Capitolo 13° - 2009 - Continuazione eredità Card. Mutti

Pazientare nella lettura è la virtù necessaria che permette di capire la storia qualora si è seriamente intenzionati introdursi nella quotidianità dei popoli e negli ideali del loro tempo. (A.B)

Per facilitare la lettura si consiglia seguire per ordine di successione i capoversi colorati in bleu. In caso contrario s'incontrerebbero malintesi.

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    Capitolo tredicesimo  - 2009 ** 
    
  
Continuazione eredità Card. Mutti
(Tutta la verità)  

Ovvero: sulla povertà della curia patriarcale, sull'ampiezza della chiesa, sui conti a debito e la chiesa interrotta.

                                         Breve premessa                    

Prima d'iniziare il riporto documentale, ricordiamo ai lettori e a quanti non hanno potuto seguire attentamente il capitolo precedente, che l'interruzione e relativa liquidazione della chiesa in S. Michele del Quarto, si verificò un anno dopo l'avvio dell'opera.
L'indennizzo spettante ai lavoranti e le spese restanti, segnò ben presto l'impossibilità di utilizzare qualunque procedura che avesse consentito al Patriarca Mutti, il proseguo della chiesa rimasta sospesa per 48 anni. Solo sul finire del 1900, iniziò quel lento processo d'iniziative che portò la ripresa dei lavori nel 1093 sino a terminarla nell'aprile 1905. 

Secondo voci incontrollate dell'epoca, l'interruzione della chiesa venne causata dalla malattia o dalla presunta morte del Patriarca mons. Mutti. (Vedi citazione mons Dorigotti) 
In realtà, l'organo amministrativo della cancelleria veneziana, non rese mai pubblicamente nota tale notizia, né la popolazione di S. Michele del Quarto rilevò limitazioni sull'attività Pastorale del Patriarca che doveva erigervi la chiesa. Ragione per cui venne a crearsi dall'improvvida segnalazione alcune condizioni del tutto fuori tempo e luogo. E infatti, risulta evidente secondo i documenti archivistici relativi al caso Mutti, che la sospensione dei lavori cantieristici e quindi il proseguo della chiesa, venne causato dalla carenza di fondi provocati della stessa amministrazione Mutti.   

Alcuni sondaggi, ricerche e interviste in seno all'odierna popolazione di Quarto d'Altino, non esclusi i relativi parroci succedutisi nella nostra parrocchia, non avrebbero mai ricevuto in tal senso, nessuna informazione sul caso Mutti e tuttora ne sono, se non in vaghi accenni, pressoché all'oscuro. E per lo stesso movente, non conobbero neanche la causa per la quale la chiesa rimase sospesa per 48 anni. Ne mai ebbero segnalazioni sull'anticipata scomparsa del Mutti che, come vedremo più avanti, avvenne tre anni dopo l'interruzione dell'opera.  (1)   

(1) Si trattò probabilmente di un qui pro quo. Secondo il Dorigotti segretario del Mutti affermava testualmente, che, "non ebbe tempo colto dalla morte trasferire il terreno (donato dal Bressanin) alla chiesa di Quarto". Secondo i documenti, è diversamente accertato che aveva tutto il tempo disponibile.  

Di fronte ai tanti impedimenti mai stati peraltro del tutto chiariti, va in ogni caso rilevato, alcune volontà espresse dal Patriarca tra cui segnalava prima di iniziare la fabbrica della chiesa, "da farsi in via economica". 
Un termine questo che già dalle prime fasi dell'opera, teorizzava un possibile ostacolo sulla prosecuzione.  Tutto ciò, verrà verificato e narrato durante il corso dell'attuale capitolo.
                                             
                             Promemoria 
                                          (dal testo precedente)
                                    
Prima di accingersi nella lettura del testo, ripeto quanto avevo accennato nel precedente capitolo. 
Dopo l'acquisto del fondo Bressanin in termini di austriache lire 231, l'acquirente Mons. Mutti doveva saldare allo Stato italiano le imposte, comprese le spese dell'atto a suo carico, ecc. ecc. ecc. 
Una spesa ritenuta piuttosto marginale, se il lettore considera i costi della chiesa da farsi "più ampia di quella esistente", (Cit. Mutti) occorreva perciò uno sforzo economico piuttosto gravoso e altrettanto selettivo.
Decisione per cui, quelle 231 lire dovute al Bressanin ma non consegnate al donatore del fondo, tornarono utili a sua ecc. Patriarca Mutti, per il conseguimento della chiesa(Vedi cit. nel precedente capitolo) 
                                                      
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Inizio testo
             
Il Colera e le proteste di Don Giuseppe Angeli 
                         (parroco del vecchio S. Michele del Quarto)

"La chiesa di S. Michele del Quarto" - scriveva il parroco don Giuseppe Angeli al Patriarca Angelo Francesco Ramazzotti, (1858/1861) "...è tanto ristretta che a mala pena può contenere 300 persone stipate e in piena confusione...." 
"I fedeli assistono alla messa confusamente agglomerati fuori dalle porte, all'aperto pervasi dai cocenti raggi del sole estivo, o esposti ai rigori del rigido inverno costretti a calpestare la terra che ricopre le ossa dei trapassati e infestare involontariamente le tombe che pochi giorni prima, il Cholera aveva brutalmente rapito".... 

"Vi è inoltre la curiosa anomalia" - continua il parroco - "che al di là della chiesa - (Nella vicinanza della chiesa) - non c'è neppure una casa, mentre dal lato opposto la parrocchia si estende per ben 7 chilometri"... - "Questa chiesa, dopo la morte di sua eccellenza Mutti veniva sospesa con tutto il materiale giacente, oltre alle pietre cotte sufficienti a pervenire la chiesa all'altezza preposta. Materiale che, nel breve volgere del tempo soffrì la perdita di un terzo, e per le ingiurie dei tempi e per le mani depredatrici dei ladri"....

"Si aggiunga poi, che il Municipio è costretto ogni anno a spendere somme di danaro per il restauro della chiesa, (Quella vecchia) e probabilmente da qui a venti o trent'anni non sarà più capace di restauro, e allora bisogna fare la chiesa nuova dopo aver gittato tutto il danaro nei parziali restauri della vecchia"...

Questa la situazione disastrosa descritta dal parroco don Giuseppe Angeli dopo l'avvenuta morte del patriarca MuttiStessa situazione e per certi versi anche peggiore, si verificava durante l'amministrazione del precedente parroco don Giovanni Antonio Venerandi. 
Si è voluto così illustrare mediante alcuni comunicati tra il parroco e il Patriarca, i limiti della parrocchia e lo stato di salute della vecchia chiesa. Sullo stesso argomento si cimentò il Mutti il 25 luglio 1853. (1) 

(1) Vedi a proposito alcune attestazioni del patriarca su capitolo precedente, prima pagina. Le restanti sono riportate qui in termini riassuntivi               

Le canoniche scelte del Mutti diffuse durante la visita pastorale del maggio 1853. 

Ed ecco le preferenze del Patriaraca. ".... e volendo rifabbricare una chiesa e visto la difficoltà di accedere in quella angusta, mi si presentò l'idea," afferma mons. Mutti..."di un punto chiave di forte accesso a tutto il popolo soggetto"... "A questo effetto" - continua il prelato - "ho incaricato il mio ingegnere Fuin di prepararmi la pianta della nuova chiesa capace per la nuova popolazione"... "Se il signore mi dona la vita di poter vedere la progettata chiesa, farò anche per S. Michele del Quarto uno di quegli sforzi che più cerco di fare per provvedere le buone canoniche scelte nelle parrocchie dell'estuario".

