Capitolo 002. - Sulla prima attività commerciale sorta a S. Michele del Quarto.

Pazientare nella lettura è la virtù necessaria che permette di capire la storia qualora l'abituale lettore è seriamente intenzionato adattarsi alle difficoltà  sopportare inserirsi nella quotidianità dei popoli e gli ideali del loro tempo. (A.B)

Per ottenere una buona e facile lettura, si consiglia inserirsi nel testo i seguire il testo  per ordine di successione, tenendo conto dei capoversi colorati in bleu. In caso contrario s'incontrerebbero malintesi.


Informativa ufficiale

La storia per l'edificazione della Torre di Quarto è composta in 6 capitoli progressivi. L'ultimo dei quali, il sesto, non è stato sinora attivato in lettura, salvo eventuali correzioni e aggiunte. Avverrà quanto prima. 
E' comunque possibile inserirsi sui primi cinque cliccando su: storiaquartodaltino. blogspot. com

 

Nota introduttiva al testo. 

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Le origini della chiesa eretta 
in S. Michele del Quarto 
 
La prima attività commerciale sorta a S. Michele del Quarto, ebbe inizio durante i primi anni del novecento. Nacque  a seguito di un iniziativa economica autonoma povera ma efficace. 
Nel contesto veniva inizialmente esaminato il fondo nel quale, con ovvi scambi di proposte, doveva sorgere la nuova chiesa parrocchiale. Accanto alla quale anche la piazza. 
Secondo testimonianze dell'epoca, la discussione del fondo in  cui doveva per l'appunto costituirsi, si alternò tra opinioni e disegni diversi, rivelandosi nel breve giro di alcune settimane, con nulla di fatto. L'evento determinò tra la popolazione un appassionato dibattito,  dal quale successivamente, venne aperto il nuovo centro cittadino, non escluso il terreno nel quale doveva sorgere la chiesa. 

L'edificio di culto frattanto progrediva secondo i disegni e le normative previste dalla Curia di Venezia. In seguito, causa la morte improvvisa del Patriarca Mutti, venne, sospesa ad un altezza di metri cinque. E quello stato di provvisorietà durò purtroppo circa mezzo secolo. (rimanevano comunque erette le mura perimetrali) 
Trascorso frattanto quella fase dichiarata storica, l'area veniva di fatto ritenuta "libera" da ogni impegno edilizio. Per quanto pendesse da tempo la richiesta di alienazione da parte di un gruppo di cittadini. 

Questo accadeva in un periodo nel quale la comunità viveva in uno stato di sostanziale indigenza, prevalentemente dedita all'agricoltura, agli allevamenti e fortemente legato alla famiglia. Per quando riguarda l'erudizione scolastica, lasciava secondo dati dell'epoca, molto a desiderare. Sul piano degli acquisti fondiari, in particolare le nude proprietà, la cittadinanza dell'epoca, non possedeva nel 1885 circa, i requisiti necessari per sostenere prospettive del genere. Come del resto farsi carico dei problemi che sarebbero sorti. A meno che non si fosse trattato di un abile furbata, scaturita da qualche personaggio industrioso e colto, che in base a prove certe, le utilizzava a proprio vantaggio. 

L'abuso di proprietà

Quanto è stato citato offre al lettore la possibilità d'introdursi, o abbandonare se vuole, una storia caratterizzata da un attività economica i cui natali ebbero inizio da un abuso di proprietà, intestata sin dal 1873, al beneficio parrocchiale di S. Michele del Quarto.  E non avremmo nemmeno conosciuta la ragione per la quale l'abusivista  venne in seguito bandito  dal luogo stesso, nel quale si era arbitrariamente collocato,  procurandosi, poco dopo un'attività che non aveva diritto di fondare. 
Al fatto illegale, oltre all'abuso edilizio compiuto su di un fondo dov'era iniziata l'erezione della chiesa, ma di fatto sospesa, ebbene questo personaggio dalle funzioni sociali piuttosto importanti, venne obbligato ad abbandonare il fondo, demolendo peraltro il fabbricato che aveva eretto. Poco dopo acquistò alcuni appezzamenti su cui eresse alcuni edifici di notevole dimensione, iniziando di fatto la nascita economica e l'evoluzione in un paese nel quale si avviava a scandire i primi rintocchi di vitalità.  

Giova ricordare d'altra parte, che l'unico centro cittadino aperto dal nostro abusivista, venne eretto a breve distanza dal fondo stesso in cui l'edificio religioso veniva frattanto interrotto. Valeva quindi la pena, secondo quanto avrebbe progettato il nostro, la realizzazione  di una zona di commercio accanto alla futura chiesa, dove probabilmente verrà fondata la piazza e anche il nuovo centro cittadino. Il calcolo infatti si dimostrò corrispondente alle aspettative. Ma se le previsioni si fossero rivelate infondate, sarebbero senza dubbio sorte delle complicanze, le cui difficoltà avrebbero ostacolato la nascita dei previsti esercizi economici, inclusa la piazza unita alla chiesa. Tutto comunque si risolse nel verso desiderato.   

A ragionarci sopra, avrebbe potuto trattarsi anche di un caso fortunato, se si considera l'espulsione dal fondo (di quel noto personaggio) laddove  doveva sorgere il nuovo edificio di culto diverso e più ampio rispetto a quello eretto nel vecchio centro cittadino. (Oggi San Michele Vecchio)  Una chiesa diversa insomma, più ampia da quella rovinosa eretta molti anni addietro. (Oggi S. Michele Vecchio) 
Si trattò dunque di un fatto inaspettato e in ogni caso causato dalla chiesa su cui pendeva la sospensione, ragione per cui rimase soltanto un disegno irrealizzato, durato circa 50 anni. 
E per quanto i provvedimenti della Curia veneziana fossero molti, otteneva frattanto le misure opportune affinché l'opera non fosse vanificata dai propri Ordinamenti interni. E per quanto rappresentassero il bilancio operativo, di quanto ovviamente era stato loro concesso, incluso il terreno donato dal Patriarca Mutti, e purtuttavia la chiesa venne sospesa. L'interruzione è da ritenersi causata dalla scarsità di fondi e in seguito dalla scomparsa del Patriarca.

Cosicché quel fondo ceduto in dono e in parti uguali ai relativi proprietari quali la Congregazione di Carità e il Seminario Patriarcale, rimase comunque abbandonato senza alcuna assistenza per mezzo secolo. E per lo stesso  periodo venne anche vanificata la realizzazione della tanto sospirata chiesa. Fatto sta che il perdurare della sgradevole situazione, il fondo Mutti venne sottoposto a richieste di acquisto.   

La chiesa e i pali di sostegno ancora visibili.
(Odierni Ponteggi)

Di fronte ad un arco di tempo tanto vasto, durante il quale ebbero corso senza possibilità di equivoci, i prevedibili avvicendamenti del personale della Curia, la quale a nostro avviso, dopo mezzo secolo dalla cessazione della chiesa, gravata peraltro dalla cronica situazione, avrebbe dimenticato la condizione che determinò il caso oggettivo. La stessa negligenza si riversò sul giovane parroco di S. Michele, che aveva assegnato frattanto il fondo a quel noto personaggio, il quale in seguito eresse la propria abitazione sul terreno in cui doveva sorgere la nuova chiesa. Eppure si notavano ancora le mura erette a metri cinque e con i pali di sostegno posizionati a lato. Non sarebbe stato dunque possibile scordarsi del fatto, per quanto la canonica del parroco in questione, fosse ancora stanziata nel vecchio paese, a tre chilometri circa dal fondo Mutti.  

Si trattò dunque di avvicendamento durante il quale l'inserimento del personale della Curia e del Tommasini don Natale parroco di S. Michele del Quarto, decisero a fronte di un periodo ritenuto oramai privo di alternative, di assegnare il fondo al primo richiedente. Pur consapevoli che gli unici e veri proprietari (Seminario e Congregazione) non avevano nessuna intenzione assegnare il terreno per il compimento dell'opera alla parrocchia di S. Michele  
E da qui ebbe inizio l'occupazione arbitraria del fondo Mutti e, anche i numerosi problemi dei residenti con la chiesa da erigere e, quella eretta che andava frattanto in rovina. 

Fine premessa

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Un breve tratto di storia e le circostanze emerse

Quando intrapresi l'accennato percorso di storia, senza possedere le basi occorrenti e di argomento iniziale, mi trovai lo debbo riconoscere, in una condizione di disagio e per certi versi anche problematici. E tuttavia vennero mediante ricerche superati.  

Eppure quel viaggio da compiere intorno a determinate e difficili circostanze, parecchie in realtà, volte non solo a chiarire alcuni argomenti di ordine generico, bensì investigando sulla nascita dell'iniziata attività di commercio, unica peraltro nell'area centrale del nostro paese. 

Venne realizzata indagando dapprima una serie di edifici posizionati uno dopo l'altro, lungo una strada chiusa e senza prospettive di sviluppo e di frequentazioni. (Oggi, la non dichiarata via Sile) In realtà, se non fosse per quei passeggeri dediti all'acquisto provenienti da Musestre mezzo il passo a barche, il recente Quarto d'Altino sarebbe rimasto pressoché  isolato. L'esclusione di rapporti tra i due paesi, esisteva in realtà già dal periodo in cui Quarto d'Altino portava il titolo S. Michele del Quarto. (Stazionato all'epoca presso il vecchio paese)  A rinvigorire l'attività venne aperto durante l'anno 1912 un ponte in lega metallica tuttora in vigore.    

Mi posi così l'obbiettivo di chiarire mezzo ricerche chiedendomi nello stesso tempo, se il verso opposto avesse davvero arrecato vantaggio ad un attività già avviata da anni. Visionando dunque i primi elementi emersi, non pareva a colpo d'occhio, che Musestre avesse integrato le attività di Quarto d'Altino. (Allora S. Michele del Quarto) 
Stesso problema riguardava l'area all'interno della quale sorgeva la strada, su cui bisognava svolgere la ricerca e capire le cause per le quali quel breve tratto mi apparve frequentatissimo di gente. Forse anche al limite delle sue capacità, e un capitale umano da conoscere concentrato al passeggio e agli acquisti.

