fiamma dell'ultima candela accesa, si fosse spenta".
Troppo sbrigativamente infatti, si è dato per scontato che il porto e mercato fossero stati aperti a Musestre, per quanto lo spazio necessario per aprirli non lo avrebbe mai consento. Il "nuovo mercato di maggiore importanza" rilevato dal Pavanello, venne dunque aperto a S. Michele del Quarto su richiesta del doge Orseolo II, il quale, completando ciò che già esisteva, formalizzò una delle due attività già preesistenti, cioè il porto d'istituzione romana in S. Michele del Quarto. (Cit. Pavanello) Il mercato venne in seguito ad esaurirsi, come peraltro vennero coinvolti numerosi Conventi religiosi, durante l'occupazione francese.
Mi aspetterei pertanto, da quanti sono interessati per la storia di Quarto d'Altino, le loro impressioni, ragguagli, domande e altro. Anche da chi o quanti non si sono mai interessati per lo studio sul territorio del "Quartum".
Fine commento.
Troppo sbrigativamente infatti, si è dato per scontato che il porto e mercato fossero stati aperti a Musestre, per quanto lo spazio necessario per aprirli non lo avrebbe mai consento. Il "nuovo mercato di maggiore importanza" rilevato dal Pavanello, venne dunque aperto a S. Michele del Quarto su richiesta del doge Orseolo II, il quale, completando ciò che già esisteva, formalizzò una delle due attività già preesistenti, cioè il porto d'istituzione romana in S. Michele del Quarto. (Cit. Pavanello) Il mercato venne in seguito ad esaurirsi, come peraltro vennero coinvolti numerosi Conventi religiosi, durante l'occupazione francese.
Mi aspetterei pertanto, da quanti sono interessati per la storia di Quarto d'Altino, le loro impressioni, ragguagli, domande e altro. Anche da chi o quanti non si sono mai interessati per lo studio sul territorio del "Quartum".
Fine commento.
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