Secondo i dati registrati dall'ingegnere Giovanni Fuin autore della nuova chiesa, venne progettata in metri quadrati 275,4, (2) con i quali secondo il Mutti... "doveva contenere la maggior parte della popolazione". 
Se paragonati ai 72 della seicentesca cappella del vecchio S. Michele del Quarto, si capisce anche il maggiore peso economico del nuovo manufatto, sul quale il Mutti doveva affrontare consapevole della spesa, con tutta la prudenza possibile. 
D'altra parte, il progetto del Fuin non era neanche paragonabile alla chiesa più vasta eretta 48 anni dopo da Papa Pio X.  Il  notevole contributo giunto dal Vaticano, dimostra oggi la ristrettezza economica del Patriarca Mutti, non in grado concretamente di assolvere il compito.  Da ciò, si deduce anche l'avvedutezza e la grande speranza del Mutti, più volta al risparmio piuttosto che abbandonarsi a spese esponenziali. 

(2) - Dimensioni chiesa del progetto Fuin. m 18 in lunghezza, 15,13 in larghezza, in altezza 14,50, totali metri quadri, 275,4. 

La moderazione economica del Mutti è persino confermata dallo stesso ingegnere Fuin, (Progettista della chiesa) il quale, dando inizio alla liquidazione per i lavori interrotti nel 1854, scriveva quanto segue. " Il lavoro venne eseguito in via economica scegliendo per capo mastro muratore, Angelo Boschiero detto Pasfon di Zerman, comune di Mogliano Veneto"Si potrebbe dunque immaginare, di quale eccellenza in materia edile stiamo parlando. (Il Pasfon infatti è soltanto un artigiano) Per non accennare poi all'espressione "via economica" suggerita dal Mutti che tradotta in termini più chiari significa "Le finanze non sono illimitate".  

Le aspettative e la via economica 
decisa dal Mutti

La via economica venne anzitutto scelta dallo stesso Patriarca che nutrendo forti dubbi sulle finanze della Curia, si appoggiava contando sui materiali offerti dal Cav. Reali "e da altri possidenti del luogo" - A tali donazioni vi includeva "qualche offerta già anticipata dal nobile Angaran"... - "le famiglie villiche invece offrono tutti i lavori manuali, e poi abbiamo le piccole offerte del popolo, il quale ancorché povero, si sforza di fare quando si tratta della sua chiesa" . 

E ancora - " Il campanile sarà costruito su uno dei fianchi alla forma romana con tenuissima spesa, e con l'esito che quella campana o due che vi saranno collocate, saranno sentite dal popolo lontano ben più assai di chi è presente" - " La sacrestia non occorre sia grande, è una piccola spesa" - "Il progetto è semplice e senza molta spesa". 
"L'altare occorrente per la cappella dell'altare Maggiore, sarà tolto dalla vecchia chiesa" - "Tutto il resto delle spese preventivate potrà essere fatto dalla popolazione che non manca di fare quando vede bene impiegate le sue offerte". 

E in aggiunta - " qualora il compimento della nuova chiesa dovesse prolungarsi per anni, niente deve essere toccato dalle fabbriche attuali" (lavori in essere) "Farò anche per S. Michele del Quarto uno di quei sforzi che più cerco di fare..." (3)  

(3) In conclusione, la chiesa doveva realizzarsi secondo la volontà del Mutti, in via del tutto economica. D'altra parte, non è neanche possibile prevedere il contrario di quanto egli stesso afferma. Non è pertanto azzardato sostenere che le finanze della curia erano già limitate durante il suo mandato. Supponendo poi che la fabbrica della chiesa avesse potuto interrompersi per anni, "niente" afferma il prelato, "deve essere modificato dall'attuale", ciò confermando l'originario progetto nell'andamento economico dell'epoca. Si vedrà infatti un anno dopo, come si arriverà alla sospensione e relativa liquidazione. 
                                    
La proposta del parroco Venerandi 

A questo punto va pure ricordato il suggerimento dei residenti del vecchio S. Michele del Quarto, i quali obbiettando sui costi della nuova chiesa, affermavano la convenienza di ampliare la vecchia con modica spesaLo stesso parroco Venerandi don Giovanni Antonio esprimendosi contrario affermava: "... stante la somma ingente che vi occorrerebbe, gioverà quindi preferirne l'ampliazione che dietro li calcoli fatti in via approssimativa, s'aggirerebbe una spesa di austriache lire 18,000". (4) 
La proposta del Venerandi andrebbe considerata se l'ampliamento spettante alla Curia, non si dovesse aggiungere mediante oblazione popolare, anche il costo delle finiture interne non previste. 

Anche il cappellano delle Trepalade confermando il notevole risparmio, asseriva: "qualora la parrocchia collocata al di la della chiesa, non fosse estesa per sette chilometri senza strade praticabili..." Sarebbe come dire che la vecchia chiesa in S. Michele del Quarto, andrebbe ampliata se si rendessero praticabili anche le strade per giungervi.

(4) Nonostante la contrarietà più volte espressa sull'erezione della nuova chiesa, il Venerandi accettò la nomina quale amministratore dei materiali per quella da erigere. Rimaneva però la gestione dei mattoni e di altri prodotti che dopo l'interruzione "giacevano abbandonati preda dei ladri". E coi laterizi acquistati e in parte donati, scomparve anche il miliare romano collocato dal parroco Rossi don Filippo dinanzi l'erigenda chiesa. 
         
Il presunto miliare romano venne ceduto dal Venerandi don Antonio alla futura e prossima ANAS  (vedi collegamento sviluppato sopra, in nota n° 4)

Emerso dai terreni circostanti, il presunto cippo romano venne collocato in un periodo a noi sconosciuto presso la vecchia chiesa del futuro Quarto d'Altino. E non certo buttato là come normalmente si da luogo per le cose vecchie, bensì, quasi che dovesse sembrare parte dello stesso fabbricato. Secondo quanto dichiaravano i vecchi residenti, si trattava invece di un probabile omaggio di alcuni proprietari fondiari della zona. In seguito venne rimosso dal parroco Rossi don Filippo il quale desiderava da tempo, riposizionarlo accanto alla nuova chiesa iniziata dal Patriarca mons. Mutti. Alla morte del parroco Rossi (12 dicembre 1845) vi successe don Giovanni Antonio Venerandi, che nel frattempo aveva notato presso l'erigendo manufatto.

Probabilmente fu un gesto scaramantico (di buon auspicio) dello stesso parroco don Rossi il cui successore don Venerandi non ebbe nulla da ridire. Cosicché il nuovo parroco Giovanni don Antonio, avendo frattanto ricevuto la nomina di amministratore e mutato opinione sui costi della chiesa, si convinse che la strada aperta per Gaggio (detta dei Pascoloni) necessitasse di un'indicazione stradale idonea al caso specifico. Anche perché credeva secondo il nostro punto di vista, all'erezione immediata, dopo la sospensione della chiesa.  
Non si conosce se il parroco avesse ricevuto a riguardo del cippo,  richieste o solleciti di cessione, fatto sta che a quel punto, era caduto oramai in disuso e abbandonato a se stesso. Del resto lo era anche la chiesa interrotta e non curata da tempo. E tra le tante e immediate sventure ciò che si sa per certo, pare che il blocco di marmo venne ceduto alla futura ANAS (Ente italiano condotto dagli austriaci) impegnata all'epoca nella riorganizzazione mezzo segnaletica stradale.  