E soffermandomi tra la gente durante gli anni cinquanta/sessanta del novecento, cercavo nella ressa d'introdurmi nei loro commenti ascoltando in disparte le bellezze discorsive diffuse in amicizia dai vari gruppi raccolti per strada. Dalla moltitudine però, qualcuno veniva a staccarsi dal gruppo, forse intenzionato a sviluppare un secondo dibattito d'attualità, contando probabilmente su di un accostamento di persone numeroso, più del precedente. 

E' opportuno però riconoscere che il fenomeno del dilagante attivismo non avveniva per interesse personale o per attività economiche relative al tornaconto, bensì perché intorno alla cittadinanza si era caratterizzato un affetto comune prodotto dal luogo stesso in cui ebbe i natali. Una natalità per la quale l'informazione dell'epoca, non avveniva tramite i costosi quotidiani, bensì da persone del luogo collegate ai centri abitati contigui. Ma anche a mio avviso provenienti da fatti accaduti nella zona, riconducibili a quella sfera di simpatia intimamente inserita tra le popolazioni. E in base alle quali, si capiva agevolmente le passioni e gli ideali assunti dai relativi gruppi. 
A questo punto dovrei pure aggiungere la semplicità degli argomenti, l'altruismo e la morale della gente. Il tutto si collegava anche attraverso la solidarietà per il campanile in costruzione su cui veniva anche a consolidarsi  quel patto d'unione ispirato dal parroco Scattolin don Carlo. 
Non mancavano le simpatie e le ragioni sulla politica, per le quali ognuno conservava un legame diretto, e un proprio giudizio.

E se dovessimo discutere anche sul rispetto reciproco fondato anche sui diritti, dovremmo riconoscere ciò che a noi cittadini del terzo millennio si esprime purtroppo assai debolmente. 
D'altra parte la gente dell'epoca, non possedeva neppure quella preparazione culturale per la quale nessuna lezione dell'epoca, avrebbe mai assegnato nei loro confronti l'insegnamento odierno. E se lo appresero rigorosamente più di quanti oggi frequentano istituti moderni e di prim'ordine, lo avevano imparato in larga parte dal comportamento dei loro genitori. 
Tutto sommato, il modo di agire, del discutere e della cura personale e dell'ambiente, rappresentava senza ombra di dubbio un comportamento corretto, per quanto le diversità caratteriali di allora non sono oggi affatto mutate. 

Ecco, queste sono le ragioni tra le tante e per le quali sono stato sospinto a rivedere il passato degli adulti di allora. Gente abituata al duro lavoro nei campi e agli allevamenti, rinchiusi tra i piccoli ambienti artigianali e nelle rumorose officine, sino ai lavoratori d'ascia costituiti all'alba del nuovo secolo presso le Portegrandi sul Sile. A questi vanno aggiunte le nuove fabbriche industriali aperte nella zona di Marghera, dove i lavoratori confluendo da Portogruaro a Venezia si dirigevano nelle varie sedi, servendosi di un mezzo chiamato "il treno degli operai". Rare le automobili di proprietà se non quella del taxista del paese.        

E così focalizzando l'ambiente in un necessario desiderio di capire il futuro dell'uomo e non già di quello trascorso, realizzai una storia vissuta quando anche d'attualità, mai accaduta prima nel nostro territorio. 
Un resoconto insomma, dove non mancarono le indagini, ricerche, soste e permanenze più o meno lunghe, dalle quali nacque la condizione necessaria per capire e far emergere la prima attività economica sorta a S. Michele del Quarto. (quello nuovo s'intende)  
E come anticipato, ebbe inizio pressoché all'alba del nuovo secolo, durante il quale vennero anche a mutare gli usi e costumi della cittadinanza, in particolare dopo gli anni 50/60 del novecento. 

Cosicché, l'esigenza mia personale si rivolse anzitutto su quei sintomi già di per sé rivelatori, cercando di capire le motivazioni per le quali la popolazione mutò nel breve giro di un ventennio il carattere geneticamente ispirato alle frequentazioni, al contatto umano e ai rapporti di durevole amicizia.
Tutto questo verrà segnalato durante la lettura del testo che segue, ponendo in secondo piano come del resto mi è parso cosa migliore, la storia per la Torre di Quarto d'Altino. L'invito ai lettori si spiega per dar loro modo e tempo, di accedere più agevolmente sugli eventi che più hanno caratterizzato l'erigendo pro campanile. 
 
I documenti e la mutazione 
testamentaria ad opera del Mutti


E durante le d'indagini mi sono tornati alla mente alcuni ricordi legati alla mia gioventù quando la cittadinanza, non conosceva dopo quasi un secolo di attività commerciale, i preliminari di un epoca che stava oramai per tramontare. Ignorava persino i motivi per i quali ebbe luogo il primo insediamento da un abuso di proprietà. 
E dopo una lunga ricerca archivistica, emersero anche i documenti (XIX sec. 1800) con i quali venne anche alla luce, lo stato originario del paese e l'ingresso al commercio. 
Si trattava però di capire alcune condizioni particolari, con le quali quel fondo di proprietà della Curia ma intestato alla parrocchia di S. Michele del Quarto venne in seguito alla morte del Mutti ceduto in parti uguali alla Congregazione di Carità e al Seminario Patriarcale di Venezia. Due Ordinamenti ecclesiastici autonomi. 
Quel terreno infatti, secondo documenti probanti rilevati sul mappale del fondo Mutti (1887/1905) erano invece perfettamente legali intestati alla parrocchia di S. Michele del Quarto e alla chiesa da erigere. 
In seguito il Mutti modificò l'atto testamentario prima di affrontare la morte, lasciando il fondo in eredità agli Uffici ecclesiastici citati. 

(PS) Le vicende narrate, sono comunque suscettibili a perfezionamenti.

 La cessione del fondo a certo Perazza Nicodemo. 

L'evento, con riferimento alla cessione del fondo a certo Perazza Nicodemo, costituirebbe oggi un episodio prevedibile qualora lo narrassimo dettagliatamente, ponendolo sulle regole notarili attuali. In realtà, durante l'epoca in corso non lo era affatto, basti pensare al periodo caratterizzato da particolari condizioni sociali, alle esasperate lungaggini dovute sicuramente ad errori, ma anche alle vicendevoli divieti degli Uffici in seno alla Curia. E tali impedimenti divennero ostacoli permanenti sia per la Curia quanto al Tommasini don Natale parroco di S. Michele del Quarto.   
In preda ad uno stato d'animo di profonda tristezza, sconfortato dai divieti e dalle annose dispute prive di soluzione, cedette sotto pressione dell'acquirente Perazza Nicodemo, il terreno del fondo Mutti. (Terreno in cui il Patriarca aveva iniziato la chiesa) Alcuni anni dopo fu costretto ad abbandonare il fondo, l'osteria ricavata dalla mensa dei precedenti inquilini e l'abitazione eretta abusivamente. Il tutto rimettendoci un mucchio di soldi.
Poco dopo il Perazza, riprese alcune iniziative economiche lungo una strada ritenuta secondaria o quanto meno inservibile, dopodiché diede avvio in prossimità della zona portuale, un ambizioso punto di commercio. Il primo da quando nacque il Nuovo S. Michele del Quarto. (L'attuale Quarto d'Altino) 

Oggi purtroppo la popolazione di vecchia memoria, tende oramai da anni a dimenticare con grande facilità il proprio passato. E ripiegando su se stessa, preferisce evitare, o forse non ricorda, qualunque argomento sulle fasi costitutive dell'opera iniziata dalla famiglia Perazza.  I natali ebbero luogo presso una via che verrà descritta più avanti, laddove all'epoca rappresentava per modo di dire, poco o quasi niente e tuttavia da lì a breve  avrebbe espresso la vivacità di una collettività che stava per nascere e crescere. Quei ricordi sono stati oggetto da parte mia, di studi e ricerche anche fotografiche che verranno pubblicate in seguito. Dai fotogrammi puntualmente registrati, si notano i primi insediamenti artigianali e commerciali. Alcuni dei quali sono tuttora in corso, altri abbandonati. 

Da un'osteria abusiva aperta in piazza S. Michele del Quarto, nacque il primo e unico mercato fronte il Municipio. In seguito lungo via della stazione.

  Una vicenda vissuta e narrata in breve


Tutto dunque iniziò quando don Natale Tommasini parroco dell'allora S. Michele del Quarto, cedette senza sorta di documento, un'area del fondo Mutti al sig. Perazza Nicodemo fu Martino, il quale vi eresse una casa in proprietà con annessa osteria.

Il primo giugno 1891, la Curia veneziana scriveva che certo Perazza Nicodemo di S. Michele del Quarto, ".... col semplice permesso verbale del parroco don Natale Tommasini fabbricò casa con bottega sul fondo derivato dall'eredità Mutti, ma appartenente alla chiesa e alla prebenda  parrocchiale di S. Michele del Quarto". Il Perazza faceva notare che pagava l'annuo canone al parroco Tommasini di Lire100. Poco dopo rispondeva la Curia che tale Perazza variò illegittimamente la somma portandola a Lire 40, e che tuttora paga. Per scongiurare quindi il pericolo col quale la prelazione del Perazza pregiudichi il diritto ecclesiastico di proprietà del fondo, la Curia invitava il sig. Nicodemo a Venezia, affinché con atto formale notarile dichiari che: "il fondo su cui costruì il fabbricato appartiene alla prebenda della parrocchia in S. Michele del Quarto - Che dovrà alienare il fabbricato ogni qualvolta sarà richiesto dal parroco pro tempore - Che pagherà annualmente quel canone stabilito dalla Curia - L'atto notarile dovrà pure sapersi a registro."