Non si è mai capito d'altra parte, cosa avesse rappresentato quel pezzo di marmo per quanto ritenuto di origine antica. Dalla mole piuttosto massiccia, si potrebbe dedurre fosse stato tolto da un'area cimiteriale locale. Oppure una colonna romana usata più semplicemente per segnalare l'urbanità della zona. O solamente un pezzo di marmo tratto dalla via Claudia Augusta. Sicuramente il cippo avrebbe potuto interessare a più di qualcuno, qualora vi si fossero apparse a ragion di veduta iscrizioni antiche, per le quali l'ANAS difficilmente le avrebbe eliminate, e neanche il parroco lo avrebbe ceduto. Il nesso però non è accertato. Ciò che invece vedemmo inciso durante gli anni della nostra giovinezza (Anni 50/60 del novecento) una scritta incisa, munita di freccia direzionale "Per Mestre".    

All'epoca dell'indicazione stradale, letta e riletta migliaia di volte, non vedemmo mai quel cippo collocato nella posizione (Secondo foto dell'epoca) in cui originariamente venne posto. Bensì ricollocato fronte la piazzetta del vecchio municipio, dove per anni vi giocammo a nascondino. 
Lo spostamento indiretto segnalava peraltro la direzione opposta di quanto la freccia indicava in origine. (Cioè per Mestre) Un'orientamento diverso dal quale si capiva che il cippo girato su se stesso, non serviva più come indicazione stradale per la città di Mestre, bensì per S. Donà di Piave. A quel punto però, nessuno ci faceva più caso in quanto all'epoca, apparvero le prime segnalazioni in materiale metallico. 

Quale la causa? Semplice a dirsi. Le recenti tabelle direzionali in lastra metallica di piccolo spessore tipo anni 30/40 circa del novecento, sostituirono il cippo che di fatto venne relegato in una posizione accessoria, dove in seguito scomparve. Ma prima della scomparsa venne fotografato casualmente. Valutando oggi la foto ripresa durante gli anni sessanta, si rivela in uno scatto sfocato valido comunque come elemento probante. 

Lo spostamento venne eseguito dal direttivo comunale dell'epoca, di conseguenza ne sarebbe stato anche l'unico ed inconsapevole erede e proprietario. Dalla rimozione ritenuta peraltro impropria, si capisce quanto l'azienda fosse stata all'oscuro dell'iter. Né a quanto si conosce, si attivò per capire cosa mai quel cippo avesse rappresentato in antico. Eravamo frattanto giunti verso la metà degli anni sessanta del novecento. Verificato dunque il periodo in cui apparve nel centro cittadino e conteggiati quindi gli anni dal primo insediamento effettuato dal canonico Rossi, sommano in tutto un secolo e 22 anni di stanziamento.     

Di statura pressoché monumentale, venne anche ritratto all'alba del primo novecento fronte la chiesa eretta da Papa Pio X(Via Pascoloni per Gaggio) Non è conosciuto il periodo o l'anno in cui venne posto come indicazione stradale. Quel che però è indubitabilmente certo, è che la foto dell'epoca documenta oggi quanto avevano riferito i residenti di ieri. 

D'altra parte, non vennero mai riscontrati in quegli anni cippi d'indicazione stradale simili a quello di Quarto d'Altino, né li vedemmo mai posizionati negli incroci dei paesi limitrofi e neanche agli ingressi delle città, tanto meno ne udimmo parlare. Segno dunque probabile, col quale il miliare avesse potuto pervenire dal Vecchio S. Michele del Quarto e segnalato qualcosa d'importante. E tra le cose più rilevanti, avrebbe potuto indicare la via per "Tarvisium", meglio conosciuta oggi come "Via Vecchia trevigiana" o di quanto di essa attualmente vi rimane.

Chi fosse interessato ad esaminare a scopo di curiosità l'immagine dell'epoca, si rivolga al sottoscritto. D'altra parte il dubbio della provenienza del cippo e del relativo impiego saranno destinati comunque ad affascinare l'attuale popolazione di Quarto d'Altino e forse chissà, anche quelle a venire. 

PS. Durante il riposizionamento del cippo presso l'erigenda chiesa ad opera del succitato prelato Rossi, sarà di pubblica utilità conoscere il periodo durante il quale il Veneto si trovava in piena occupazione austriaca, comandato da un governatore straniero non austriaco. Chi ne esercitava il potere esecutivo dal 1840 al 1848 (Epoca in cui il cippo venne ceduto alla futura (ANAS) era l'ungherese Conte Alois Pallfy de Erdod, militare al servizio dell'Austria. 
Ebbene, nulla dunque sfuggiva alle volontà del nobile patrizio boemo al tentativo austriaco di restituire a Venezia una funzione commerciale istituendo come del resto istituirono, strade, ponti e linee ferroviarie. E quel cippo avrebbe potuto interessare al governatore a scopo direzionale per Mestre via Cà Solaro e forse anche per Venezia.
La ricerca a carattere storico effettuata in anni di lavoro si concluse nel momento in cui emerse la presenza del cippo nelle foto probanti. Qualche anno dopo, emerse anche la foto relativa al capitello Bozza demolito in seguito. Ragione per cui ritenni fossero sufficienti le  foto come materiale probante più di quanto sinora è stato narrato, E le immagini citate non sbagliano, riferiscono il vero.
                                                                                
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Vedi il nuovo sviluppo della sei/settecentesca chiesa

Su suggerimento del parroco Venerandi, venne progettato l'ampliamento della chiesa in S. Michele del Quarto a cura dell'ingegnere Fuin. Il progetto venne respinto da sua Ecc. Card. Mutti. La parte tinta rosa a destra corrisponde alla sezione da aggiungere. La porzione a six col campanile si rifà, pur con qualche visibile modifica, alla chiesa in essere eretta tra il XVII/ XVIII. sec. (Fine 1600 inizio 1700)
Il progetto del Fuin relativo alla chiesa con aggiunta, è stato pubblicato a cura del sottoscritto sull'opuscolo parrocchiale n° 16 festa S. Michele del 2002.  
(Foto - Alfio Bonesso Giovanni - Archivio parrocchiale di Quarto d'Altino)
         
       
Vedi progetto dell'ingegnere Fuin pianificato su base planimetrica. La parte tinta rosa si rifà come citato sopra, alla nuova progettazione. Il rimanente tinto nero all'esistente.

La parte in rosa proiettata a destra (Est levante) corrisponde al pezzo aggiuntivo compreso le due sacrestie poste ai lati. In essa si notano quattro finestroni in prossimità dell'Abside e due entrate laterali. Il rimanente tracciato in nero si collega alla vecchia chiesa dove si nota l'unica porta d'accesso rivolta ad ovest. (Ponente) A lato della quale sorge il campanile presso cui vi era collocato il cippo di origine romana. A fianco delle mura perimetrali della vecchia chiesa (tinte nero) sporgono due cappelline dedicate a Santi. I puntini segnati in nero corrispondono a due acquasantiere (Pile) scorporate dalle pareti.   




Vedi l'inventario relativo all'anno 1737 nella parrocchiale in S. Michele del Quarto.

Vincenzo Maria Diedo e la pietra in marmo datata 24 maggio 1737

Tra i numerosi inventari visionati sugli oggetti appartenuti alla demolita chiesa in S. Michele del Quarto, ve ne sono due che spiccano più degli altri. - Il primo, "Piccola lapide in marmo di Carrara che ricorda la consacrazione della chiesa" - (Con la demolizione scomparve anche la lapide)  Tale pietra o targa in marmo, confermava la visita del 24 maggio 1737 con la quale il Vescovo di Torcello mons. Vincenzo Maria Diedo, consacrava definitivamente la chiesa dopo i numerosi restauri.

Per seconda - "Vi è una Pianeta in seta verde con ricamo che ritiensi pregevole per antichità, ed una Pisside con coppa d'argento e piedistallo e coperchio di rame dorato e si attribuisce a qualche pregio artista".

Una terza curiosità vede nell'elenco la presenza di "Tre pile acquasantiere per l'acqua santa in marmo". - Nel progetto di metà ottocento del Fuin relativo all'ampliamento della chiesa (vedi la parte colorata in nero) ne appaiono due evidenziate da puntini neri. Probabilmente una delle quali venne spostata. 

L'elenco completo dell'inventario compresi i preziosi e relative visite pastorali, si possono apprendere nell'opuscolo per la 16^ festa S. Michele del 2002 a cura di Alfio Giovanni Bonesso. 
preziosi individuati nell'inventario, si ritiene siano importanti da porre a possibili confronti sulle ladronerie napoleoniche effettuate nel nostro territorio.

I lavori interrotti, la carenza di fondi e                  l'anticipata liquidazione
                              
A confermare l'andamento negativo causato dalla carenza di fondi, intervenne la liquidazione dei lavori stati eseguiti dell'ingegnere Fuin dal dicembre 1853 al marzo 1854.
Ciò significa che i lavori per la chiesa vennero interrotti proprio nel mese di dicembre 1853. Il conto a debito ammontante ad austriache lire 3999'05 venne consegnato dal Fuin al Patriarca Mutti nell'agosto del 1854. (tutto compreso fondamenta e mura sino a metri 4,10  inclusa la base del campanile in metri 7x7), sopra l'altra spesa di lire 1581,56. (Probabile quest'ultima somma, competenza Fuin) 

Per chiarezza va anche registrato che, al momento del saldo destinato al Fuin il 9 marzo 1855, non sarebbe stato possibile attribuire al Patriarca presente alla consegna, quella grave malattia cui si parlava da tempo. La presenza e il suo intervento smentirebbe infatti chi o quanti lo avevano dato gravemente ammalato causando l'interruzione della chiesa.

Va in ogni caso rilevato il ritardo col quale la Curia (vedi date) consegnò l'ammontare a debito al Fuin.  La somma spettante, decisa sulla base delle date registrate dall'ingegnere, venne infatti consegnata un anno dopo l'interruzione dei lavori, cioè, il 9 marzo 1855. E tanto ritardo potrebbe significare povertà di contante. Non ci sorprende pertanto, se di fronte all'indennità di fine rapporto lavoro, saldato ripetiamo un anno dopo, vi sia stata una carenza di fondi non più sopportabile.  

Va da se quindi concludere, che somma con la quale il  Mutti doveva al Fuin (a debito) fa ovviamente ritenere, che la cifra delle 231 lire spettante al Bressanin (per l'acquisto del fondo) la tratteneva, come già ripetuto, per la chiesa che doveva erigere.






Vedi sopra la liquidazione di fine rapporto ad opera dell'ingegnere Fuin...... "dei lavori stati eseguiti dal dicembre 1853 al 18 marzo 1854 e dei materiali impiegati per la costruzione delle fondamenta, dell'innalzamento del zoccolo sopra terra, della nuova chiesa da erigersi in S. Michele del Quarto nel sito destinato da Sua Eccellenza Reverendissima, per formare una nuova parrocchiale."

Vedi sotto in taglio ridotto. L'ammontare di lire austriache 3999'05 sui costi a debito per la costruzione della chiesa eretta a metri 4,10, registrati il 18 marzo 1854.

Alla morte del Mutti, 9 aprile 1857, le fondamenta e le mura perimetrali erette a metri 4,10 e non cinque come abitualmente si afferma, rimasero tali per 48 anni. L'altezza è confermata dallo stesso ingegnere Fuin, quando il 18 marzo 1854, concludendo la liquidazione per i saldo necessario venne consegnato al Patriarca Mons. Mutti. 

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La drammatica sospensione e 
tre anni d'inattività

Ripartendo dalla liquidazione conclusasi il 18 marzo 1854 e presentata  al Patriarca nell'agosto dello stesso anno, si conclude che il manufatto rimase drammaticamente sospeso sino alla sua morte. (Dal 18 marzo 1854 alla morte del Mutti, 9 aprile 1857 sono infatti 36 mesi d'inattività, pari a tre anni circa) La ripresa dei lavori, supponendo la difficoltà finanziaria della Curia non venne mai più attivata

A dimostrare l'inconveniente economico basterebbe soltanto chiedersi, la ragione per la quale i lavori vennero interrotti poco dopo averli iniziati, in una fase in cui peraltro mons. Mutti, non avendo problemi di salute, come del resto è stato provato, non vi sarebbe stata neanche la necessita della sospensione. Ed è proprio da ciò che si fonda, il concetto col quale, l'interruzione dipese in particolare, dagli squilibri finanziari e non dalla morte del Patriarca, giunta peraltro tre anni dopo. 

L'interruzione erroneamente attribuita 
alla morte del Mutti

Tutte le indicazioni sinora illustrate incluso l'arresto dei lavori, dato importante per comprendere tutto il resto, non sono attribuibili come spesso si è accennato alla malattia o alla morte del Mutti, bensì dall'evidente ristrettezza finanziaria della Curia. E a nostro avviso fu proprio questa la causa principale per la quale il proseguo della chiesa venne sospeso. Il compromesso economico è peraltro confermato dalle stesse date registrate a mano nella liquidazione dell'ingegnere Fuin.  

La morte del Patriarca non centra dunque nulla con l'intricata e discussa faccenda relativa alla sospensione. Questa infatti venne attivata ripetiamo, 36 mesi prima della morte del Mutti, laddove il Sartor, nella sua pubblicazione del 2018 non ne fa il minimo accenno. Ci si chiede peraltro, come mai il valente storico abbia potuto negare la donazione, non avendo mai realizzato uno studio approfondito, né interloquito col sottoscritto che lo aveva già fatto. (5)

(5) Si rimanda il lettore al 12° capitolo, dove il Sartor  avrebbe potuto interloquire col sottoscritto presente in canonica, che di fatto aveva già realizzato il testo sul caso Mutti. Ma che a causa delle citate e risapute circostanze, ha dovuto ritardarlo. Si veda inoltre nel testo stesso, la testimonianza del dono sottoscritta in calce dal segretario personale del Mutti, sacerdote Dorigotti Pietro. 



Vedi mappale fondo Mutti. Tipo che dimostra l'atto di permuta su di un fondo di proprietà Cav. De Reali scambiato col patriarca di Venezia Card. Mutti. In alto si nota la strada diretta per Trepallade. A destra l'odierna via Stazione col titolo di via Pascoloni. (Ricavato da Cà Pascoloni, seicentesca mezzadria abbattuta primi anni del sec. XX°) 
Tra le due vie, s'immette una terza (non segnato interamente) diretta a sud-est, verso la cosiddetta "Strada Bassa", (ora via Kennedy) raggiungibile all'epoca, senza interferenze dall'odierno terrapieno ferroviario eretto nel 1870.

Il Notaio dr. Luigi D'arco, pone sul terreno permutato 538b e 892b le rispettive misure di lato e in lunghezza. Lato via Pascoloni misura metri 249, lato contrario metri 246. Lato strada per Trepallade metri 68,  dal verso opposto metri 36.
I rimanenti fondi numerati 538a e 892a, confinanti col canale consorziale Carmason, non segnalato per ovvie ragioni, sono rimasti al Cav. De Reali. E tali rimasero ai propri discendenti sino al 1970, anno in cui alienarono il terreno a scopo insediativi lungo via IV novembre.  
 