Quattro anni dopo, il 6 marzo 1897, il nuovo parroco don Giulio Codemo subentrato al Tommasini, chiedeva alla Curia Patriarcale di riattivare quelle pratiche iniziate e poi sospese, per riassicurare l'area del fondo Mutti ceduta dal Tommasini al Perazza all'originaria proprietà della Curia, che non ebbe mai dal canto suo, siglato l'accordo. 
D'altra parte quello spazio occupato dal Perazza, scriveva l'otto marzo 1897 il Vicario della Curia "rimase a favore del beneficio parrocchiale di S. Michele del Quarto che non fu per niente intestato". Ci troviamo dunque di fronte ad un abuso di proprietà. 

Il porticato preesistente segnalava la mensa dei contadini

In seguito il Perazza, fu costretto ad abbattere la propria abitazione eretta circa nel 1893. E durante la demolizione, abbatté anche la preesistente mezzadria ex De Reali col numero mappale 1071 dove dalla mensa dei contadini, aveva ricavato l'osteria su di un porticato preesistente. 
E abbattendola vennero risparmiate le colonne di marmo che allora reggevano l'originario porticato dove i frequentatori dell'osteria vi avevano risieduto al servizio del proprietario certo Lattis, e con rammarico esprimevano tutto il loro disappunto. (Il fondo del Lattis venne ceduto in seguito al De Reali)  
In ogni caso, colonne di marmo o meno, circolava voce fossero state vendute durante l'abbattimento. (Fonte - Prima Perazza) 

Indagini sull'uso delle colonne

E a questo punto, mi è parso doveroso appurare la verità, cercando di capire le cause di un fenomeno per il quale durante il termine del XIX secolo, vi fossero ancora trapiantate colonne di marmo su abitazioni coloniche erette nel 1700 e se in realtà vennero alienate. (Le mezzadrie in discussione vennero erette appunto dal Lattis nel  XVIII sec. (17OO)  

E dunque, a giudicare da quanto si nota nella foto, compresi i pilastri di numero 6, si potrebbe ipotizzare in base a nostre indagini, trattarsi di marmo autentico altrimenti non avrebbe avuto senso recuperarli e porli in vendita. La qualità del suddetto calcare come la levigazione non è possibile determinarla sulla foto. 
Un autenticità che a nostro giudizio, potrebbe davvero esprimere la realtà, qualora svolgessimo un accurata indagine sui particolare emersi nell'immagine. E osservandola dettagliatamente non si spiegherebbe il motivo per cui alla base delle colonne appare un'aggiunta più larga della stessa circonferenza dei pilastri. La più evidente appare peraltro irregolare rispetto a quella posizionata accanto, di cui non è chiaro il materiale con cui trattengono ed elevano le colonne dal pianterreno. Le  quattro rimanenti sono occultate dai personaggi ritratti davanti. 
Davvero marmo autentico? 

Se si considera inoltre la circonferenza visibilmente perfetta e il diametro, pressoché simile alle colonne di origine antica, non si sarebbe potuto ricavarle altrimenti da una gettata in cemento realizzata a mano. E infatti, l'altezza piuttosto corta dei pilastri, fanno rilevare di conseguenza il limite della bassa tettoia che pare impedisca alla luce diurna illuminare l'ingresso del refettorio, (riservato agli agricoltori nel periodo in cui risiedevano) e la stessa area di sosta adombrato dalla stessa pensilina. 
A causa quindi delle colonne ritenute a nostro avviso piuttosto corte e nonostante l'aggiunta di base di materiale cementizio, il pergolato venne realizzato più basso del normale, col solo risultato di ricevere meno luce entro il pergolato. E sicuramente più lunghe si sarebbero potute realizzare qualora si fossero fabbricate mediante materiale cementizio il quale a nostro avviso, non avrebbero certo corrisposto alla rotondità del marmo lavorato. Inoltre, la forma tondeggiante pressoché perfetta, lascia ipotizzare trattarsi di marmo autentico, forse anche di seconda scelta piuttosto che cemento o altro. Ma tutto ciò a noi interessa ben poco se non da quando il Perazza abbattendo la casa abusiva, procedeva nella realizzazione di due manufatti presso la "Crociera della Scarpa"(1) (Col ricavato delle colonne alienate?)

(1) Crocevia dell'attuale piazza - Per "Scarpa" s'intende la scarpata sul Sile, argine o restera.  Per quanto riguarda il ricavato dalle colonne, sono abbastanza possibilista. 

In realtà la casa osteria del Perazza, secondo il Patriarca Mutti che all'epoca del progettato luogo di culto godeva di buona salute, e dovendo servirsi  di due case coloniche ex De Reali disabitate (Vedi Mappale 1071-1072) ma di proprietà del beneficio parrocchiale di Quarto d'Altino, aveva progettato di cederle in locazione il cui ricavato avrebbe contributo all'erezione della chiesa. (Mancava quindi liquidità) 
Scomparso frattanto il Patriarca, il parroco Tommasini don Natale cedette al Perazza la mezzadria collocata in prossimità della chiesa interrotta per la morte del Mutti.
E sul fondo col numero di mappale 1071 b, vi eresse la propria  abitazione congiunta alla vecchia casa colonica.  
Sulla parte originaria rimasta, vi aperse l'osteria dove inizialmente esisteva la mensa-cucina dei contadini col pergolato come citato, già esistente. (2) 

(2) - Le medesime notificazioni pubblicate con regolare foto d'epoca, sono già state diffuse durante la 16^ festa S. Michele tramite il fascicolo parrocchiale del 30 settembre 2002. Per chi dovesse ritenerle interessanti e conoscere tutto il resto, il fascicolo è recuperabile presso l'archivio della parrocchia.  


Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso. 
Vedi in primo piano il breve tratto di casa relativo alla vecchia mezzadria ex De Reali con annesso porticato di proprietà del beneficio parrocchiale di S. Michele del Quarto. Il fondo su cui stazionava la casa colonica era intestato alla Curia col numero di mappale 1071-b. La rimanente struttura visibile a destra della foto, corrisponde al nuovo fabbricato eretto dal Perazza col solo consenso verbale del parroco don Tommasini.
Sul fondo della foto in alto, si nota a tergo del nuovo fabbricato, emergere dalla sommità del tetto, numero sette pali di sostegno. Quei pali oggi verrebbero chiamati Ponteggi per l'edilizia. 
Secondo la sig.ra Perazza Prima sostenevano le mura della chiesa in costruzione. Alla morte del Mutti l'edificio venne interrotto a metri cinque, e tale rimase sino al 1905, anno in cui Papa Sarto Pio X eresse la nuova ed attuale chiesa. 

 L'orientamento di casa Perazza.
 
 La foto mostra la facciata nord dell'abitazione Perazza. E' posizionata sull'attigua "crociera della Scarpa" (crocevia  dell'attuale Quarto d'Altino) a fronte della stessa azienda comunale. 

Come si nota nell'immagine la casa osteria del Perazza Nicodemo è collegata alla vecchia mezzadria ex De Reali. 
La facciata in primo piano è orientata a nord-ovest sull'adiacente strada per Treviso. (Verso il Sile) Il nuovo fabbricato eretto e congiunto alla casa colonica, è posizionato come si nota, sul fondo dove il Patriarca aveva iniziato la chiesa. Dal lato opposto, in direzione Sud-Est (Verso la recente piazza S. Michele) si notano sulle mura della vecchia mezzadria, alcune scritte indeducibili. 
E' segno evidente legato a fattori direzionali utilizzati presso il crocevia  per quanti provengono dalle Tre Palade. Non si nota il titolo del paese. 
Le segnalazioni vennero applicate come del resto pare ovvio, sulla parete dell'antica mezzadria dove rimasero sino alla demolizione. Un secondo dato importante visibile sulle mura, è il probabile stemma gentilizio appartenuto al nobile proprietario Aron Vita Lattis che cedette i due manufatti  alla famiglia De Reali.
Un secondo dettaglio non reso visibile dalla foto ma che ci preme far notare al lettore, si riferisce al futuro palazzo Comunale di Quarto d'Altino che all'epoca era già stanziato fronte casa Perazza. Lo era addirittura sin da quando esisteva la mezzadria della famiglia dei Lattis, acquistata nel 1850 circa dal De Reali. 

 Il fondo Mutti e i tentativi di acquisto

Il 27 marzo 1892, Bonan Antonio di Quarto d'Altino, chiedeva alla Curia patriarcale di Venezia tramite il parroco don Giulio Codemo, di erigere sul fondo Mutti,: "una piccola officina da fabbro come la casa osteria del Perazza, erigendola in un punto lontano dalla chiesa, sottoponendomi a tutte quelle condizioni che mi venissero imposte".(3) 
  
Il sei marzo 1897, Fiorin Giovanni chiedeva in suo favore la cessione di un area sul fondo Mutti da erigere una casa ad uso a sua abitazione, sostenendo tutte le spese necessarie per gli atti notarili. Ma a nessuno dei due venne concesso il fondo.(3)

(3) La medesima comunicazione venne pubblicata sul fascicolo parrocchiale del settembre 2002 durante la 16^ festa S. Michele. Si tratta dunque di una notizia già conosciuta dalla popolazione di Quarto d'Altino, mezzo l'annuale libretto curato dal sottoscritto.  


Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso. 
A destra, presso la crociera detta la "Scarpa",  oggi crocevia di piazza S. Michele Arcangelo, si nota l'osteria con alloggi Perazza. A sinistra, emerge l'azienda comunale, presso cui emerge il castelletto addetto alla pesatura derrate. In seguito venne  rimosso e posto a lato dell'edificio comunale.  