Mappale fondo Mutti. Sul carteggio compilato dal Notaio Luigi D'arco, appare una scritta che indica il nuovo proprietario: "Tipo visuale del terreno rappresentato dalle due porzioni dei numeri di mappa 538 e 892 in comune censuario di S. Michele del Quarto che dal cav. De Reali viene ceduto a S. E. patriarca Aurelio Mutti nel pio intendimento di erigere una nuova chiesa parrocchiale". Si nota inoltre inserita tra via Pascoloni e quella per le Tre Pallade, una seconda via probabilmente diretta per la Claudia Augusta non ancora ostruita dal terrapieno ferroviario.
                  
La soluzione di Papa Pio X 

A diradare finalmente lo squallore del manufatto incompiuto e sospeso da circa mezzo secolo, giunse infine Papa Pio X. Sua Santità mons. Giuseppe Sarto, emerito Patriarca di Venezia, quando salì sullo scranno più alto della cristianità, donò la somma necessaria (deliberata dalla Santa sede di Roma) il cui scopo prevedeva finalmente costruire la chiesa sulle ceneri di quella interrotta. Decise infine, previo abbattimento delle mura perimetrali erette da mons. Mutti, (rimaste in parte sotto l'attuale pavimentazione) per un ulteriore ampliamento. 
Allungò la nave a metri 37 di lunghezza, per 12 di larghezza. Metri quadri totali 444. La più ampia delle tre chiese registrate in S. Michele del Quarto(La prima, quella vecchia abbattuta, la seconda del Mutti e la terza di Papa Pio X) 


6 dicembre 1901. Vedi la siglatura relativa alla visita pastorale del patriarca di Venezia Giuseppe card. Sarto in S. Michele del Quarto. L'intrattenimento del prelato si concluse in via Claudia Augusta dinanzi l'antico oratorio detto alla "Casona", laddove il proprietario Cav. De Reali intendeva causa precaria staticità dello stabile, procedere all'abbattimento. Quando il cardinale Giuseppe Sarto venne incoronato Papa, concesse al ricco possidente l'autorizzazione. In cambio Sua Santità ottenne un altare da porre sulla costituenda chiesa in S. Michele del Quarto, con annessa statua lignea della Madonna di Lourdes.    

Maria De reali, figlia del nobile cav. riuscì a seguito della licenza papale, conservare l'oratorio intatto e tramandarlo ai posteri come appare oggi. (Risale al XVII sec. 1600) L'abbattimento mai realizzato, verrà narrato in un capitolo a parte. Va notato in questa circostanza, quanto Papa Sarto teneva a cuore il popolo di S. Michele del Quarto, per il quale conseguì mediante contratto col De Reali, un altare compreso della statua citata. L'erezione della chiesa desiderata da Papa Pio X, conferma ulteriormente l'attenzione e l'affetto a quella comunità di fedeli, che tanto amava. Con la stessa intensità amava anche Venezia e la chiesa di S. Marco, laddove intendeva ritornarvi da vivo o da morto. E come aveva teorizzato, vi ritornò. 
   





Vedi mons. Giuseppe Melchiorre card. Sarto Patriarca di Venezia nella veste usata durante il suo mandato. (1894/1903/. Morì nel 1914. Beatificato nel 1951. 
Venne proclamato Santo nel 1954. 
A Quarto d'Altino, già S. Michele del Quarto è tuttora ricordata la grandiosa opera catechistica del Papa. 
Venne ultimata da una seconda pubblicazione dal titolo
"Il pericolo dell'eresia moderna". Un rischio che tuttora permane.

      


Foto archivio storico Alfio Giovanni Bonesso. 
Vedi, uno dei primi fascicoli dedicati alla dottrina cristiana pubblicati inizio 900 (xx sec.) da Papa Pio X. 
Il rarissimo libretto di pagine 22, termina col fatidico sollecito di Papa Sarto "Andate e insegnate a tutte le genti la mia dottrina". 
L'opuscolo è stato per motivi di spazio riprodotto a metà.

                                                                                       
                                                ooo 
              
L'atto testamentario del Mutti

Venezia 11 marzo 1855: data in cui venne redatto il testamento olografo e sottoscritto dal Patriarca due anni prima della sua morteCiò significa che l'11 marzo 1855 il Mutti era perfettamente lucido, in grado sostenere e firmare le proprie volontà. 
Con quell'atto però, respinse la donazione del fondo che aveva destinato alla parrocchia S. Michele del Quarto. Il testamento venne pubblicato in data 9 aprile 1857, giorno stesso della morte. 

Il testamento

"Miei eredi universali in tutto il resto, nomino e istituisco il mio seminario patriarcale ed i miei poveri (6) di Venezia amministrati da questa commissione Generale di Beneficenza in parti uguali. Esecutore testamentario con pieni poteri nomino e voglio che sia, il detto mio segretario don Pietro Dorigotti ". 

(6) I poveri di Venezia appartengono alla già conosciuta Congregazione di Carità.

Don Giovanni Antonio Venerandi parroco di S. Michele del Quarto riceveva finalmente l'assegno di Fiorini 263,6 con decreto retroattivo, 24/9/ 1847 - n° 37557.  La messa venne eseguita da sua eccellenza Patriarca mons. Angelo Ramazzotti, il quale sottoscrisse: "In questo consiste il mio beneficio". Li maggio 1859".

L'eredità mutilata e gli eventi 
post-mortem del Mutti.                                       
                                                                                       
La morte del Patriarca Mutti provocò ulteriori problemi alla Curia di Venezia, che di fronte al rivolgimento ereditario, non sapeva a quel punto come appianare o quanto meno modificare il testamento. 
In sostanza l'atto del Patriarca negava la prevista donazione e con essa la prebenda al parroco Venerandi don Antonio (Quel povero e bisognoso vecchio citato dal Dorigotti) che rimaneva segregato nella vecchia canonica senza alcun beneficio, privo peraltro di un vicario d'aiuto. Unica soluzione possibile, si trattava a quel punto persuadere i due beneficianti ad un atto di rinuncia. Frattanto la chiesa bloccata giaceva incustodita sotto la pioggia battente, in balia della neve e dei ghiacci dei rigidi inverni e i mattoni abbandonati... "preda dei ladri".     

La drammatica sostituzione a favore del
Seminario e della Congregazione di Carità 

L'eredità del fondo acquistato dal Patriarca che doveva per sua  diretta espressione donare al beneficio parrocchiale di S. Michele del Quarto, venne diversamente assegnato come segnalato sopra, al Seminario Patriarcale e alla Congregazione di Carità di Venezia. 
Non si conosce quale sia stata l'origine della commutazione, (Mutamento) né si  conoscono i precedenti e tanto meno il motivo per il quale il Mutti, preferì destinarlo in parti uguali a due strutture del Patriarcato. 

L'ipotizzata motivazione

Quale sia stata la motivazione non è nota a nessuno. Ciò che si sa per certo è che doveva lasciare con atto formale di donazione il fondo intestato a suo nome, alla parrocchia suddetta. Un lascito che purtroppo non venne mai sottoscritto, il resto è solamente ipotizzabile. 
E ipotizzando l'intera questione, si potrebbe dedurre con tutta l'incertezza del caso, che il Mutti avesse considerato l'improbabilità oramai nulla, di erigere la chiesa priva di sostegni finanziari e senza alcun apporto risolutivo. Sofferente, triste e dispiaciuto del fallimento e l'età galoppante in vista della morte, lo avrebbe portato a tale risoluzione.  
                     