Poco dopo la demolizione, la famiglia Perazza, aprì durante i primi anni del novecento alcuni punti di commercio presso la piazza principale del paese. Uno dei quali, un'osteria fornita di alloggi in prossimità della crociera detta "La Scarpa" (Vedi foto sopra) e in seguito, una bottega drogheria per generi alimentari e coloniali posizionata ai limiti del fiume Sile. Al piano superiore di quest'ultima, abitava la famiglia del proprietario. (4) 
Poco dopo venne a collocarsi non molto lontano dal fiume il primo e unico "Forno" o panetteria a legna di proprietà Romano. Vennero così a diffondersi i primi esercizi commerciali con i quali la popolazione di Quarto d'Altino si riuniva giornalmente lungo l'accennata strada interrotta dal transito del fiume Sile. 
Quanto è stato narrato sinora, sono i primi sintomi di un'attività economica iniziata all'alba del XX° secolo il cui decorso consolidandosi nel tempo, resistette per circa un secolo. Agli inizi degli anni 50/60 del novecento, a seguito di alcuni impulsi moderni tendenti a rimpiazzare le attività ritenute oramai superate o in via di abbandono, iniziarono ad inserirsi quelli di ordine recente.

(4). La foto della drogheria Perazza eretta pressoché in contemporaneo all'osteria con alloggi, è pubblicata più avanti coi relativi dettagli.

Fine parte prima e inizio seconda.
                   
                                      ***
I colloqui sotto l'ombra del campanile 
in crescendo


Quanto è stato narrato sinora, è parte di un'attività economica iniziata all'alba del XX° secolo il cui decorso si prolungò per circa un secolo.     Quella cui non è stata narrata verrà comunicata ai lettori a seguito della narrazione in corso. 
Agli inizi degli anni 50/60 del novecento, dopo alcuni impulsi moderni tendenti a succedere le attività ritenute non più all'altezza di quanto avevano prodotto in passato, vi subentrarono alcuni esercizi in concerto alle usanze, abitudini e modalità, abitudini del momento, collegate ad un complesso strutturale edilizio di nuovo progetto.
Si trattò di una costante progettualità per la quale al momento non aveva subito variazioni degne di nota, ma che tuttavia, il conseguimento dei beni alimentari distribuiti allora dalla famiglia Perazza che di fatto aveva chiuso l'attività, vennero anche a mutare le nuove distribuzioni collocate in zone diverse e in aree contermini.

Cause per le quali, l'opera iniziata dal Nicodemo Perazza, unito simbolicamente dalla presenza popolare lungo la via e nei pressi della piazza, dopo un secolo di attività e di incontri collettivi dedicati in gran parte per la spesa giornaliera, iniziò lentamente a regredire.
E sotto la spinta dei recenti esercizi, finì per interrompersi anche il prestigio dei Perazza, i quali abbandonarono persino l'edificio senza mai porlo in affitto. 
Oggi rimangono i palazzi sfitti e abbandonati dove un tempo risiedevano le famiglie di derivazione del Nicodemo. Abitavano presso una strada lungo la quale per effetto dell'attività egemonica e solitaria della famiglia, interrotta soltanto dalla venuta di un "forno" (Panificio) collocato a lato della Drogheria Perazza, a seguito delle quali se ne aggiunsero altrettante.   

Ebbene, in quel tratto di strada peraltro breve, venivano distribuiti  beni materiali diretti al sostentamento popolare e generale. E per mezzo dei quali, la popolazione si sentiva legata da rapporti sociali, consuetudini, frequentazioni e affinità, tanto che dopo aver effettuato la spesa, s'intratteneva come si usava a quei tempi, discutendo a gruppi per strada, sulle novità del giorno prima. E' utile però ricordare che durante l'acquisto dei beni alimentari durati circa un ventennio nacque frattanto il sottoscritto.  
Un lasso di tempo durante il quale vennero a moltiplicarsi nell'ambito della medesima strada, una serie di botteghe, dove una moltitudine di persone unite dall'istintiva curiosità tipo femminile, sperimentava l'importo prima dell'acquisto. (5) 
E dopo l'eventuale spesa,  si rifugiavano sotto l'ombra del campanile in continuo crescendo, dove raccolti intenti a discutere si privilegiavano anche dell'ombreggiatura ritenuta piuttosto fresca. In realtà, l'oscurità più o meno intensa lungo la strada, non era prodotta solamente dal campanile bensì da una serie di elementi di fortuna, sotto le quali la gente discuteva su quanto accadeva intorno al paese, e anche talvolta di ordine luttuoso. E qui, vorremmo ricordare la prematura morte di Guarato Silvano  detto "Mareso". (6) 
In una nota a parte vorrei ricordare anche l'erezione del Campanile, sul quale il parroco Scattolin, segnalava dal pulpito durante la messa vespertina gli eventi giornalieri. Non mi posso quindi esimere dal narrare quanto accadeva in quei giorni assolati e interminabili, sia quello rifuso dalle discussioni generali, quanto dal chiacchiericcio femminile su cui partecipava l'intero centro paese.    

(5) Un accostamento di presenze simile a Quarto d'Altino, si teneva a Roncade durante  la fiera degli animali)  

(6) Su attestazioni del parroco Scattolin, riferiremo la prematura morte del giocatore di calcio Silvano Guarato. 

Il disuso dei palazzi Perazza e 
l'architettura dell'epoca

Se si considera inoltre l'architettura e il disuso dei palazzi Perazza, suggeriscono infatti il periodo in cui vennero eretti. Ad essi, inclusa la stessa attività iniziata secondo gli eredi della famiglia, durante e dopo il primo conflitto mondiale, si riesce in ogni caso dedurne la nascita. 
E infatti, ne ebbi occasione quando visualizzai le tettoie in lamiera arrugginite sostenute da supporti altrettanto arrugginiti dal tempo, trapassati peraltro da visibili e ampie forature. Il tetto degli edifici, mancando della pendenza integrativa all'esterno delle mura di perimetro, intesa oggi a proteggere le balconate e i passeggeri dalle frequenti piogge, non andava oltre la misura delle grondaie. E si nota tuttora.  
Osservando in seguito l'interno della drogheria, al di là del bancone massiccio e alto dal quale non mi era possibile data la mia età, percepire il droghiere posizionato dalla parte opposta, e tuttavia, vedevo dominare a suo lato, un enorme ghiacciaia in legno, vestigia probabile della prima guerra mondiale che aprendola, investiva di faccia le persone raccolte per la spesa.

E non fu davvero un caso fortuito, se il Perazza Nicodemo dopo l'espulsione dal fondo Mutti, iniziò all'alba del primo novecento ad erigere il primo dei due manufatti citati. Non mi è quindi possibile narrare ciò che il sottoscritto non ha mai veduto né frequentato prima del conflitto 1915/18. Né mai presi parte agli acquisti esercitati dalla popolazione di allora, in quanto ebbi i natali durante il secondo conflitto mondiale.

Si trattava dunque di due manufatti situati lungo una via che all'epoca della "Grande Guerra" e durante gli anni venti durante le finiture del secondo, si mostravano pressoché identici, se paragonati al traffico umano registrato durante il secondo conflitto. Insomma gli affari del centro commerciale non pareva avesse avvertito  la differenza tra i due periodi, benché la presenza durante il secondo, ebbe una frequentazione più attiva. Una strada quindi molto praticata. 

Ritornando dunque all'epoca della mia gioventù, abituale frequentatore della via presso la piazza, mi è tornato alla mente il transito della popolazione a piedi e in bicicletta diretto lungo la via, laddove esercitavano i primi e conosciuti esercenti. E rivivendo quei momenti, mi si è risvegliato dentro, quel sentimento di emozione che avevo già provato da ragazzo, sia per la gente conosciuta quanto per quella non avevo mai scambiato parola, benché percepibili alla vista. In particolare a quanti pur giovanissimi ma più alti d'età, non esclusi gli anziani del primo e secondo conflitto mondiale, i quali componenti, frequentavano la via con lo spirito vivissimo della ricambiata amicizia. Questo ovviamente avveniva durante i primi anni cinquanta ai sessanta del novecento.

Proporre l'amicizia di ieri, sarebbe come realizzare oggi, un balzo di qualità 

Quanto a valutare l'amicizia di ieri proponendola oggi, non si capirebbe il sistema recente a quello sostanzialmente corretto della cittadinanza, esercitato non caso durante l'erezione del campanile. 
Un periodo nel quale, considerando ciò che oggi propone la moderna incultura, cui si vorrebbe porre a confronto a quella perduta di ieri, si arriverebbe a cogliere per quanto mi riguarda, il senso dell'ordine morale dell'epoca e il significato dei termini quali erano, la disponibilità, l'affiatamento, solidarietà e amicizia. 

Non vi è dubbio che gli atteggiamenti culturali dell'uomo vissuto dopo il primo e secondo conflitto mondiale, il cui termine risale agli anni 50/60/ del novecento, erano aspetti spontanei di una civiltà oramai scomparsa. E non dovremmo meravigliarci se veniva anche praticata da alcuni esercenti nobili per elevatezza morale, qualora dovessimo equiparare gli attuali, a quelli di quel mondo che ora non è più. 

(Più avanti sono narrati diversi episodi, alcuni dei quali da trasmettere ai posteri)

Le visite e i primi incontri lungo la via commerciale.

Invitiamo il lettore, certo che saprà apprezzare il commento che segue, quando la cittadinanza al riparo dell'ombra diffusa dal campanile e di quanto allora era possibile, si riuniva a gruppi conversando nella reciproca e abituale amicizia.

Ci si riferisce ovviamente, al graduale frapporsi del campanile al sole, dalla cui combinazione, prendeva avvio tra i tanti fenomeni della natura, l'ombreggiatura della Torre e notare proiettarsi sulla piazza e lungo la via che allora portava alle citate botteghe. 
E la gente in sosta, approfittando del riparo esercitato dall'inattesa manifestazione, ragionava conversando sull'improvvisa comparsa del tratto ombroso, dove sino a ieri non aveva nessuna consistenza o neppure si notava. 
E mano a mano che la Torre si alzava anche la gente si accalcava sull'ombrosità distribuita gratuitamente, dalla quale si udiva spesso il ricadere nostalgico, sulle discussioni abbandonate il giorno prima. Tra le quali prevaleva il titolo assegnato al recente Quarto d'Altino, un appellativo che aveva provvisoriamente diviso la popolazione. 
Il mutamento di nome, per quanti non ne sono al corrente, ebbe forma giuridica tra il 1948/49. 

Cosicché, le dispute sull'evidente mutamento di nome, che pareva fosse orientato a discussioni piuttosto animate, in particolare per l'inderogabile pressione degli anziani e tuttavia, venivano accolte e ragionate nella tranquillità del gruppo e dei curiosi trattenuti accanto. 
Diretti in massa, su di un modestissimo viale dedito al commercio, coglievano il modo, tempo e  lo spazio necessario, sia per l'acquisto del cibo giornaliero, quanto ai dibattiti sorti  sul titolo del paese, approvato peraltro dal Consiglio Comunale. Ovviamente le discussioni su tale ambito erano prettamente di stampo maschile.      
Ciò che invece spettava primamente alle donne, doveva realizzarsi  nell'ottenimento degli alimenti preposti ai quali dovevano versare il corrispettivo in danaro, altrimenti veniva registro su libretto della spesa. Questo accadeva quando il sole del mattino raramente picchiava con l'alta concentrazione delle ore pomeridiane. 

Ma quel giorno la Torre, ostentando la ricchezza dei propri elementi e i visitatori in numero consistente durante l'ascesa, notavano  una lunga scia ombreggiante diretta sulla gente in sosta dove poco prima batteva il sole cocente. Indubbiamente quella scia che aveva circa la stessa lunghezza del campanile, altro non era che il tracciato verticale rilasciato dal profilo medesimo della Torre. 
A seguito del progressivo  movimento diffuso dalla terra intorno al sole, anche l'ombra mutando poco a poco posizione, costringeva le persone a ripararsi dove l'ombreggiatura del campanile o di quant'altro, offriva loro ristoro.  Una tattica insomma, sconosciuta a me stesso e anche a gran parte dei giovani contrari a qualunque sistema ombreggiante.

Queste colorite rappresentazioni come sono state udite ieri, oggi vengono narrate al lettore e, per quanto fossero composte da tinte e gusti diversi, sembrava avessero avuto un ampio e istintivo interesse  a quanti transitando e assistendo alle conversazioni, si avvicinavano incuriositi intenzionati a partecipare ai dibattitiIn realtà tali colloqui divenuti in seguito espressioni generiche che nulla aveva a che fare coi loro principi, venivano indotti  perciò  ad allontanarsi. 
Eppure quei semplici aspetti della realtà quotidiana esprimevano pareri, segni, figure e immagini, dalle quali prendevano avvio scambi di vedute e talvolta anche canzonatorie, ma che possedevano sempre, il reciproco rispetto e lo spirito della vecchia amicizia. Dalle quali appariva chiaro sin dalle prime battute, che di fronte al sentore di cose sgradite e per quanto la disomogeneità di pareri fosse rilevabile, la risposta era sempre conciliante e onesta. Per farla in breve, il modo di operare nei confronti dell'amico, era già stato sancito dall'educazione giovanile ricevuta durante l'insegnamento elementare.

Insomma uno scambio di domande e risposte fatte alla buona, eppure altrettanto incalzanti, che pareva in certi casi, dovessero profilarsi elementi provocatori miranti a suscitare reazioni irritanti. E uno fra i tanti, pareva a tutta prima, il conferimento al paese del titolo recente. E per quanto fossero oramai trascorsi cinque anni dall'assegnazione, aveva lasciato dietro di sé, in particolare sugli anziani di nobile patria nativa, malumori, affanni e crucci e tanto amore per l'antico e perduto appellativo. 

Gradualmente e in sintonia con l'erezione della Torre, non se ne ebbe più a parlare. E se davvero in seguito non se ne parlò, sembrava a quel punto fossero più impegnati ad osservare l'evoluzione in altezza del campanile che altro. 
Al passaggio graduale da un discorso all'altro, contribuiva anche  la diffusa ombreggiatura della Torre, che proiettandosi sulla piazza in direzione del fiume, si mostrava ogni giorno più pronunciata in senso orizzontale.  Il diffondersi della penombra lungo la via, più intensa o meno a seconda della zona scelta, favoriva anche le donne nei trattenimenti al pettegolezzo, sia durante e dopo gli acquisti al mattino che al pomeriggio. 

E a quel punto, l'ombra lunga rilasciata dal campanile, malgrado fosse privo delle campane e dell'Arcangelo Michele, eppure gli veniva riconosciuto il pregio  qual era il fenomeno della servitù riservato alla cittadinanza, escluso lo stato passivo di sottomissione, quando piombando intensamente sulla via alleviava la gente in sosta. 
Venuta a trovarsi sulla piazza per effetto del movimento della terra in opposizione al sole, vi durava piuttosto a lungo ristorando tra l'altro, anche i bovini in sosta  e animali domestici d'ogni sorta. 
Un ombreggiatura attraverso la quale, forniva agli affezionati del chiacchiericcio un ristoro efficace, siano essi maschi che femmine,(ovviamente in periodi diversi) e nel medesimo tempo, incontri amichevoli all'insegna della serenità. E questo, significava per l'epoca in corso, vita piena e in parte attiva, in prospettiva dei tanti problemi che pareva a quel punto, non dovessero arrivare mai. 

Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso. 
Si noti anzitutto il tracciato dell'ombra rilasciato dal profilo del campanile. Lo scatto fotografico in cui appare il tratteggio della Torre, venne realizzato intorno alle ore 13,30. 
Il tratto ombroso, come si nota nella foto si proietta sul viale dove la cittadinanza si soffermava a discutere. Un dettaglio in più rivela il traffico automobilistico pressoché inesistente all'epoca, consentendo ai passanti sostare a lungo. 
All'ombrosità della Torre, vanno aggiunti una serie di alberelli piantumati da tempo, ma non certo da utilizzarsi  per il chiacchiericcio popolare. All'ombra diffusa dal campanile vanno aggiunte alcune opere murarie, dalle quali si ottenevano punti di sosta freschi e ombreggiati. Esempio, l'ala destra del palazzo comunale e il sagrato della chiesa, i quali appaiono tuttora, entrambi ombreggiati. A breve distanza sostava il pergolato della trattoria Perazza, punto nel quale si radunavano in gran numero, personaggi ritenuti dal gomito alto. A tergo dell'osteria, si nota appartato e completamente in ombra, il fondo nel quale le gare bocciofile avevano un seguito enorme d'interessati al gioco. 
A lato della medesima osteria venne aperto qualche tempo dopo una tabaccheria gestita dalla sig.ra Prima Perazza e un secondo locale gestito dal parrucchiere per uomo, Favaretto Corrado. (Le rispettive attività non sono visibili nella foto)  
Esisteva insomma una serie di servizi e di ombreggiature dove gli acquirenti sostavano amichevolmente a discutere. 

Ma grazie ai visitatori e all'utilità della combinazione, io stesso poco dopo scoprii la fonte dell'ombra originata dapprima dal sole riflesso sulla Torre che a sua volta proiettava la propria sulla circostante piazza. 
In realtà l'ombreggiatura, compatibilmente alla manifestazione del sole, appariva sul piazzale secondo stagione e comunque dopo circa le ore 12,30 sino al tramonto. 
D'atra parte la collettività già conosceva gli orari come la traiettoria semi oscura rilasciata al mattino dal campanile. Diversamente quella pomeridiana, accompagnava parte della popolazione presso le botteghe interessate e a quanti non avevano acquistato il pane di buon ora. E acquistandolo al pomeriggio si dirigevano al "Forno" collocato nella piazzetta adiacente  Villa Lucheschi.

Ebbene quel panificio fornito di quanto a quei tempi occorreva, era ed è tuttora di proprietà della famiglia Romano. (Romaneto in dialetto)  
In realtà, all'epoca degli eventi narrati oggi a fini orientativi, il cosiddetto "Forno" non era posizionato nel medesimo punto in cui si trova oggi. (11) Bensì in un luogo appartato e attualmente non  individuabile. (Non lo era viceversa per la popolazione dell'epoca) 
Il panificio era comunque preceduto da una folta schiera di Botteghe laterali posizionate sia a sinistra che a destra, dove appunto si stanziava il cosiddetto "Forno". Il proprietario sig. Romano e la moglie Rosa, operavano in una modesta piazzetta limitata al passeggio urbano quando anche separata, da una recinzione reticolata di proprietà come citato, dal Conte Dino Lucheschi.

(11) - L'impianto per la cottura e della rivendita pane di proprietà Romano, non è il tradizionale sito-negozio oggi ben noto alla popolazione. Bensì stazionava sulla stradina laterale, prima casa a destra dove inizia la salita verso il ponte sul Sile. L'alloggio o se vogliamo la palazzina in cui il panificio ebbe i natali, è di origine piuttosto antica. ( Vedi sotto la foto d'epoca)

La strada a trazione commerciale(Ovviamente per l'epoca riferita) era conosciutissima all'intero paese e anche dalle circostanti frazioni che a piedi o in bicicletta, veniva percorsa da una gran quantità di persone (Anche dal limitrofo borgo di Musestre) in qualunque ora del giorno escluso l'orario di chiusura. 
Si sarebbe potuto pertanto conteggiare dato il materiale umano circolante , il numero degli acquirenti diretto alle suddette botteghe.
 
Dalla moltitudine, emergevano qua e là gruppi di donne in sosta fornite di sporte fatte di paglia il cui contenuto piuttosto ampio, preannunciava una spesa di lunga durata. All'epoca la produzione del panificio si limitava preferibilmente al conosciuto "pan comune", quello privo di grassi appetibile e morbido sino al mezzodì. Verso sera diventava talmente duro da dover tagliarlo con l'accetta.  

Nella medesima circostanza non certo accidentale, si alternavano a discutere altrettanti gruppi femminili laddove le zone d'ombra, parevano più a loro portata che altrove. Alcune si rifugiavano per comodità, presso alcuni recinti chiusi, dove la pianta aggrappante chiamata edera,  offriva più conforto dell'ombra diffusa dal campanile. Oppure talvolta, sostavano protette da qualche muricciolo rientrante e ombroso dove sostandovi piuttosto a lungo, stabilivano il punto in cui il giorno dopo, avrebbero potuto riprendere le conversazioni.