La tesi del Dorigotti

Secondo il Dorigotti, esecutore testamentario e segretario personale del Patriarca, motivando la mutata eredità nella lettera del 31 ottobre 1860, la giustificava in questi termini: " veniva prevenuto (Anticipato) dalla morte, perciò non ebbe tempo d'eseguire l'atto di donazione e quel fondo è tuttora intestato alla di lui proprietà".  
Eppure lo stesso Dorigotti in qualità di esecutore dell'atto testamentario firmato peraltro di sua mano, non poteva non essere al corrente delle vere intenzioni del Mutti. Perciò conosceva a fondo l'intera questione prima ancora di porvi la firma. (7) In conclusione, la morte del Mutti non c'entra dunque nulla con l'interruzione della Chiesa.  

(7)Ricordiamo ancora una volta che il Mutti scomparve tre anni dopo la liquidazione consegnata all'ingegnere Fuin. C'era dunque tutto il tempo necessario per l'atto formale di donazione. Il motivo per il quale non lo fece è a noi ignoto, non lo era forse, neanche al segretario Dorigotti che rispettando le volontà del Mutti, rimase nel silenzio.     

Se dunque, l'esecutore testamentario dell'eredità, non osò contraddire il suo Patriarca si deve a nostro parere, in virtù ai doveri e alla promessa  di fedeltà al Mutti, anche al di là dei propri meriti e degli eventi negativi che seguirono. Si veda ad esempio, i già citati termini del Mutti sulla fiducia e fedeltà richiesta al proprio segretario, quale "di aver operato a mio nome come Alter Ego. Sicchè nessuno  possa o ambisca, chiedergli conto del suo operato". (Vedi 12° capitolo) E l'operato del Dorigotti conosciuto soltanto a se stesso, lo porterà con sé nel silenzio della tomba.  

L'ammenda del Dorigotti e la conferma 
del dono al Bressanin

Il Dorigotti ne fece comunque ammenda nove anni dopo, quando nella lettera del 25 aprile 1866, dichiarava al Patriarca Ramazzotti, che il fondo di proprietà Bressanin lo donava, scopo erezione chiesa, a mons. Pietro Aurelio Mutti allora Patriarca di Venezia. La testimonianza del dono ripetiamo, è sottoscritta in calce dal segretario personale del Mutti mons, Dorigotti. (Vedi 12° capitolo su lettera del 25 aprile 1866) 
Il Dorigotti dunque, dopo anni silenzio pregava Sua Eccellenza mons. Ramazzotti, di fornire le pratiche opportune presso le competenti autorità, affinché venga fatta voltura del fondo Mutti a beneficio della parrocchia S. Michele del Quarto. (Decisione tarda ma finalmente giunta)

Ecco, questa a noi sembra, il risarcimento o l'ammenda se vogliamo, con la quale il Dorigotti pagò per il novennale silenzio, dopo che aveva riferito il resto della vicenda dinanzi al Ramazzotti. Ma tale silenzio ripetiamo era giustificato dalla promessa fatta al defunto Pietro Aurelio Mutti, suo Patriarca. 
  
                                     ooo 

                           Seconda parte
                         (relativo al capitolo 13°)
       
     L'intervento del Patriarca Card. Agostini e
              l'interpellanza sulla benedizione 
                              prima pietra

L'ingegnosa richiesta del Card. Agostini aperse la strada sulla delicata questione relativa al fondo Mutti.  
        
Domenico card. Agostini patriarca di Venezia (1877 al 1891) avendo avuto formali dichiarazioni da testimoni di veduta che nell'anno 1854 il Vicario Generale mons. Moro benedisse su incarico del Patriarca Mutti la prima pietra della nuova chiesa in S. Michele del Quarto, richiedeva i documenti probanti sulla citata solennizzazione.
Intendeva con ciò dimostrare che il terreno intestato al Mutti, era destinato per la chiesa in costruzione e che a seguito ad alterne vicende venne sospesa. Perciò quel fondo che il Mutti doveva donare, reso peraltro sacro dalla benedizione, risultava evidente secondo il Card. Agostini, che il Seminario e la Congregazione di Carità non potevano essere i destinatari dell'eredità. Tanto meno disporre del fondo come fosse di loro proprietà. 

Persuaso sulla destinazione del terreno per la chiesa in S. Michele, (non avrebbe altrimenti il Mutti iniziato i lavori) apparteneva in qualunque caso, secondo mons. Agostini alla stessa chiesa di S. Michele del Quarto. E quindi i due ereditari non avevano su quel fondo nessun diritto, bensì dichiararsi incompetenti in un interesse che spettava alla chiesa, sola beneficiata dal Pio donatore.

L'evidente persuasione del Patriarca Agostini, suggeriva al vicario generale rev. Piero Berengo d'indagare affinché il rito della prima pietra "da usarsi in simili occasioni vi dovesse esistere qualche documento". 
E il 20 febbraio 1878 il Vicario scrivendo al parroco di Quarto don Antonio Belloi, si raccomandava di presentare più in fretta possibile, la dichiarata benedizione. Ma alla data indicata il Belloi rispose negativamente, non vi erano infatti segni o tracce nell'archivio della parrocchia.

"Prego perciò".. risponde mons. Berengo - "d'interpellare con sollecitudine quattro o cinque persone più vecchie e più autorevoli del paese e chiedere notizie a proposito. E qualora risulti della verità del fatto, da esse coi propri occhi veduto, come da altre persone degne di fede, estendere una relativa e bene espressa dichiarazione e invitare a sottoscrivere".
Compito questo afferma il Berengo che spetta al parroco don Antonio Belloi, il quale senza perdere tempo, "porti con se a Venezia la dichiarazione e si presenti con essa alla Curia Patriarcale per dare voce a quelle più ampie informazioni, che fossero del caso". 

Dichiarazione dell'avvenuto rito

Otto giorni dopo, 28 febbraio 1878, giunse la dichiarazione sottoscritta da cinque firmatari i più vecchi del paese e presenti alla cerimonia prima pietra. 
La notifica recita: " Dichiariamo noi sottoscritti, per la pura verità e per la nostra conoscenza del fatto,... che nell'anno 1854 con solenne processione (Da S Michele Vecchio al Nuovo) il rev vicario generale della curia Patriarcale mons Moro, per incarico di S. E. il Patriarca Aurelio Mutti, pose di sua propria mano, assistito dall'allora rev. parroco don Giovanni Antonio Venerandi e alla presenza di numerosi parrocchiani, la prima pietra della nuova chiesa che venne qui innalzata a cura della prelodata Eminenza Patriarca Mutti, che ne riscontrò il bisogno per la ristrettezza attuale". 

I firmatari

I dichiaranti firmatari sono: Antonio Ceschel fu Giuseppe agente comunale. Francesco Vian fu Innocente ex cursore comunale. Nicodemo Marco Perazza fu Marino o Martino, Oste. Paquola Isidoro fu Antonio nunzio di chiesa. Paludo Giovanni fu Antonio agricoltore.
Venne così 21 anni dopo, a realizzarsi mezzo la firma dei testimoni, l'atto probante che doveva aprire le porte al dibattimento sull'effettiva proprietà del fondo. 
                                 