Ma la zona più apprezzata rimaneva comunque il sagrato della chiesa, dove giacevano in prossimità del muretto limitrofo alla strada comunale, una serie di alberelli piazzati all'interno dello stesso sagrato. Ebbene quella serie di alberelli erano soggetti prima del taglio definitivo, ai giochi per i fanciulli della dottrina cristiana in attesa della chiamata del parroco Scattolin. Frattanto, amavano oscillare con un certo compiacimento, lanciandosi dal muretto della chiesa usato come piedestallo. E scagliandosi a braccia tese in avanti, impugnavano nel volo un ramo dell'albero a tenuta del proprio peso. (Il balzo in avanti aveva come simulazione, la copia dei film su Tarzan nella foresta) 

Un disegno intenzionale

Ai colloqui confidenziali praticati dalle donne, prendevano parte anche le conoscenti e le simpatizzanti del gruppo che sostando tutti compresi, facilitavano l'acquisto del pane ai nuclei più numerosi, quali erano all'epoca le famiglie dedite all'agricoltura, le più lontane e disagiate  dalla zona commerciale.
E intanto che il tempo correva discutendo, giungevano alcuni mezzadri in ritardo ai quali l'allegra compagnia, concedeva per fragilità femminile e delicatezza, la prelazione già assegnata ai loro colleghi.  
Concluse infine le confidenze  e giunto a loro volta il turno della spesa, acquistavano finalmente il prodotto ottenuto dalla cottura nel forno. Un acquisto a nostro parere, che aveva come obbiettivo il raggiungimento di una meta, con la quale, ritardando la propria in un disegno intenzionale, davano la facoltà alle famiglie isolate, giunte peraltro in bicicletta, consentendo loro un'acquisto veloce e un altrettanto rientro a casa.  
E chissà, ragionando sul mezzo proposto dal gruppo, forse quella meta che avevano raggiunto, proveniva dalla facoltà immediata di avvertire il bisogno altrui. E se in realtà lo era, veniva certo prodotto dalla familiarità avuta coi contadini

Lo stesso percorso ombreggiante veniva sistematicamente transitato anche dagli anziani, i quali, tenendo conto della comune amicizia, sostavano pressoché nei punti in cui parlottavano le femmine, però in disparte. Ebbene questi vecchiotti dall'aria spavalda, si mostravano condiscendenti per lo scambio tradizionale delle novità del giorno prima, e talvolta, anche discutendo sul recente titolo dedicato al paese. Gli scambi di vedute su questo argomento, venivano discusse da tutti i presenti, molto meno dagli anziani, ai quali e già si sapeva, non piaceva il recente titolo. 
L'abitualità e la tendenza alla conservazione del vecchio appellativo, collegabile a fattori consuetudinari legati agli anziani autoctoni, si ripeteva anche su lettera affrancata (inviata da quanti non erano illetterati) che per abitudine, ponevano ancora a tergo della lettera il vecchio recapito. E nonostante fossero trascorsi cinque anni dal mandato comunale, le missive decorrevano ugualmente e le risposte giungevano comunque. A sentire il nonno combattente durante la prima guerra mondiale, diceva che al nuovo titolo, non seguiva la celerità con la quale la posta, giungeva ai suoi tempi.   

Del resto le soste previste lungo la strada, adatte più che altro al chiacchiericcio, lo erano già da tempo. Non è noto da quando, se non nel momento in cui io stesso percorrendo la via, ne ebbi la piena coscienza durante i primi  anni cinquanta. Epoca in cui stava crescendo un amicizia generale, grazie all'attività popolare, resa stabile e duratura dal pro erigendo campanile. E se talvolta il sistema delle soste e delle sobrie chiacchierate non avevano come base l'affiatamento e la disponibilità di tutti, valeva all'opposto il rapporto di stima e di apprezzamento, ritenuti più forti della prima.  

Nella zona destinata al commercio operavano oltre al citato "Forno", una serie di botteghe sistemate in graduale successione.  tutta prima parevano avessero potuto arricchire il tratto di strada, senza tuttavia valorizzare nulla. 
La maggior parte dei negozi avevano infatti, un aspetto spiacevolmente vecchiotto, poco pulito causato dalle infrequenti imbiancature, a tutto svantaggio del titolare e di ciò che vendeva.... rapportando ovviamente quei tempi agli attuali.  
 
***
 Terza e ultima parte limitata   
ai primi negozi

La prima bottega situata a sinistra della strada diretta per Musestre, si mostrava occupata dal macellaio Boccaletto. Seguiva "Riparazione Moto e Cicli" dell'artigiano sig, Pavanetto, il cui gestore erogava anche miscela per motorini. In uno stanzino abbastanza ristretto di proprietà Perazza, esercitava il barbiere Bellio. Seminascosto presso la piazzetta dove operava il Forno, si stanziava anche la bottega del meccanico per sole biciclette, il giovane Gatto Ampelio. 

Sul medesimo spiazzo operava il pollivendolo, Nino detto "el Poeamer". Originario di S. Michele Vecchio portava al suo seguito alcune gabbie in legno munite di aste verticali dove giacevano accovacciate e immobili le innocue galline, che vendeva. 
Il lattaio "Lattariol" Brigantin Eliseo operava lungo la via soltanto al pomeriggio in quanto al mattino doveva occuparsi per la mungitura delle mucche. Equipaggiato di bicicletta e carretto sopra cui giacevano  alcuni recipienti dal formato rotondo in lega d'alluminio, forniva alla sua clientela il latte giornaliero. E le massaie dopo averlo bollito e posato sul davanzale di tramontana, (Il punto più fresco dell'abitazione) durava sino al giorno seguente.  (frigoriferi ad uso familiare non esistevano)

Giungeva frattanto da Musestre il fruttivendolo Armando Pavan. Armato  di carretto condotto dalla generosa cavalla, si riversava lentamente lungo la via col  fieno riservato al quadrupede. E durante le parecchie soste cui seguiva la reclamizzazione degli alimenti prelevati di buon mattino al mercato di Treviso, che poi poneva in vendita. All'abbondante frutta e verdura fresca, seguivano ghiottonerie per ragazzi a carattere dolciastro, conservati in contenitori riparati e rispondenti alle esigenze e prescrizioni dell'igiene. E sostando a tratti, emetteva con voce altissima,  rapportabile oggi ad un'intensità di richiamo rilevante, col quale riusciva persino a stupire le stesse possibili acquirenti, che al momento dell'emissione, avevano le imposte chiuse. Cosicché al grido "Femene", invitava tutte le donne del quartiere a scendere in piazza. E le femmine, udendo l'Armando giunto per la rituale spesa, si riunivano sostando e chiacchierando lungo la via.

Di tanto in tanto si notava lungo la medesima via, anche il gelataio Rosolin Giovanni che pur vendendo a buon prezzo la merce, non riusciva a quanto si notava, intrecciare buoni affari con gli adulti vincolati dalla spesa.  Abitualmente però, il Giovanni si posizionava in prossimità della chiesa in attesa dei ragazzi all'uscita della Messa domenicale e dei Vesperi pomeridiani. In più, pedalando sul proprio mezzo, correva,  lungo le strade del paese, sino a i rispettivi borghi delle Crete e S. Michele Vecchio. 
Abitava in via Marconi nella casa detta "quattro camini". (Titolo assunto per le quattro canne fumarie uguali) Piccolo proprietario di un modestissimo pezzetto di terra che coltivava a titolo familiare, era anche un abile professionista del buon gelato. Di sera si occupava con l'intera famiglia nella produzione del gelato casalingo. L'ultima volta che lo vidi col triciclo itinerante fabbricato appositamente per i gelatai, si realizzò il giorno 19 maggio 1957 durante la visita Pastorale alle Trezze (Frazione di Quarto d'Altino) del Patriarca di Venezia, Card. Angelo Roncalli.
Nel 1962 a seguito di una lunga malattia lasciò questo mondo per l'altro. In suo luogo si prodigò il giovane figlio, finché la famiglia emigrò in Lombardia.     

Ma la bottega ritenuta più importante per la spesa giornaliera, era la "Drogheria" della sig.ra Prima Perazza detta altrimenti "Primeta". Nei pressi si notava e si nota tuttora, il campo  per gare di bocce stanziato presso l'osteria Perazza Antonio chiamato "l'osto". 
L'Antonio, uomo garbato e geniale ideale per l'amicizia e i relativi intrattenimenti bocciofili era cugino della generosa sig.ra "Primeta". Conosciuta dall'intero paese come un donna dal carattere mite a cui non mancava la disponibilità, oltre alla grandezza d'animo, nacque durante il diciannovesimo sec. (1800) 


Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso. Nell'immagine si nota la casa con alloggi, di proprietà Antonio Perazza. La foto di vecchia esecuzione, mostra al piano inferiore l'osteria a cui vi è stato aggiunto il porticato in lamiera. Nell'annessa residenza posta di lato vi abitava la famiglia, sotto la quale vennero aperti a piano terra, in luogo dello stazionamento carrozze e cavalli,  un negozio per barbiere e la tabaccheria gestita dalla signora "Primeta" Perazza. Si nota il crocevia privo della attuale rotatoria e un traffico automobilistico alquanto debole.      

La generosa "Primeta" 

E ricordando la personalità della sig.ra, domandava giusto quel giorno al mio genitore, giunto frattanto nella tabaccheria della Primeta per l'acquisto di sale. Incuriosita dal parlottio piuttosto confuso udito intorno alla propria famiglia, gli chiedeva: "Gigetto, go sentio che te ga da maridar to fia". 
Alla domanda rispose Luigi, che caduto in depressione per mancanza di danaro con cui doveva maritare la figlia di anni 19, ribatteva che soldi al momento non ne aveva. "Quanto ti dovrebbe servire domandò la Primeta?" E il Gigetto non avendo la minima idea, rispose col numero più o meno degli invitati al pranzo, come del resto avveniva per la cena durante la quale bisognava pagare pure i musicisti. 
(Per quanti non conoscono o non hanno confidenza coi matrimoni dell'epoca, si prevedevano dalla parte della sposa non meno di un centinaio di persone. Altrettante per lo sposo) 

E il giorno successivo il Gigetto, in accordo con la "Primeta", si recò a ritirare il danaro corrisposto in Lire 30.000. Incredulo della ricevuta somma, si preoccupò anzitutto del debito  privo di scadenza. Tutto sommato, secondo la sig.ra Prima, la restituzione avrebbe potuto dilazionarsi un po' per volta, oppure quando in grado di farlo. Ma Luigi riconoscente, riconsegnò la somma rateizzandola in circa mesi sei. E' noto d'altra parte che all'epoca bastava soltanto la fiducia del creditore e l'onore del debitore. E chiunque avesse avuto tali requisiti, avrebbe riconsegnato il corrispettivo a chi ne aveva il diritto, malgrado le generali ristrettezze economiche dell'epoca. Si confermava così nel nostro paese, il comportamento regolare e civile della popolazione acquisito da secoli, vivendo in comunità. 
Difficilmente oggi in una riflessione piuttosto amara, si concedono prestiti a chi non è della medesima parentela, se non tramite interessi, finanziamenti, mutui e carte firmate. 

La Bruna Maria di anni 19 si sposò l'otto settembre 1951 alle ore 7,15 di mattino, grazie al prestito della generosa Primeta. L'orario scelto dal parroco Scattolin, avrebbe coperto lo scandalo che sarebbe scaturito, quando la popolazione avrebbe conosciuto lo stato interessante della ragazza. A causa dunque dell'atto peccaminoso dichiarato in confessione e dall'addome lievemente pronunciato, le venne proibito oltre all'orario ingeneroso del matrimonio, d'indossare l'abito nuziale bianco, sostituito con giacca e pantaloni tinti Kachi. L'orario mattiniero per giunta fuori mano dal pranzo previsto per le ore 13, causò com'era previsto, l'assenza di molti invitati.  Il rito si svolse nella chiesa parrocchiale celebrato dal cappellano don Romano Gerichievich delegato sostituto del parroco. (12) 

Una seconda ragazza domiciliata in paese (Per ragioni di privacy, si evita citare il nome) dovendo maritarsi e confessare al parroco l'atto peccaminoso come la Bruna Maria, avendo prudentemente taciuto l'ampollosità della propria vicenda, si maritò ugualmente alle ore 12 circa con la sola differenza che la reo confessa, si maritò all'albeggiare del nuovo giorno, l'inconfessa sul far del mezzodì. D'altro canto il parroco non avrebbe mai concesso l'assoluzione, se la seconda non avesse accettato maritarsi all'ora destinata da Scattolin don Carlo.   
Al matrimonio accordato dal parroco conforme al desidero degli sposi inconfessi, si realizzò con abito nuziale bianco. All'uscita dalla chiesa, una moltitudine di persone applaudenti gioivano per gli sposi e per l'abito elegante indossato dalla sposa. Viceversa Bruna Maria, vittima della propria sincerità, causa per la quale dovette affrontare il matrimonio allo spuntar dell'alba, rinunciando tra l'altro agli applausi e i rituali confetti lanciati ai ragazzi, segno inequivocabile del festeggiamento in corso, rimaneva così rintanata in casa, sino all'orario previsto per il pranzo nuziale. 
Neanche sette mesi dopo nacquero alcune vispe fanciulle e le novelle spose, trovando finalmente uno spazio confidenziale, si svelarono una all'altra le inquietudini imbattutesi durante i rispettivi matrimoni e senza tanto riguardo per le formalità dell'epoca. 
Le spose comunque, non ebbero niente di personale da addebitare al parroco il quale, aveva dovuto obbedire agli ordinamenti superiori della chiesa. Così correvano quei tempi. 

(12) Gerichievich don Romano di Antonio e Vincenza Verzotti. Nacque a Curzola (Dalmazia) il 13 gennaio 1913. Esule dalmata presso il Patriarcato di Venezia che servì per 10 anni, tre dei quali li trascorse a Quarto d'Altino in qualità di cappellano al parroco Scattolin don Carlo.

L'esule giuliana Gorich insegnante
a Quarto d'Altino.

Circa tre anni dopo, il 1954 circa, assistetti seduto sul muretto che all'epoca circondava il sagrato della chiesa, alla mobilitazione di centinaia di carri armati diretti sulla statale detta Triestina. A quanto si udiva  si recavano a Trieste (città Giuliana) dopo 10 anni di occupazione Jugoslava nel tentativo di liberare la popolazione dal nodo scorsoio titino. 
Al transito, temporaneamente bloccato in piazza, causato dal difficile inserimento delle autoblinde sulla strettoia di Portegrandi, uscì  frattanto un mucchio di gente dall'osteria Perazza e dai negozi che nel mentre dell'acquisto si proiettavano sulla strada col fiato sospeso dai roboanti rumori, chiedendosi cosa stesse succedendo. Un soldatsorridente, uscendo dal boccaporto del blindato mostrando  il capo foderato da un elmetto fatto non si sa di che cosa, dichiarava: "andiamo a Trieste per festeggiare la città liberata". L'insolita difformità di veduta nei termini usati dal militare, mi apparve del tutto strana. Una stranezza per la quale a mio modo d'interpretare il festeggiamento, mi chiedevo perché mai celebrare una festa mobilitando dei carri armati, da usarsi soltanto per manifestazioni di guerra.  

Al festeggiamento per Trieste liberata, non seguì la penisola Istriana tenuta prigioniera dai titini. Causa per la quale la giovane maestra Gorich esule Giuliana a Quarto d'Altino, continuava durante le lezioni giornaliere ad educare i giovani al bel canto. (inserito peraltro nella pagella scolastica) E intonando l'Inno, e Inno lo era davvero per i Giuliani, si cantava a squarciagola "Le ragazze di Trieste cantan tutte con ardore, oh Italia del mio cuore tu mi vieni a liberar...."
L'evidente ardore della maestra Gorich, la portava spesso a rivolgersi  alla propria terra d'origine, dichiarandola fervidamente suolo italiano appartenuto sin dall'epoca Augustea. Praticamente la penisola istriana era già di competenza nella continuità dello Stato italiano, della Regio X Venetia et Histria (13)L'imperatore Augusto infatti, fondò secondo la Gorich, un popolo italiano legato a Roma, e Roma all'Italia. 

(13) La decima regione Venezia e Istria, venne fondata dall'Imperatore Augusto  durante l'anno settimo d.C. 

Il cinema Sile

Ma ciò che più risaltava sulla via, si deve al famoso e unico "Cinema Sile", aperto di sera due volte la settimana, più il sabato e la domenica senza interruzione. 
Durante la settimana in cui si svolgevano le riprese cinematografiche, venivano posti sulla facciata esterna del fabbricato e, per tutto l'arco di tempo, alcune locandine (cartelloni) riproducenti le immagini dei film, impegnando non poco i giovani nei dibattimenti.
Una discussione che aveva come principio la visione della pellicola, qualora le proiezioni contestate dal parroco non avessero avuto come finalità l'esclusione dei giovani. Il parroco infatti, aveva frattanto affisso sul portone centrale della chiesa, alcune personali riserve sui filmati da evitare o comunque da assistere. Vedi esempio: "Per soli adulti"- "Adulti con riserva"- "Escluso". La riserva che doveva convalidare la partecipazione dei giovani, cioè "Per tutti", lasciava intendere solamente le proiezioni sui film Western. (Tipo "Ombre Rosse" con John Wayne) 

I filmati vietati, venivano diversamente offerti in visione ai giovani mediante l'esposizione dei citati "cartelloni", sui quali la maggior parte dei ragazzi protestavano il verdetto del parrocoAlle critiche si univano i sorrisi ironici degli adulti frequentatori abituali della via, i quali, coi loro sinistri risolini, ti lasciavano intendere, "non sono per voi"
D'altra parte i filmati, per così dire proibiti, ci avrebbero fornito immagini fotografiche di paesi remoti e terre sconosciute e tante curiosità sugli animali. Non mancavano in certi casi i misteri della natura e gli aspetti di ciò che tuttora la circonda. E purtroppo abbiamo dovuto rinunciarvi, grazie anche al divieto imposto dai nostri genitori.

 

Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso. Vedi il cinema Sile e la scritta sopraelevata sul sottostante ingresso cinematografico. A lato si nota l'Orologeria del sig. Cadamuro. Non appaiono  esposte per l'occasione le locandine sui film da proiettare. Ora l'ex sala cinematografica è occupata da un commerciante di frutta e verdura.  

Provvisoriamente stanziato accanto alla sala cinematografica,  apparve frattanto un negozio affittato all'orologiaio sig. Cadamuro. In tale abitacolo, destinato più che altro a contenere il solo venditore, molto meno la clientela, veniva ad aprirsi per la prima volta un negozio addetto alla vendita e riparazione orologi. (A Roncade per esempio esisteva l'orologiaio sig. Guerretta, negozio al quale si rivolgeva anche la clientela di Quarto d'Altino)
Il suddetto negozio col temporaneo affittuario, aggiustava in particolare le sveglie da camera, piuttosto che orologi da polso, peraltro rari a quei tempi. Tutto sommato si guadagnava da vivere vendendo fedi nunziali, collanine dorate e medagliette per la prima comunione, molto meno gli orologi da polso, se non qualcosina in più durante le cresime. 
L'attività del Cadamuro funzionava ugualmente malgrado il numero della clientela e il numero ridotto della popolazione. D'altra parte la cittadinanza legata com'era in offerte per l'erezione del campanile, si sarebbe impegnata piuttosto che altro, per la prossima scuola materna. Per la quale opera già se ne parlava diffusamente dopo l'acquisto del fondo ad opera del parroco,  per cui le offerte "pro asilo" ritenute da chi era contrario a fondo perduto, avrebbe risarcito domani l'intera comunità. E anche stavolta la comunità, credendovi, centrò l'obbiettivo.  