I partecipanti e il disperato
bisogno di liquidità 

Vi partecipò persino il comune di S. Michele del Quarto che aveva chiesto ai coeredi Mutti, la cessione dell'appezzamento con certificato di rendita del 5% fruttante Lire 50 annui. "Per tale oggetto", dichiarava il 16  gennaio 1864  mons. Card. Trevisanato: "vi sono disponibili presso codesto comune Lire 10.000 da usarsi per la ripresa lavori". In questa circostanza si nota come l'azienda comunale giudicava importante l'erezione della chiesa, per quanto più tardi si svincolò dall'acquisto per le mutate circostanze
Il Card. Ramazzotti offriva il suo aiuto concorrendo con altari, Balaustri e pavimento in marmo, a disposizione da una chiesa demolita a Venezia. (Si legge S. Lucia)  La competizione negli aiuti per la chiesa bloccata, prova incontestabilmente il disperato bisogno di liquidità e dei materiali che inizialmente mancarono anche al Card. Mutti.  Insomma la generosità non mancava e citarle una per una, anche le critiche contrarie ai due coeredi, non basterebbe altrettanto cartaceo sino a qui compilato. 
                             
La rinuncia

Sottoposti al giudizio critico dall'intero clero veneziano, finalmente 48 anni dopo, il Seminario e la Congregazione di Carità cedettero sotto pressione presentando rinuncia di ogni diritto sul terreno e farne cessione gratuita. O quanto meno verso pagamento di un corrispettivo.

La firma del Patriarca di Venezia
mons. Giuseppe Sarto

Il 9 settembre 1902 si mosse infine il R. Economato dei benefici vacanti, il quale verificando la dismissione della comproprietà dei due coeredi, occorreva a questo punto la dichiarazione in calce del Patriarca Giuseppe Sarto, il quale, destinava il terreno del defunto Mutti per l'erezione della chiesa in S. Michele del Quarto. Accettando quindi la domanda di compravendita, venne consegnato ai due coeredi un certificato del Consolidato Italiano, fruttante l'annua rendita di lire 25.
                      
Un popolo privo di voce e una storia
conclusa ai confini della realtà

Mons. Giuseppe Sarto, eletto frattanto e trasferito a Roma col titolo di Papa Pio X, lontano quindi dai luoghi che lo vide Patriarca di Venezia, non mancò a quella promessa che aveva fatto al suo popolo. E per quanto separato da quella comunità che aveva abbandonato per incarichi più elevati e tuttavia continuava ad amare. 
L'impegno del Papa comportava innalzare una chiesa più ampia di quella esistente, già d'allora precaria staticamente e anche insufficiente. E poco dopo, con un gesto che pareva avesse dell'incredibile, stracciò tutti quei vincoli, i rifiuti, ricorsi e contrattempi che tanto male avevano fatto a quella maltrattata comunità, e prelevando il danaro necessario dalle casse del Vaticano, eresse la chiesa. (8) 

(8) Il Patriarca Sarto, dopo la elevazione al pontificato, acquistò a sue spese secondo il Tramontin, la metà del fondo spettante alla congregazione di Carità, ricevette in dono l'altra metà dal Seminario e il 2 maggio 1905 trasferì il fondo alla chiesa di S. Michele del Quarto. (Vedi Tramontin in Culto dei Santi..... 1967. 

(8) Il trattato del Tramontin non spiega però da dove il Papa prelevò il danaro necessario per l'acquisto, sia per la metà del fondo quanto per l'erezione della chiesa.  sua Santità povero tra i poveri, poverissima la stessa famiglia rimasta a Riese, avrebbe mai potuto affrontare le spese, se non prelevando i fondi dal Vaticano. 
Se diversamente il Tramontin intende che il termine "a sue spese" implichi le risorse del Vaticano, allora il pontefice aveva tutto il diritto di prelevamento in quanto capo supremo della chiesa. In questo caso, tutto conduce alla versione sopra anticipata dal sottoscritto e non può essere diversamente. Inoltre nel maggio 1905, (cit. Tramontin) la nuova chiesa era già stata eretta, benedetta e aperta al pubblico. 
                   
La Manna caduta dal cielo

Prima di concludere l'argomento, vorrei spendere ancora due parole a favore dell'allora Patriarca di Venezia, Mons. Giuseppe Sarto. Ebbene, qualora non fosse stato eletto Pontefice, si sarebbe trovato ahimè nelle stesse condizioni economiche negative del suo predecessore Card. Mutti. Ma conoscendo a fondo i problemi e le condizioni finanziarie della Curia veneziana, non avrebbe certo progettato una chiesa senza avere in tasca il danaro necessario per erigerla... pur avendone l'intenzione per il bisogno della popolazione
L'opportunità giunse nel momento in cui venne trasferito a Roma, e se  questa non è Provvidenza, è sicuramente Manna piovuta dal cielo.  
                              
Intanto...                              

Eravamo frattanto giunti al 5 aprile 1905, giorno solenne dell'apertura. Il Patriarca Card. Aristide Cavallari, durante l'omelia tenuta i chiesa ricordava la sofferenza della Curia per l'interruzione della chiesa, e anche la pazienza sopportata con vero stoicismo dalla cittadinanza. 
Ma lo stesso livello di sopportazione se non talvolta maggiore, pesò anche sulle spalle di due generazioni di giovani, abbandonati a se stessi privi di lavoro. Questi infatti, nutrivano per la chiesa iniziata da mons. Mutti, qualche speranza dalla quale ottenere un occupazione magari ridotta, o a tempo. Ma la fiducia riposta, non andò oltre la pia l'illusione.  
 
E certo si trattò di un arco di tempo notevole durato pressoché mezzo secolo, durante il quale il paese, già di per sé economicamente fragile ed essenzialmente agricolo, sottoposto peraltro alle dipendenze di un patriziato che gestiva le possidenze con criteri di sfruttamento, si capisce quanto avesse nuociuto l'interruzione del fabbricato a scopo religioso. 

Danni peggiori provenivano dalla stessa nobiltà che a parole proclamava condizioni di lavoro migliori e che mai adempiva. Cosicché molti giovani dediti all'agricoltura, all'artigianato e ai lavori più umili, travolti dalle ristrettezze economiche, emigrarono in Brasile e nell'Europa del nord.  

L'erezione della chiesa ad opera di Sua Santità Pio X, portò all'opposto della chiesa del Mutti e delle stesse promesse dei proprietari dei fondi, una speranza di vita migliore. E aprendo le porte al paese che stava per nascere, tutto il resto si concentrò nei d'intorni del Tempio divenuto per quanti non praticavano l'agricoltura locale, l'unico centro occupazionale.
Vennero così ad aprirsi numerosi cantieri, dai quali iniziarono le prime aperture stradali, attività commerciali, negozi e fabbriche, ponti sui fiumi, acqua corrente in casa e infine, il transito della ferrovia e relativa stazione di fermata. Si schiudeva così, grazie a Sua Santità Pio X, la prima e non unica speranza del benessere comune, inizialmente debole ma significativa.
                                 

Disegno grafico. A six. Castelfranco città dista da Riese per sette Km percorsi a piedi e per due volte al giorno da Giuseppe Sarto. Lo vediamo qui al ritorno dalla scuola camminare a piedi nudi evitando il consumo delle scarpe. Terminati gli studi, si presentò la necessità di entrare su suo desiderio in seminario. 
Il padre Giovanni contattò l'allora patriarca di Venezia Jacopo Monico, suo diretto compaesano raccomandandogli il figliolo. (Il card. Monico nacque infatti a Riese) Poco dopo il patriarca mons. Monico ottenne un posto sistemandolo provvisoriamente al seminario di Padova. Dopo i percorsi di ordine minore arrivò al diaconato e finalmente all'altare. Venne consacrato sacerdote il 18 settembre 1858 al Duomo di Castelfranco. Foto a destra, la casa natale di Papa Sarto.
                                   