All'inizio del viale, abitava il Giornalaio sig. Giovanni Sinistri e coniuge, gestori nel medesimo ambito del telefono pubblico. Ai quali compiti, dovevano provvedere anche alla pesatura delle frequenti derrate e carichi condotti in particolare da buoi. L'incarico era stato loro assegnato dall'azienda comunale il cui peso determinato dalla prassi, veniva dirottato al consorzio, o imbarcato al porto sul Sile. 
Un ricordo sul traffico dei carri trainati dai bovini, sui quali mi viene spontaneo narrare le frequenti sostanze organiche rilasciate dagli animali. Ed era piuttosto offensivo a nostro giudizio,  vederli appesantiti dai carichi di barbabietole, dal fieno sciolto o a volte imballato da teli e dopo le vendemmie tinozze ripiene d'uva, seminando durante il trasporto i relativi escrementi.
La ripulitura  a cura degli stradini comunali  (oggi operatori ecologici) a capo dei quali operava il sig. Volpe Luigi, il quale, dovendo servirsi di una lunga serie di ex combattenti della prima guerra mondiale in pensione, li convocava il giorno prima. Andava bene quando se ne presentavano due di numero, disapprovando in tal caso la retribuzione per tali prestazioni d'opera. Perciò la cura delle strade avveniva con forte ritardo.       

Traboccante di gente, di merci e di animali, oggi purtroppo la via non si riconosce più dalle emozioni culturali di una volta. E dopo quel breve e vivace periodo esercitato dal transito universalmente riconosciuto, pare davvero abbia perduto quella fertile e utile attività dello stare insieme.  E se ora la via si presenta pressoché deserta, non è poi tanto difficile capire la causa, se non quella esercitata dall'espansione del paese e dalle recenti attività. Ma anche a nostro avviso, dall'interruzione di quei calorosi e positivi incontri, peraltro non casuali, durante i quali lo spogliarsi dei problemi anche personali, veniva apprezzato e discusso tra amici e conoscenti. Ebbene quella gente cui conoscevo, era priva del tutto, delle cosiddette idee improvvise e balorde manifestate poco dopo dai marchi griffati sulle vesti. Insomma stava emergendo la fretta dell'essere, del mostrarsi.

La fretta soverchia

Una nota a parte meriterebbe oggi coi tempi mutati, una franca discussione valutando ovviamente il tempo corrente a quello trascorso. E giudicando l'odierno sarebbe causato a nostro avviso dall'introduzione di un nuovo stile di vita, o se vogliamo dall'inconsueta e involontaria rapidità di esecuzione chiamata fretta, inesistente all'epoca. 
Alla necessità di urgenza entrata prepotente nella società, si aggiunsero in seguito gli atteggiamenti, la condotta e le caratterizzazioni personali. L'evoluzione piuttosto indesiderata, avrebbe coinvolto dannosamente gran parte delle famiglie, le quali furono costrette a rinunciare ad una somma di principi, con le quali ieri, tranne improrogabili cause maggiori, la soverchia fretta non includeva il vivere normale delle persone.   

A sostituire ciò che ieri non era nelle abituali caratteristiche della popolazione, giunse circa 40 anni dopo, l'utile e amico fraterno cellulare. Dopo un breve periodo di prove, controlli e verifiche, otteneva la simpatia e l'amicizia della collettività, che aveva frattanto dimenticato quella ottenuta dall'esperienza della vecchia cittadinanza. 
Cosicché la smemorataggine si fece tanta e tale, che il nuovo sistema divulgativo limitò, oltre a quanto già limitato dalla fretta, il contatto umano e le stesse relazioni personali. 
Notoriamente i rapporti di allora mettevano al corrente ciò che telefonicamente non si poteva dichiarare, e nemmeno le confidenze dell'amico conoscente in termini dettagliati, se non discutendo "de visus". Praticamente vennero meno quei contatti legati al sistema degli incontri e della stessa amicizia, con i quali la recente popolazione, scostandosi dai ricordi e dagli affetti del recente passato, otteneva in cambio, ciò che nell'animo proprio teneva nascosto dentro di sé. Vale a dire, il gradino sociale, il prestigio, la superiorità sull'altro.

A cavalcare l'imprevisto, giunse poco dopo l'intolleranza individuale e la faziosità su tutto ciò che non era opinabile. Vi successe poi la caparbietà, la vanità e l'alto concetto di sé. Notoriamente poi esistevano gruppi sociali piuttosto chiusi, che godendo di particolari privilegi non concedevano ciò che a loro era consentito, e così via.    
Dati di fatto che, apparvero chiari i motivi per i quali oggi, quegli incontri amichevoli lungo la via ombreggiata, hanno dovuto piegarsi ai tempi correnti. Insomma, mai come allora la vita era dolce, gradita e scorrevole. Tempi nei quali frattanto, vennero a mancare anche quei sentimenti di amicizia, ora simbolici. Venne pure a rimetterci il vivere semplice, quello naturale e spontaneo, abituale all'epoca tra la gente sostanzialmente sincera e per bene. 

Quel periodo lontano oramai dai miei ricordi, iniziò sin da quando vedevo la popolazione ripararsi dal sole gradendo l'ombra degli alberelli, dei recinti ombrosi e dei muriccioli rientranti, ottenendo come si diceva a quei tempi, il meglio della giornata. E poi c'era anche la Torre che pur dolendosi oggi dei tempi andati, continua ininterrotta ad ombreggiare la piazza, ora vuota dalla presenza umana. 
Perduto il contenuto migliore e svuotata dai calorosi e amichevoli incontri, magari anche informali dei quali allora nessuno badava più di tanto, e tuttavia ci si s'incontrava regolarmente. Ma c'è di più, non si dialoga più a viso aperto, anzi, talvolta pure ci si evita. 

Un secondo campanile

A partire quindi da quell'aspro termine chiamata fretta e del rifuggire persino a se stessi, oggi non si trova più memoria di quanto allora sostenevano con forza le caratteristiche di una collettività abituata al quieto vivere, e perché no, anche ad un sobrio chiacchiericcio magari anche inutile tenuto lungo le strade. 
Così, come usava appunto la gente normale, quella di una volta, quella cui teneva legato a sé il patrimonio affettivo e sempre disposta a ragionare su tutte le cose da farsi o che non funzionavano. (11) 
D'altra parte, non sarebbe poi tanto male ripensare a quanto è stato abbandonato se dovessimo oggi edificare un secondo campanile. 
E se questo dovesse bastare per sentirsi uniti ne faremo un secondo. E col prossimo miglioreremo anche noi stessi, ritornando come eravamo a quei tempi. 
 
(11) Tali conversazioni erano utilizzate anche dai commercianti e artigiani dell'epoca, giova dire peraltro, che al compimento del campanile, si fecero sempre più rade le comunicazioni personali usate durante la costruzione. Stava emergendo infatti un nuovo modello d'interpretare la vita in comune.


Foto d'archivio - Alfio Giovanni Bonesso.
Nota nella foto il Palazzo Perazza. E' situato in prossimità del pendio che porta al fiume Sile. I vani al piano terra svolgevano vari servizi tra cui un piccola osteria, negozio alimentari o drogheria e spaccio carni. All'epoca la macelleria conservava le carni in una ghiacciaia in legno gestita da personale proveniente da Roncade. La vendita era autorizzata una volta la settimana. La prima porta del palazzo visibile nell'angolo a destra della foto, indica una sala non molto spaziosa in cui si tenevano durante i primi anni dopoguerra, serate danzanti, pranzi e cene di nozze. (Si veda a proposito alcune foto dell'epoca)
A lato della sala da ballo non visibile nella foto, operava in un locale assai minuto, il barbiere sig. Bellio. Nel fabbricato successivo, l'ultimo eretto presso il fiume Sile, esercitava il panificio Romano Giuseppe e coniuge Rosa forniti di un forno a legna. (Vedi sul fondo della foto)
L'esercizio del sig. Giuseppe Romano era posizionato dopo il primo ingresso, seconda porta a destra. L'edificio ritenuto molto vecchiotto trova origini dal conflitto mondiale del 1915/18. E' attualmente abitato con  alloggi e vari negozi.   

La seduzione esercitata dalla Torre.

E' noto d'altra parte che la Torre  seduce e invoglia  quanti sono attratti dalla sua imponenza. Molto meno quando si tratta di uno sforzo prolungato da farsi  su di un percorso girevole e tutto in salita che indica uno stato d'insofferenza. Permane in ogni caso il desiderio di visitarla, malgrado l'energia da spendere. 
Vi si sale attraverso uno spazio piuttosto ampio, sufficiente per due ragazzi, inadatto per gli adulti.  E' composta da 41 balconate completate e rifinite da soprastanti lineamenti arcuati, abbelliti in mattoni faccia-vista. Le finestre aperte sono protette da altrettanti robusti parapetti in marmo. La spaziosa cella campanaria orientata su tutti i punti cardinali, permette al visitatore ruotarvi a 160 gradi. 
Il loggiato necessariamente interrotto dalle inevitabili colonne di sostegno, non arrecano alcun danno all'appassionato fotografo che potrà roteavi senza inclusioni di sorta. I supporti d'altro canto servono a reggere il tetto, le quattro campane più il sonnello (Campana minore delle tre) e l'arcangelo Michele sulla sommità. 

La Torre dunque possiede tutte le caratteristiche, simili ad un imponente Titano, (riferito ovviamente al romanticismo delle lotte titaniche) piuttosto che a quei modestissimi rilievi appuntiti d'altri tempi detti campanili. Ripensando poi al titolo Torre, non è possibile allontanarsi dal significato divenuto oramai universale, sia per la forma, per la potenza e per ciò che manifesta la storia che andiamo a narrare al primo capitolo. Ritroviamoci dunque al numero 1.

Fine


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