L'involontario calpestio sulle tombe dei morti e
l'ostruzionismo scolastico dell'Austria 
sul Veneto occupato

E con la chiesa finalmente eretta, si concluse per sempre quell'indegno e involontario..."calpestio dei parrocchiani sulle tombe dei trapassati..." Nella medesima circostanza si conclusero anche le soste forzate..."fuori dalla chiesa pervasi dai cocenti raggi del sole, sottoposti ai freddi dei rigidi inverni..." Termini questi, che il parroco don Giuseppe Angeli, titolare dell'angusta chiesa del vecchio S. Michele del Quarto, aveva già tristemente segnalato al suo patriarca. (Vedi inizio secondo testo)  

A rileggere le giuste proteste causate dalla ristrettezza della chiesa, viene quasi a commuoversi qualora si avverta la sensibilità del giovane parroco, impegnato come pare evidente dalle proteste cui sopra, a difendere i propri parrocchiani. Una difesa sicuramente giustificata da una situazione piuttosto infrequente, ma che causò sugli stessi contadini, una confusione tale da essere scambiati da quanti erano contrari alla chiesa, per dei servizievoli sempliciotti di campagna. 

Ma questa naturale spontaneità sentimentale e senza malizia, non va confusa col portamento servile ben lontano da essere tale e che nulla aveva a che fare coi contadini. Bensì con quanto generava la povertà amministrata dai potenti patrizi e dalla politica scolastica austriaca (finalmente terminata nel 1866) che negava nel Veneto l'obbligatorietà dell'istruzione elementare. (7) L'Austria infatti, si serviva dell'istruzione per impedire che la scuola diventasse mezzo di educazione delle coscienze, plasmando diversamente sudditi devoti all'Impero Asburgico. E non pochi italiani provenienti da famiglie austriacanti, si offrirono ad un  vero e proprio servilismo.  

(7) Conte Giovanni Battista Thurn Hofer delegato provinciale per 31 anni dal 1816 al 1847 e presidente della camera di commercio a Venezia, respingeva con estrema durezza ogni mutamento della struttura scolastica di stampo asburgica per il Veneto.
Il cognome Thurn sta come Torriani, famiglia italiana messa al Bando dai Visconti di Milano. Di origine quindi lombarda.

Com'è noto i rapporti coi proprietari dei fondi non erano idillicamente tranquilli, bensì di facciata. Da qui dunque iniziava l'impotente comune sentire dei contadini che derubati dei loro diritti, del progresso economico, della civiltà e cultura, non restava altro che buttarsi tra le mani della chiesa. Non era raro d'altra parte che i parroci si scagliassero contro le rapacità dei ricchi quando troppo spesso, trasgredivano il settimo comandamento. Ragione per cui, la facilità con la quale i coloni si allineavano alla chiesa non era servitù, bensì  la ricerca di ciò che non possedevano: il bisogno. Una necessità che tradotta in termini espliciti significava: carenza, debolezza, penuria e vuoto. 

Eppure, nonostante i fenomeni sociali proibitivi, derivati anche dall'analfabetismo e dalla perenne umiltà che non è ingenuità e, pur vivendo soggetti ai padroni in una zona peraltro arretrata più delle altre, (il Veneto) non mancavano ad opporsi quando si trattava del loro destino. (8) 

(8) Si vedano le ribellioni contadine all'inizio del XX sec. effettuate nel trevigiano e veneziano. Vi parteciparono numerose famiglie contadine di S. Michele del Quarto.

Per quanto poi la vecchia chiesa non avesse potuto contenere l'intera comunità e le condizioni climatiche proibitive rimanessero tali, ebbene gran parte della cittadinanza, continuò per altri cinquant'anni ad assistere alle funzioni religiose... "fuori dalla chiesa pervasi dai cocenti raggi del sole". E in quella condizione vi rimasero senza mai lamentarsi sino al 1905. Anno in cui venne aperta la nuova chiesa. (9)

(9) I natali del sottoscritto ebbero luogo ricordo ancora una volta, a S. Michele Vecchio tra le mura del quattrocentesco palazzo Zorzi detto il Tribunale. Ha potuto in tal modo ottenere discutendo col nonno e i ricordi pervenuti dal bisnonno materno, non esclusi gli anziani di pari grado le memorie citate, oltre ai documenti pervenuti dalla chiesa. 
Le testimonianze sono ovviamente valide per la sola località del vecchio S. Michele del Quarto.

L'analfabetismo a S. Michele del Quarto

Un esempio di una delle tante e manifeste manchevolezze dell'epoca, ci giunge dalla testimonianza del patriarca di Venezia Card. Domenico Agostini, quando durante una visita pastorale a S. Michele del Quarto formulava una frase che oggi ad udirla farebbe sorridere milioni di giovani studenti increduli. Ed ecco la frase: "L'analfabetismo sarà sempre in questa parrocchia, un grave ostacolo a formare la dottrina cristiana". L'osservazione del Card. Agostini fa ovviamente riflettere ai giovani, su quanto la popolazione avesse bisogno sul finire del XIX sec. (1800) dell'istruzione scolastica obbligatoria.

L'indispensabile intervento dello 
"Studium Cattolico Veneziano" 

I dati sinora elencati, potrebbero rappresentare per lo "Studium Cattolico Veneziano" che non manca di storici dal titolo abilitante, l'utilizzo dei dati qui registrati, intesi ovviamente come ricerca storica, utile per far luce sull'intera vicenda Mutti. L'indagine, il contributo e la chiarezza con le quali l'istituto veneziano si è sempre contraddistinto, sarà dunque di pubblica utilità per la storia in generale, in particolare per l'inconsolabile comunità di Quarto d'Altino che dei fatti qui elencati non è del tutto al corrente. Andrebbe anche riqualificata la figura dello stesso maltrattato donatore del fondo di nome Francesco Giuseppe Bressanin, al quale venne negata la partecipazione, perciò meriterebbe molto più di quanto gli è stato tolto. 
                      
Sull'argomento avremmo voluto fornire molte altri elementi, ma tenuto conto dell'entità dei carteggi già pubblicati, abbiamo diversamente scelto la brevità. Fatto che non preclude il vissuto e la storia del Card. Mutti, neanche la comprensibilità dell'attuale testo e nemmeno quello che segue. Il 14°.

                             Conclusione. 

Ed eccoci giunti all'epilogo. Ma prima di chiudere l'argomento, vorremmo segnalare ai nostri amici e lettori, alcuni trattati nei quali appaiono notizie confuse se non talvolta inattendibili, pubblicate da competenti professoroni. 
Ebbene questo criterio di diffusione, non fa parte del nostro modo d'intendere la storia, né siamo abituati comunicare episodi, notizie o storie infondate e tanto meno, sentenziare giudizi per convenienza o per utilità personali. Altra cosa sono gli errori. Questi si colgono, si capiscono e anche talvolta si giustificano da sé, e come tali vanno riconosciuti e corretti. 
Ma i verdetti senza confronto si ritorcono prevalentemente contro chi pretende l'esclusiva del sapere. Ritrattare poi, ciò che con tanta sicurezza si aveva sostenuto, comporta sempre una minore credibilità. 
Poco conta dunque l'addottoramento conseguito, se narrando la storia, la si modifica trascinandola fuori dalla realtà.

                                                               000

Si consiglia la lettura del prossimo e ultimo capitolo, il n° 14, realizzato nel 2005 in cartaceo, per il centenario della chiesa S. Michele Arcangelo in Quarto d'Altino. Il trattato oggi ampliato dal precedente, comprende anche il "Segno propizio giunto dall'Oratorio alla Casona".   
                         
                                    
                         Fine capitolo tredici.

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